Grandi mostre. 1 
Giovanni Chiaramonte ad Astino

L’INFINITO MESSO
A FUOCO

Giovanni Chiaramonte ha dedicato buona parte del suo lavoro di fotografo al paesaggio, italiano e non solo. Contribuendo a formarne un’idea nuova, lontana dalle banalità “belpaesistiche” per cercare di restituire l’identità dei luoghi nella loro complessità e intreccio di cultura, natura, società.

Corrado Benigni

Influenzato dal neorealismo e legato ai modelli della nuova ricerca fotografica degli anni Settanta, Giovanni Chiaramonte come pochi altri in Italia ha contribuito alla ridefinizione poetico- concettuale dell’immagine del paesaggio contemporaneo. Ai diversi modi di percepire il paesaggio e la veduta urbana è dedicata la mostra dal titolo Realismo infinito promossa dalla Fondazione MIA di Bergamo, allestita all’interno degli spazi dell’ex Monastero di Astino, dal 10 giugno al 30 ottobre.

 

Il paesaggio nazionale, non più prigioniero delle sue bellezze e del suo glorioso passato

 
Un’esposizione e un libro che ripercorrono oltre due decenni – dal 1980 a inizio 2000 – di ricerca intorno a questo tema, da sempre al centro della fotografia e della riflessione teorica di Chiaramonte, che con Luigi Ghirri, Gabriele Basilico, Olivo Barbieri, Guido Guidi e Mimmo Jodice ha partecipato all’importante esperienza collettiva di Viaggio in Italia(1). Un progetto che all’inizio degli anni Ottanta ha stabilito un cambio di paradigma nel modo di intendere e rappresentare il paesaggio nazionale, non più prigioniero delle sue bellezze e del suo glorioso passato, ma attento a cogliere i luoghi marginali e antispettacolari della provincia capaci di raccontare i profondi mutamenti territoriali e sociali dell’Italia post boom economico.

Piacenza 1986;


Berlin 1984.


Segesta 1998;

Per Chiaramonte non esiste più un punto di vista preordinato per osservare il paesaggio; quest’ultimo diventa luogo suscettibile di differenti rappresentazioni che seguono le dinamiche dell’esperienza individuale. Le immagini s’illuminano al loro interno e prendono luce e colore a partire dalla linea dell’infinito che l’obiettivo del fotografo costantemente mette a fuoco. È questo il “realismo infinito” del titolo e di cui parla lo stesso autore offrendoci una chiave di lettura fondamentale del proprio immaginario visivo(2).


In questa esplorazione (suddivisa in tre capitoli: “Italia”, “Europe”, “Americas”), il nostro paese è un punto d’osservazione privilegiato: il suo territorio, che si presenta come una stratificazione di culture e civiltà, racconta in un colpo d’occhio la storia dell’intero Occidente. L’Italia dunque come “spazio contemporaneo” perché accoglie in sé epoche diverse che sono visibili simultaneamente. Questo è il nucleo centrale del percorso espositivo e del libro, il filo rosso che percorre e tiene insieme tutte le immagini: il paesaggio italiano come la lente per leggere e comprendere l’Occidente, la sua cultura e il suo destino. «Il senso della mia opera», ha spiegato l’autore, «è emerso lentamente, nel comprendere il modo e il nome in cui la labirintica complessità del paesaggio italiano dona forma a ogni sguardo che lo guarda»(3).


Attraverso queste immagini l’osservatore compie un vero e proprio viaggio dalla memoria di Atene e Roma attraverso l’Europa fino al Bosforo e a Gerusalemme. Tra le vestigia del Vecchio Continente cerca l’origine della nostra civiltà. Nelle immagini di Berlino ritrova le memorie romane, ma anche le forme rinascimentali in cui tutti gli elementi si fondono armoniosamente. È un’esplorazione verso il fondo delle stratificazioni del tempo e in ogni tappa ci mostra un innato spirito di simmetria italiano, dove il paesaggio si rivela entro ferree linee compositive.

