CATALOGHI E LIBRI

NOVEMBRE 2022

GESÙ E GIUSEPPE NELL’ARTE

Non sono frequenti le monografie illustrate, scritte da specialisti d’iconografia sacra, e con piacere ci troviamo adesso a segnalare l’interessante volume di un emerito studioso francese, François Boespflug (classe 1945), già docente di teologia a Strasburgo, storico dell’arte ed esperto d’iconografia biblica, nonché autore di notevoli libri, come quello pubblicato in Italia da Einaudi (Le immagini di Dio. Una storia dell’Eterno nell’arte, 2012). Il soggetto del volume più recente, tradotto da Emanuela Fogliadini, è la «storia di una paternità eccezionale», come recita il sottotitolo: quella di Giuseppe, figura discreta e silenziosa – trattata più nei testi apocrifi che nei quattro Vangeli – nei confronti del figlio adottivo Gesù. Giuseppe, figlio di Davide, “guardiano” di Maria, non parla mai, nei Vangeli, nonostante sia fondamentale il suo ruolo in tanti episodi della vita di Gesù e Maria, sin dalla natività (dove quasi sempre appare addormentato) e dalla fuga in Egitto. Ed è interessante, come rileva l’autore, che esista un Giuseppe vecchio e riservato nell’iconografia orientale, mentre quello occidentale si trasformi col tempo nell’immagine di un uomo giovane, bello e affettuoso.


François Boespflug Jaca Book, Milano 2022 178 pagine, 119 ill. colore € 70

SAN MINIATO AL MONTE IN FIRENZE
MILLE ANNI DI STORIA E BELLEZZA

A vederla dall’alto dei colli, dalla parte opposta dell’Arno, all’alba o al tramonto, ancor più suggestiva se emerge dalla nebbia che nelle belle giornate d’inverno sovrasta Firenze la mattina presto, la facciata di San Miniato al Monte è un’apparizione folgorante. Parla di armonia cosmica, di proporzioni auree, di ignoti artefici medievali di cui con ogni probabilità non sapremo mai il nome. Senza considerare il battistero, giù nel centro della città, San Miniato è la più bella e la meglio conservata fra le chiese fiorentine di epoca romanica, ma anche quella che, al pari del battistero, ha fatto penare moltitudini di storici dell’arte per la difficoltà di stabilire un’accettabile cronologia della sua costruzione. Lo stesso vale per le raffinate incrostazioni a marmi bianchi e verdi che rivestono la facciata, con quei disegni geometrici che nel loro insieme s’ispirano all’armonia celeste neoplatonica, gli stessi che nella loro “pulchra varietas” attirarono l’umanista Leon Battista Alberti, che vi s’ispirò per la facciata di Santa Maria Novella. Per non parlare degli arredi, come il pulpito decorato con i simboli a tutto tondo di tre e non i consueti quattro evangelisti. Dopo gli studi di storici dell’architettura come Francesco Gurrieri e di medievisti come Anna Benvenuti, le indagini capillari di Guido Tigler hanno fatto riemergere una quantità di dati insospettabili. E hanno ribaltato opinioni a lungo restate ancorate a cronologie precocissime e assai poco plausibili. Grazie a Tigler sappiamo ora che sia il battistero sia San Miniato risalgono a epoche vicine. La cripta di San Miniato nasce fra la fine del quarto e il sesto decennio dell’XI secolo mentre la chiesa superiore a partire dal 1080, sino agli anni fra il 1130 e il 1176 per la mirabile facciata, in sintonia, appunto, con le inconfondibili tarsie marmoree che rivestono il battistero. Molte le spiegazioni storiche, che qui è impossibile anche solo sintetizzare. Fanno il punto su questi e altri temi legati alle vicende millenarie della basilica, i saggi autorevoli di questo volume, rendiconto del convegno organizzato nel gennaio 2019 dall’Accademia delle arti del disegno, presieduta da Acidini. Vi parteciparono studiosi del Romanico e di armonie cosmiche come Guido Tigler, Gianluca Belli, Nicoletta Matteuzzi, Renzo Manetti, Giovanni Serafini, ma anche specialisti dal Duecento all’Ottocento, fra cui rammentiamo almeno Angelo Tartuferi, Antonio Natali, Daniele Rapino.


a cura di Cristina Acidini e Renzo Manetti Olschki, Firenze 2022 264 pp., 120 ill. colore € 32

