Musei da conoscere 1.
I MUSEI DELL’UNIVERSITÀ DI PADOVA

UN PATRIMONIO
DIFFUSO

A Ottocento anni dalla sua fondazione, riscopriamo la ricchezza dell’ateneo di Padova con i suoi musei, ben tredici, per ripercorrere in occasione di questo importante anniversario la sua storia e la sua identità.

Sileno Salvagnini

Scriveva in un importante articolo del 2017 Zenobia Kozak che, se «le collezioni universitarie, incredibilmente accresciute durante i secoli XVII e XIX, avevano il compito principale di fornire un’istruzione basata sui propri oggetti», ora in «un mondo dell’istruzione superiore sempre più rivolto al mercato» la loro funzione primaria è di «riconquistare lo spirito identitario dell’istituzione madre impiegandole per illustrare la storia delle università».

Chi ne ha più diritto dei musei dell’università patavina, di cui nel 2022 ricorrono ottocento anni dalla fondazione? Sono ben tredici, diventeranno dieci quando inaugurerà il Museo della natura e dell’uomo, che aprirà nel 2023, e sarà il più grande tra gli omologhi universitari europei poiché ingloberà quattro musei già esistenti: antropologia, mineralogia, geologia e paleontologia, zoologia.
I restanti musei invece dello storico ateneo sono quelli di anatomia, educazione, geografia, scienze archeologiche e arte, delle macchine, di storia della fisica, strumenti dell’astronomia (ad Asiago, Vicenza), veterinaria. Ai quali ne andrebbero aggiunti almeno altri due, una sorta di musei a cielo aperto, che fanno parte del cosiddetto “patrimonio diffuso” dell’università: i palazzi del Bo e del Liviano.

L’ateneo, di origine medievale – nel XIII secolo un gruppo di studenti legisti bolognesi migrò a Padova trovando, specie nel secolo successivo, con la signoria dei Carraresi, un ambiente favorevole –, con il passaggio della città a inizio Quattrocento sotto il dominio di Venezia divenne il polo educativo principale.
Nel Cinquecento la Serenissima acquistò il palazzo del Bo collocandovi, oltre a quella dei giuristi, anche le facoltà degli artisti (medicina, astronomia, filosofia, grammatica e retorica). Testimonianze di un “sapere pratico” furono l’Orto botanico (iniziato nel 1545) e il celebre Teatro anatomico (1594). Il progetto del nuovo Bo fu del bergamasco Andrea Moroni.
Fra gli elementi di maggior spicco, il cortile antico interno con doppio loggiato, che per qualità fu attribuito erroneamente da Temanza a Sansovino. L’Orto botanico, ideato ispirandosi al principio umanistico di una pianta rotonda con iscritte figure geometriche, venne concepito sia come strumento didattico che come luogo dove coltivare prodotti per la farmacologia.


Louis Dorigny, Apollo e Dafne (a sinistra), Le Grazie (a destra), affreschi realizzati prima del 1704, palazzo Cavalli;


Arturo Martini, Tito Livio (1941-1942); dietro, affreschi di Massimo Campigli (1939- 1940), palazzo Liviano, atrio.

TESTIMONIANZE DI UN SAPERE PRATICO FURONO L’ORTO BOTANICO E IL TEATRO ANATOMICO


Nel XIX secolo fu restaurata l’aula magna del Bo alzandola di 5 metri e affrescandone il soffitto con allegorie delle diverse facoltà con la Teologia più prossima alla luce divina. Lo dipinse Giulio Carlini diretto dall’accademico veneziano Calisto Zanotti.

Ma fu nel XX secolo che il Bo mutò sostanzialmente pelle con gli interventi di Gio Ponti studiati in sintonia col rettore Carlo Anti. Convinto che l’architettura come regina delle arti dovesse sovrintendere a tutte le altre, Ponti modificò il cortile dandone un’impronta littoria e ideando il vasto repertorio di arredi del rettorato. Al Bo furono chiamati celebri artisti come Ferruccio Ferrazzi, che dipinse a encausto Galileo Galilei e le sue scoperte nella sala della Facoltà di scienze; Achille Funi, che affrescò Anatomie nella Sala di medicina; e ancora Pino Casarini, Filippo de Pisis, Gino Severini (per nominarne qualcuno). 

