Quando, nel 1866, Claude Monet presenta un proprio quadro al Salon di Parigi, l’artista espone il ritratto di Camille Doncieux, la diciottenne di cui si è appena innamorato. L’ha conosciuta in una libreria di rue Dante, dove la giovanissima lavora come commessa. Nel dipinto, Monet ritrae Camille mentre indossa con grave contegno un prezioso abito verde. L’opera riscuote un discreto interesse, forse perché il tradizionalista pubblico del Salon, incline a subire il fascino della citazione letteraria, intuisce, in quella posa teatrale, un sofisticato rimando al personaggio di Marguerite Gautier, la protagonista della Signora delle camelie, quell’autentico best seller, che era stato pubblicato nella stessa Parigi, circa vent’anni prima.
Studi e riscoperte
I RITRATTI DEDICATI A CAMILLE DA MONET
UN FIORE
RECISO
La conosce, se ne innamora e la sposa. Ma Camille muore prematuramente, aveva soltanto trentadue anni. Claude Monet la ritrae, fino alla fine: tra fiori, fili d’erba, nella sua intimità e sul letto di morte.
Luigi Senise
I coniugi, una volta tornati in Francia, vivono ad Argenteuil, una ridente cittadina bagnata dalla sponda destra della Senna. È questo un periodo in cui Monet ritrae più volte la moglie: ora, adagiata in una macchia d’ombra e vestita di un abito rosa pallido, echeggia la corolla d’un fiore appena sbocciato; ora, distesa tra filari d’erba, si confonde tra i minuscoli fiori che la contornano.
Durante la permanenza ad Argenteuil, Monet infatti comincia a nutrire quella passione verso la floricoltura, che in un ventennio circa lo porterà ad allestire il giardino di Giverny, con il vasto stagno punteggiato da delicate ninfee. Ma Camille non vedrà l’incanto di Giverny, poiché morirà nel 1879, appena trentaduenne; ed è presumibile, che già negli anni precedenti, i coniugi fossero consapevoli della sua malattia incipiente. Come si evince dalla tela di Cleveland, in cui la intravediamo sfilare via, di là del vetro della finestra, con un freddo sfondo invernale che le stinge lo sguardo, da cui s’emana il sentore dell’imminente trapasso. Diversamente, in un ulteriore ritratto, eseguito nello stesso periodo, Camille emerge, radiosa in volto, da una nuvola di petali variopinti.
Parallelamente al progredire della malattia, il pittore dipinge più volte la propria consorte: e così, quando la ritrae nel giardino con il loro figlio Jean, la tratteggia come un fiore tra i fiori. E d’altronde, la relazione tra la cagionevole salute della moglie con la fragile esistenza dei fiori, l’artista l’ha già accennata nella tela, oggi al Metropolitan Museum of Art di New York, in cui l’elegante abito di color grigio cenere, ch’ella indossa, s‘intona col suo triste volto e con quegli stessi fiori recisi, abbandonati lì accanto.
L’inesprimibile dolore per la perdita della propria moglie, a seguito anche del parto del secondo figlio della coppia, Michel, è fissato sulla tela da Monet, quando, nel 1879, ritrae Camille sul letto di morte, con una bianca rosa tra le mani, avvolta da un velo di trasparente organza.
Dieci anni dopo, l’artista comincia a creare, nel villaggio di Giverny, quell’universo composto di peonie, glicine viola e ninfee, in cui successivamente si trasferirà per trascorrervi l’ultima porzione della sua lunga esistenza. Lo stagno in cui volteggiano nell’acqua le celebri ninfee diviene il vertice del processo creativo cominciato in gioventù, quando visse ad Argenteuil con Camille. Ora aveva una nuova moglie, Alice Raingo, vedova del collezionista d’arte Ernest Hoschedé.
E a proposito di Giverny, si evoca spesso un passo di Marcel Proust, che avrebbe scritto con impareggiabile prosa dello stagno che lì vi avrebbe allestito Monet. In realtà, lo scrittore, nelle pagine della sua Recherche, non menziona Monet, né un altro pittore, ma quella splendida descrizione sarebbe invece soltanto il tenero ricordo dei luoghi della propria infanzia:«Un po’ più lontano, serrate le une contro le altre, in una vera aiuola galleggiante, si sarebbero dette delle viole del pensiero, venute a posare come farfalle le loro ali bluastre e lucenti sull’obliquità trasparente di quell’aiuola acquatica: di quell’aiuola celeste»(*).
Questo splendido passo di Proust, benché probabilmente non sia riferito alla ninfee di Monet, ribadisce comunque come quelle delicate presenze – che scivolano sugli infiniti riflessi del cielo – rimandino comunque a un’idea tesa a evocare l’inesprimibile: e che, dunque, si potrebbe ipotizzare quanto, in quelle aggraziate ninfee, Claude Monet lasciasse forse fiammeggiare ancora il ricordo di Camille.
ART E DOSSIER N. 403
NOVEMBRE 2022
In questo numero: STORIE A STRISCE - Nuove speranze per il fumetto di Sergio Rossi; BLOW UP: Civilization di Giovanna Ferri; GRANDI MOSTRE. 1 - L’arte inquieta a Reggio Emilia - Una, nessuna, centomila identità di Giorgio Bedoni; 2 - Cézanne a Londra - Da una mela partì la sua sfida di Valeria Caldelli; ....