Molti lavori che sono confluiti nell’esposizione Pleasures and Terrors of Domestic Comfort solo negli ultimi anni sono stati pubblicati. Penso a Sage Sohier, Judith Black o anche Joan Albert, il cui Family Photographs è stato edito da Stanley/Barker qualche mese fa a cura proprio di Sage Sohier.
C’è una rinnovata tensione progettuale nei confronti di quel modo di rappresentare la quotidianità, intima, privata e visivamente complessa. Da cosa è motivata questa tensione? E cosa aggiunge lo sguardo contemporaneo alla lettura di quei progetti?
Vale la pena notare che mentre i progetti di molti fotografi uomini presenti nella mostra del MoMA sono stati pubblicati molto tempo fa, quelli realizzati da fotografe donne sono stati invece oggetto di stampa solo oggi. Una scelta doverosa che deriva, credo, dalla necessità di attuare un bilanciamento di genere. Spero che questa nuova ondata di libri stimoli i fotografi più giovani a esplorare lo spazio domestico.
Quanto il tuo innamoramento per la natura dell’immagine, per non dire ossessione, ti ha portato a diventare il fotografo che sei oggi? Il libro A Pound of Pictures, pubblicato da MACK, parla proprio di questo…
Questa è una domanda difficile a cui rispondere. L’amore per le immagini ha dato avvio al mio viaggio. Inizialmente ritagliavo ossessivamente le fotografie e le appuntavo alla parete. Con il passare dei decenni, ho capito che ciò che mi spinge di più, nella produzione dei miei progetti, è il processo stesso. È come dire: «Mi piace il pesce, ma sono più interessato alla pesca». Con A Pound of Pictures ho riflettuto e sto ancora riflettendo su questa dicotomia.
In A Pound of Pictures appare evidente anche la tua passione per il collezionismo di fotografie. Come le storie altrui, immortalate da autori anonimi, vanno a confluire nel tuo immaginario? E come ti aiutano a creare le tue storie?
Con A Pound of Pictures pensavo ai modi in cui creiamo significato con diversi tipi di fotografie, sia firmate che anonime.
In quest’ultimo caso, praticamente, tutto il significato è creato dallo spettatore [che non ha un riferimento autoriale né è a conscenza del background da cui la fotografia proviene].Ma poiché queste immagini sono così numerose e di solito di scarso valore, è raro che ci prendiamo del tempo per creare questo significato. La differenza fondamentale con la fotografia “artistica” è questo valore aggiunto.
Se metti una cornice intorno a un’immagine e l’appendi in un museo, più persone proietteranno un significato su di essa.