Anti incaricò Ponti di realizzare anche la nuova Facoltà di lettere, il Liviano. Qui l’intervento fu ancora più ambizioso in quanto venne annesso e in parte demolito ciò che restava dell’antica Reggia Carrarese, salvaguardando solo la notissima Sala dei giganti - che nel Cinquecento aveva mantenuto di originario, e pure quello rimaneggiato, soltanto l’affresco trecentesco di Petrarca nel suo studio, cui vennero affiancati personaggi del mondo antico ispirati alle virtù di Roma, dipinti da Domenico Campagnola, Giuseppe Porta Salviati, Lambert Sustris. Oltre all’atrio con affreschi di Campigli e scultura di Tito Livio di Martini, Anti e Ponti inserirono nel Liviano il citato Museo di scienze archeologiche e arte, che immaginarono allora come una specie di “domus” romana con tanto di “impluvium”. Dopo la guerra e relativa “damnatio memoriae” poiché legato a un “rettore fascistissimo”, il museo è stato alcuni anni fa restaurato.


Museo di scienze archeologiche e arte con “impluvium”; sul fondo, Ermes con Dioniso bambino, palazzo Liviano.

Con gessi greci come la Venere di Arles - ora al Louvre - o, sul fondo, quello berlinese dell’Ermes con Dioniso bambino, il museo ricorda l’ambiente razionalista della VI Triennale di Milano escogitato l’anno prima da Persico, Nizzoli, Palanti e Lucio Fontana: dove l’assoluta icasticità dello spazio era messa in risalto da un raffinato sistema di esili diaframmi chiari, ai lati dei quali fonti nascoste erogavano una luce candida tale da far perdere alla sala le sue connotazioni fisiche e trasformandola in messaggio quasi sovrannaturale. Nel museo sono esposti anche reperti fittili greci e marmi cinquecenteschi provenienti dalla collezione del grande umanista Marco Mantova Benavides, confluita nel Settecento nella collezione Vallisneri, quindi all’Università.


Il Museo della natura e dell’uomo sarà ubicato nel cinquecentesco palazzo Cavalli, che si trova a poche decine di metri dalla cappella degli Scrovegni. Nel corpo di fabbrica principale dell’edificio troviamo affreschi secenteschi con scene di caccia e storie bibliche o mitologiche del padovano Michele Primon e del francese Louis Dorigny, allievo di Charles Le Brun. Osserva Giuliana Tomasella, negli ultimi sei anni presidente del CAM (Centro di ateneo per i musei), che i musei di contenuto scientifico ivi compresi evidenziano l’impossibilità prima del Settecento di «tracciare un confine fra arte e scienza, discipline umanistiche e non», poiché prima di tale data «la commistione fra “naturalia” e “artificialia” è generativa delle nostre collezioni». Esempio in tal senso può essere il Nautilus a candelabro, una rarissima conchiglia, poi trasformata in coppa, proveniente forse dalla raccolta Benavides, che farà parte del Museo della natura e dell’uomo.

Giovanni Poleni, nobile veneziano e iniziatore del Museo della fisica, al principio del Settecento era stato nominato dallo stesso Newton membro della Royal Society of Arts di Londra. Appassionato sostenitore della fisica sperimentale (nella dizione anglosassone: “filosofia sperimentale”), Poleni approntò un laboratorio con strumenti che, oltre a quello scientifico - è stato osservato - possedevano un «pregio estetico». Nelle dotazioni del museo troviamo strumenti nei campi della barometria, della termologia, dei fenomeni acustici e ottici, fra cui specchi cilindrici per anamorfosi con relative tavolette dipinte a olio.
Fra gli altri musei, ricordiamo quello dell’educazione, inaugurato nel 1993 e fornito di un patrimonio didattico risalente al XIX secolo che è tra i più corposi d’Europa; quello di anatomia, aperto come museo solo nell’Ottocento, dotato di apparati anatomici di vario genere; o ancora, quello dell’osservatorio astronomico di Asiago, che il suo progettista, Daniele Calabi, non poté vedere finito nel 1942 a causa delle famigerate leggi razziali. Ultima annotazione: nel patrimonio diffuso dell’università si possono anche scoprire opere come l’affresco dello spazialista Gino Morandis nell’aula Morgagni.


Ferruccio Ferrazzi, Galileo Galilei e le sue scoperte (1940-1943), Facoltà di scienze.


Achille Funi, Anatomie (1940-1942), palazzo Bo, Sala della medicina.

Ringrazio Alessandra Menegazzi, Giuliana Tomasella, Sofia Talas, nonché l’Università per la gentile collaborazione. Tutte le immagini ivi presenti per gentile concessione dell’Università degli Studi di Padova.


Musei dell’Università di Padova
www.unipd.it/musei-ateneo

ART E DOSSIER N. 403
ART E DOSSIER N. 403
NOVEMBRE 2022
In questo numero: STORIE A STRISCE -  Nuove speranze per il fumetto di Sergio Rossi; BLOW UP: Civilization di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - L’arte inquieta a Reggio Emilia - Una, nessuna, centomila identità di Giorgio Bedoni; 2 - Cézanne a Londra - Da una mela partì la sua sfida di Valeria Caldelli; ....