La pagine nera

RESIDENZA TANTO AMATA
MALAMENTE ABBANDONATA

Poli (Roma): villa Catena, di impianto rinascimentale, è tra le più prestigiose del Lazio. dimora di condottieri, cardinali, papi, durante la seconda guerra mondiale è sede di un comando militare, poi terra di nessuno. Finché, acquistata nel 1950 da Dino De Laurentiis, recupera fama e salute. Ma dal trasferimento del noto produttore cinematografico negli Stati Uniti, a inizio anni Settanta, il complesso è in uno stato di degrado. Oggi, la società che ne è proprietaria riuscirà a cambiare la sorte dello storico edificio?

Fabio Isman

CChissà perché si chiama Catena: forse, un tempo, un simile arnese ne sbarrava l’accesso. Villa Catena domina un pendio nel Comune di Poli, duemilacinquecento abitanti a una cinquantina di chilometri da Roma, dopo Tivoli. E le prime notizie su di lei risalgono al 1563, quando apparteneva a Torquato Conti: un militare, figlio del signore locale Lotario e di una Savelli, ma educato dal fratello del padre, il cardinale Carlo; e poi sposo di Violante Farnese per volere di Paolo III, che portava lo stesso cognome. È la costruzione più antica del luogo, protetta da due torri angolari: Antonio Nibby (storico, archeologo e topografo), di villa Sacchetti Chigi a Castel Fusano (Roma) che ha analoghe protezioni, ricorda le «scorrerie dei barbareschi», e le necessità della difesa. L’atto più remoto che riguarda la città è la donazione di Oddone III del “Castellum Sancti Paoli” al monastero di San Gregorio al Celio, a Roma, nel 992. Nel 1081 l’abitato passa all’abbazia di San Paolo fuori le mura. Dal 1208 ne sono signori i Conti.

Torquato era amico di Annibal Caro, il famoso umanista traduttore dell’Eneide, che, in due lettere indirizzate proprio a lui, descrive le fontane e i giochi d’acqua del Palazzo dei principi, lo stabile più remoto della villa, tra le maggiori rinascimentali nel Lazio. Solo a fine Seicento il complesso verrà ampliato con due corpi laterali e altre costruzioni (opera di Giambattista Contini, allievo di Bernini), dentro un lungo muro di cinta. Dal 1713 la villa prende il nome di Casino del cardinale, perché appartiene al porporato Michelangelo dei Conti di Segni, che ci trascorreva l’estate: a quattrocento metri sul livello del mare, l’aria era più salubre che a Roma; e dal 1721 diventa il Casino del papa, perché il cardinale MIchelangelo diventa Innocenzo XIII. Dei Conti pure l’edificio principale della città, XIV secolo: al piano nobile, affreschi sulle pareti raffigurano proprio la villa. A proposito della quale, Annibal Caro scrivendo a Conti cita «le fontane, il lago, le polle, le cadute e i bollori che vi si son pensati; e le cacce, i parchi, le conigliere, le colombaie, i boschi e i giardini»: troppe bellezze ormai da tempo purtroppo scomparse; dimenticate; in profondo abbandono.


Il Casino del papa, oggi fatiscente.

L’edificio possiede un ampio respiro sulla campagna. Sembra quasi una cascata architettonica, con due corpi terrazzati sottostanti; e a quello inferiore, una doppia scalinata a tenaglia, che originariamente comprendeva anche cinque bocche d’acqua: grande cornice scenografica. È un connubio tra quello che, in gergo, si chiamerebbe un bene culturale e uno ambientale, che guarda la vastità del contado romano, del suo Agro, che è stato tra i massimi protagonisti del Grand Tour. Siamo alle pendici del monte Santa Maria, presso il colle chiamato Faustiniano, immersi in un parco di ottanta ettari, con quattro portali d’accesso verso la città. Dei numerosi edifici di cinematografico Dino De Laurentiis. Nel 1949, aveva sposato l’attrice Silvana Mangano, incontrata sul set di Riso amaro, da cui avrà quattro figli: una foto li mostra con tre di loro, davanti al complesso. È proprio lei a innamorarsene, pare dopo averlo visto in una foto. Il produttore diceva: «Non ricordo quanto è costato, mi pare un miliardo; ma dovetti spendere un occhio della testa per rimetterlo a posto. È una casa che ho molto rimpianto».


