Camera con vista 


SOLARIS:
FIGLI DI UN PIANETA MINORE

di Luca Antoccia

Una storia di specchi e tradimenti: così si potrebbe sintetizzare il rapporto tra Solaris romanzo e i relativi film di Andrej Tarkovskij (1972) e Steven Soderbergh (2002). Sessant’anni dopo l’uscita del libro (1961) e cinquanta e venti dai due film, la luminosità della galassia Solaris non tende ad appannarsi, corroborata poi da tesi di laurea e recentemente anche da un allestimento teatrale. Nel 1972 Tarkovskij riceve dalle autorità sovietiche critiche in trentacinque punti per il varo del film quali: «Eliminare il concetto di Dio», «Accorciare le scene a letto» e «La crisi deve essere superata». Tarkovskij adotta minimi tagli: quanto basta a farlo uscire, poco e male, nell’allora Unione Sovietica ma anche in Italia, dove è la censura di mercato a mutilarlo; bisognerà aspettare l’edizione “home video” per recuperare mezz’ora di scene tagliate.

L’autore del romanzo Stanislaw Lem aveva conosciuto Tarkovskij nel 1968 e non gli era piaciuto: lo definì mistico, maniaco, superbo, come poi il film che non gli piacerà. Le ossessioni tarkovskijane (acqua, memorie familiari, specchi, dipinti) ancorano l’opera più alla terra e al suo regista che allo spazio, realizzando un film di “fantacoscienza” più che di fantascienza, nell’accezione di Primo Levi (Storie naturali). Poi, dopo trent’anni arriva Soderbergh e Lem farà in tempo a vederlo e apprezzarlo più del rivale ma la sua opinione sembra portata avanti più per partito preso che per reale convinzione. Il nuovo Solaris è forse altrettanto distante, alla stregua del precedente, dal romanzo utilizzato ormai poco più che come un pretesto per un’atipica storia romantica, una seconda chance cosmica per il protagonista George Clooney, piena di flashback convenzionali dell’amore terrestre tra lui e la moglie (impersonata da Natascha McElhone).
Entrambi i film si disinteressano al grande antagonista, il pianeta vivente a cui pure devono il titolo, Solaris, cui Lem dedica immaginifiche descrizioni. Tarkovskij ci prova coi limitati mezzi dell’epoca mentre Soderbergh sorvola, nonostante le tecnologie elettroniche nel frattempo abbiano fatto passi da gigante. E allora, in attesa di una terza versione, meno mistica e meno sentimentale che faccia giustizia a un libro che pare Il castello e Il processo di un Kafka del secondo Novecento, si possono apprezzare alcune sequenze pittoriche di Tarkovskij. Su tutte, quella in cui I cacciatori nella neve di Bruegel si anima davanti ai nostri occhi e si fonde pian piano con le scene del protagonista sulla neve durante la sua infanzia, oppure la sequenza della moglie Hari la cui dolcezza ineffabile reca tracce evidenti nell’espressione del volto, e perfino nella posa e nella acconciatura, della leonardesca Dama con l’ermellino.

ART E DOSSIER N. 403
ART E DOSSIER N. 403
NOVEMBRE 2022
In questo numero: STORIE A STRISCE -  Nuove speranze per il fumetto di Sergio Rossi; BLOW UP: Civilization di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - L’arte inquieta a Reggio Emilia - Una, nessuna, centomila identità di Giorgio Bedoni; 2 - Cézanne a Londra - Da una mela partì la sua sfida di Valeria Caldelli; ....