Come ha scritto Simon Schama: «Anche i paesaggi che crediamo più indipendenti dalla nostra cultura possono, a più attenta osservazione, rivelarsene invece il prodotto»(4). Così anche nel paesaggio americano che ci mostra Chiaramonte, il fondamento greco e latino si rivela nelle colonne classiche disseminate ovunque fino al Partenone di Atene, fedelmente ricostruito a Nashville, la tradizione cristiana appare nelle innumerevoli croci che punteggiano l’orizzonte del territorio e la tragedia dell’Olocausto nel memoriale di Miami.

 
Allo stesso modo nelle fotografie dedicate al paesaggio centroamericano, l’autore rintraccia le ragioni per costruire una nuova città europea ritrovando l’immagine simbolo e fondante dell’Occidente: le colonne degli antichi templi pagani di Atene e Roma.


Per Chiaramonte, fotografare – e dunque conoscere – è l’emergere di qualcosa magari ignorato sino a quell’attimo ma accolto come proprio; è un modo per confrontarsi con la realtà, forse l’unico per non fermarsi ai segni di superficie. La sua fotografia-scrittura è un’archeologia del paesaggio; l’autore scende nei vari strati della realtà, per leggere i segni nascosti sotto altri segni, per raccogliere volti, esistenze, tracce della storia e salvarle dal fiume del tempo.


Corpus Christi, TX 1991.


(4) S. Schama, Paesaggio e memoria, Milano 1997.

Chiaramonte è il più “pittorico” dei fotografi della cosiddetta “scuola italiana di paesaggio”, anche se la sua opera è lontana da ogni forma di pittorialismo. Sul modello dei grandi maestri rinascimentali e fiamminghi, tratta la luce autonomamente dal colore, in modo empirico e non mimetico, producendo sulle superfici degli effetti variabili di intensità. Questo elemento contribuisce all’illusione del vero, alla rappresentazione della realtà. La luce nelle sue fotografie è strettamente connessa all’uso della prospettiva, un dispositivo della rappresentazione che richiede al fotografo di calarsi nella realtà concreta dello spazio, ma che si offre allo spettatore come un ambiguo gioco di superfici: pensiamo alla splendida immagine del tempio di Segesta, dove ombra e luce si contendono il campo ad armi pari.

In questa direzione si inserisce un altro elemento che caratterizza il lavoro di Chiaramonte: il rapporto aureo. Le sue fotografie rispettano le proporzioni delle forme seguendo linee precise: un bilanciamento della composizione che conferisce alle immagini armonia ed equilibrio, indipendentemente dal soggetto raffigurato, rendendo in questo modo suggestivo e vivo anche il panorama desolante di certi paesaggi di periferia.

Non è dunque casuale che il maestro milanese, anche stimolato dall’incontro con l’opera di Walker Evans e soprattutto di Minor White, figure chiave della fotografia americana, prediliga il formato quadrato derivato dal negativo 6x6. Per Chiaramonte il quadrato ha un valore simbolico, un valore di rapporto fra terra e cielo, in cui tutti gli elementi trovano la giusta collocazione. Così ogni paesaggio diviene un’invenzione spaziale, dentro la quale elaborare nuove sintassi figurative, che ci fanno pensare che sia ancora possibile immaginare una realtà che non sia tutta ridotta a scarto e polvere.

IN BREVE:

Giovanni Chiaramonte. Realismo infinito
a cura di Corrado Benigni
Monastero di Astino (Bergamo)
fino al 30 ottobre
orario venerdì 18-21, sabato 15-20, domenica 10-12/15-20
catalogo Electa
www.fondazionemia.it

ART E DOSSIER N. 402
ART E DOSSIER N. 402
OTTOBRE 2022
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE - La Galleria nazionale dell’Umbria riparte di Federico D. Giannini; DENTRO L’OPERA - Riattivare la storia di Cristina Baldacci; GRANDI MOSTRE. 1 - Giovanni Chiaramonte ad Astino - L’infinito messo a fuoco di Corrado Benigni; 2 - L’occhio in gioco a Padova - Visioni in movimento: reali o immaginarie di Sileno Salvagnini; ....