Si affida a Renzo Mongiardino, famoso architetto d’interni. La villa è stata anche un set per almeno quindici film, tra cui Mamma (di Guido Brignone, 1941), La cieca di Sorrento (di Giacomo Gentilomo, 1952) e Anna (di Alberto Lattuada, 1951, protagonista la Mangano), come raccontano Maria Grazia Longo e Regina Martinazzi, in una tesi discussa al Politecnico di Torino in cui prefigurano anche un possibile riuso del complesso(2).

La villa, che fu anche di un papa, torna così a essere vivacissima: punto d’incontro per gli attori più famosi sulle due sponde dell’Atlantico, luogo di rinomate feste mondane. Possedeva, ovviamente, una piccola sala cinematografica, e interni affrescati; tanti caminetti, ormai divelti. Anche se la primogenita dei coniugi De Laurentiis, Veronica, allora quattordicenne, ricorda che lì dentro aveva un po’ di paura.

 

Più che la storia di una villa insigne, questa è la cronaca di uno scempio assoluto, di cui, purtroppo, non si intravede nemmeno la fine

 
Ma come tutte le cose belle, anche questa ha un termine: nel 1971, Silvana Mangano acquista un pied-à-terre a Roma in piazza di Spagna. Lui ci resta malissimo: «Per amore suo ero finito a villa Catena; le avevo messo su una reggia e adesso se ne andava ad abitare sola, da un’altra parte. Ero contrario. Lei ha insistito, io ho ceduto, ma qualcosa dentro di me si è rotto. Sono tornato a villa Catena con l’intenzione di fare le valigie e andarmene». La grande disgrazia del produttore sarà la morte del figlio Federico, in Alaska nel 1981, mentre pilotava un aereo Piper. Lei morirà di cancro nel 1989, ad appena cinquantanove anni. Il produttore, che aveva costruito anche “Dinocittà”, immensi “studios” alle porte di Roma, nel 1972 si trasferisce negli Stati Uniti; dapprima, la Mangano lo segue: fa un po’ avanti e indietro; poi resta a Roma. Lui si risposa; se ne va nel 2010 a Beverly Hills. E villa Catena, resta lì.

 
Dopo varie scaramucce con il Comune da parte dell’attuale società che ne è proprietaria, la vegetazione sta ormai ricoprendo del tutto il complesso; molti corpi di fabbrica sono diventati fatiscenti, anche quello che era il Casino del papa: crollato il tetto, erbacce in cima. Ogni cosa vandalizzata: mobili, piastrelle, camini; imminente il pericolo di crollo. Più che la storia di una villa insigne, questa è la cronaca di uno scempio assoluto, di cui, purtroppo, non si intravede nemmeno la fine. L’estremo acuto, si fa per dire, è del 2009: Matteo Garrone vi gira alcune scene di Pinocchio. Ma nemmeno questo è valso finora a salvarla.



l’interno come si presenta attualmente; quanto resta degli stucchi sulla volta di un corridoio, realizzati negli anni Cinquanta del secolo scorso dall’architetto Renzo Mongiardino, coinvolto da Dino De Laurentiis per ristrutturare gli interni della villa, dopo il suo acquisto.


ART E DOSSIER N. 402
ART E DOSSIER N. 402
OTTOBRE 2022
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE - La Galleria nazionale dell’Umbria riparte di Federico D. Giannini; DENTRO L’OPERA - Riattivare la storia di Cristina Baldacci; GRANDI MOSTRE. 1 - Giovanni Chiaramonte ad Astino - L’infinito messo a fuoco di Corrado Benigni; 2 - L’occhio in gioco a Padova - Visioni in movimento: reali o immaginarie di Sileno Salvagnini; ....