RENZO PIANO & RENZO PIANO BUILDING WORKSHOP

Un edificio può divenire arte quando «rende visibile l’invisibile, quando diviene lo specchio fedele dei grandi cambiamenti del mondo, quando riesce a trasformarli in simboli riconoscibili, in macchine perfette e umane che fanno avanzare la civiltà dei comportamenti in una direzione equa e condivisibile». Così diceva Renzo Piano, con tono pacato e amabile, nel film-intervista che vedemmo a settembre del 2018 alla mostra londinese a lui dedicata alla Royal Academy, poco dopo il crollo del ponte di Genova, per il quale a tempo di record ha realizzato il nuovo progetto. Non è un caso se una delle principali figure di riferimento per i millennial è Renzo Piano, classe 1937. Nipoti, fidanzate, amiche e amici dei nipoti, non forzatamente studiosi di storia dell’arte e dell’architettura, mi parlano spesso di Piano con sincera e motivata ammirazione. So già che regalerò a tutti loro questo bellissimo libro. La fama dell’architetto-filosofo genovese fra i giovani non stupisce, considerato il suo vertiginoso carisma, “illuminato”, in ogni senso, se vogliamo dar peso al titolo del bel film che gli ha dedicato Carlos Saura (Renzo Piano, architetto della luce, 2019). Né è un caso che questo libro che ripercorre l’intera vicenda professionale di Piano e del Renzo Piano Building Workshop sia stato scritto da un ricercatore, Ciccarelli, che ha cinquant’anni meno del famoso architetto, ma già fa parte del Comitato scientifico della Fondazione Renzo Piano sotto la cui egida nasce il volume. È risaputo che Piano si circondi di giovani architetti e ingegneri nei suoi atelier di Genova, di Parigi e degli altri attivi nel mondo. Ma è ammirato anche dai meno giovani, che hanno assistito al suo exploit negli anni Settanta del XX secolo, col clamore del primo progetto con l’amico fraterno Richard Rogers, il Beaubourg, «centro vivo d’informazione», un «incrocio tra una Times Square computerizzata e il British Museum», come l’ha definita. Lo ammirano architetti e ingegneri di tutto il mondo, per aver saputo semplificare elementi portanti con materiali leggeri ma resistenti: strutture espandibili, assemblabili e disassemblabili in lamiera e poliestere rinforzato nei primi progetti (1964-1971); elementi vegetali combinati con pareti trasparenti fino alla semplicità apparente, e levità, del Centro Botin di Santander in Spagna, che pare un giocattolo a due ante proiettato sull’Atlantico, per non parlare del nuovo ponte di Genova. Di tutto questo rende conto il libro, corredato da un ricco apparato di illustrazioni, schizzi, documenti.


Lorenzo Ciccarelli Giunti, Firenze 2022 240 pp., € 49




IL MOSAICO DEL MONDO.
LA MIA VITA MESSAA FUOCO

Molti della generazione di Maurizio Galimberti (classe 1956) hanno “giocato” con la Polaroid. Personalmente rammento la Swinger bianca del 1963, l’odore acido della carta fotografica che “usciva” ancora umida, le mani sporche, curiose di toccare l’immagine che appariva come per miracolo, gli scatti men che amatoriali. Ben altro da ciò che Galimberti sperimenta dagli anni Ottanta, con modelli e metodi ingegnosi che lo hanno affermato originalissimo “istant artist”: soprattutto, come racconta, a partire dalla sua icona-talismano, il ritratto a “mosaico” di Johnny Depp, che nel 2003 alla Mostra del cinema di Venezia lo ha consacrato al pubblico internazionale e gli ha fatto consolidare il rapporto con la Polaroid, prima del fallimento dell’azienda nel 2008, poi rinata grazie al brand Impossible Project, che – chi l’avrebbe mai detto in era digitale – ne ha arricchito i modelli in sintonia coi mutamenti tecnologici. La fotocamera istantanea è il principale strumento professionale, ma anche di vita, dell’autore di questo bel libro, scritto in collaborazione con il curatore e critico Denis Curti, suo amico e mentore da sempre. L’amore viscerale di Galimberti per la fotografia tocca tutti i sensi, non solo il tatto (usa spesso la manipolazione sull’immagine ancora umida), ma ama anche annusare i suoi scatti, fin quasi a “mangiarli”. Il libro può interessare non solo chi ama la storia della fotografia istantanea; molti sono infatti i riferimenti ai maestri dell’analogico in bianco e nero, come Frank, Kertész, Adams, Cartier-Bresson, Newton, Berengo Gardin. Due almeno gli aspetti che rendono unica la narrazione: da una parte il metodo, un processo creativo che ha attraversato molte fasi, sempre con uno sperimentalismo appassionato fino ai readymade e ai più recenti, meditati coinvolgimenti con la grande pittura del passato, dal Cenacolo di Leonardo ai dipinti del Perugino: contaminazioni, queste, che mostrano affinità con gli sperimenti futuristi e quelli dada di Duchamp e Man Ray, sino a quelli pop di Warhol e Schifano. L’altro binario è la rievocazione senza filtri della propria vita: fatti quotidiani che s’intrecciano con la professione. Non è un caso che la griglia delle sbarre dell’orfanotrofio, dove trascorse i primi cinque anni di vita, appare rievocata, soprattutto in modo inconscio, nelle sue opere, composte da inimitabili, poetici assemblaggi: mosaici “del mondo”, appunto, composti da decine di istantanee.


Maurizio Galimberti con Denis Curti Marsilio, Venezia 2022 240 pp., 11 ill. b.n. € 18


ART E DOSSIER N. 403
ART E DOSSIER N. 403
NOVEMBRE 2022
In questo numero: STORIE A STRISCE -  Nuove speranze per il fumetto di Sergio Rossi; BLOW UP: Civilization di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - L’arte inquieta a Reggio Emilia - Una, nessuna, centomila identità di Giorgio Bedoni; 2 - Cézanne a Londra - Da una mela partì la sua sfida di Valeria Caldelli; ....