IL CACCIATORE DI NUVOLE

In un dipinto di Anselm Kiefer del 1997 intitolato The Renowned Ordersof the Night, una figura supina sembra offrirsi all’immensità notturna che le si spalanca sopra.

La postura orizzontale indica uno stato privo di difesa, una sorta di ipnosi cosmica. Quell’uomo può solo contemplare.
Non erano stelle, ma nuvole, quelle che dalla stessa prospettiva, disteso sul prato del suo giardino londinese, oltre due secoli prima Constable passava a scrutare per ore. E non era contemplazione, la sua, né rapimento mistico. In quei momenti, il mancato facoltoso mugnaio del Suffolk “diventava” letteralmente meteorologo e scienziato.
Lo riferisce il suo biografo, il pittore americano Charles Robert Leslie(1): dietro una serie di studi sul cielo eseguiti ad Hampstead Heath, era annotato: «5 settembre 1822, ore 10 antimeridiane, guardando a sud-est, vento gagliardo a ovest. Nubi luminosissime e grigie in rapida corsa su uno strato giallo, circa a mezza altezza in cielo». Tutto questo per diventare pittore come intendeva lui. È questo che voleva John Constable, “cacciatore di nuvole”.
Un’idea fissa, peraltro non in linea con i tempi, che sono quelli del passaggio tra XVIII e XIX secolo; e i luoghi, la Royal Academy e il suo “establishment” in tema di orientamento estetico e ideologico.
Per la perplessità del collega Ramsay Reinagle con cui coabitava negli anni della Royal Academy, Constable stava prefigurando, senza ancora saperlo, un grande progetto. Fare del paesaggio - convenzione pittorica che fino ad allora in patria e fuori non era riuscita a qualificarsi neppure come “doppio” platonico della realtà - farne, dicevo, il centro visivo e narrativo del quadro. Renderlo protagonista, genere capace di inventarsi una storia e un futuro in tutta autonomia. Riscattarlo insomma dai tradimenti e dalle manipolazioni con cui per secoli la “grande” arte l’aveva umiliato. Non ultimo, emanciparlo dalla poetica del “pittoresco” che proprio in Inghilterra per tutto il XVIII secolo aveva furoreggiato, sottoponendolo a un “maquillage” di suggestivi complementi e abbellimenti, di esagerazioni stilistiche che ne travisavano l’imprescindibile essenza oggettiva.



Daniel Gardner, John Constable (1796); Londra, Victoria and Albert Museum.

Anselm Kiefer, The Renowned Orders of the Night (1997); Bilbao, Museo Guggenheim.


Studio di nuvole (1821); New Haven (Connecticut), Yale Center for British Art.
Uno dei numerosi studi realizzati da Constable sul tema. Quasi tutti riportano data e ora di esecuzione, insieme alle condizioni meteorologiche del momento, alla direzione dei venti, e a tutte le annotazioni scientifiche che i suoi studi specifici potevano consentirgli.


Ramsay Richard Reinagle, John Constable (1799); Londra, National Portrait Gallery.

Una poetica, quella del pittoresco, teorizzata da Uvedale Price e di cui aveva risentito lo stesso Gainsborough, così come ne avrebbero risentito Wilson, Girtin, Crome, fino al giovane Turner, tutti protagonisti della pittura inglese di quegli anni.
Dal suo osservatorio zenitale, naso all’insù, Constable era in grado di penetrare il fenomeno fisico nelle più fuggevoli mutazioni, nel suo prodigioso apparire e dissolversi. Nessun altro spettacolo della natura, come un cielo ingombro di nuvole, poteva dargli tante informazioni.
«La natura deve essere decifrata come si decifrano i geroglifici egizi», diceva, convalidando il supremo paradigma di Eraclito che da oltre due millenni recitava che «la natura ama nascondersi».
Un’indagine, la sua, per la quale l’imminente romanticismo non sarebbe arrossito di fronte ai dogmi della ragione che il verbo illuminista aveva diffuso in tutto il continente. Come dire che per Constable lo spirito dell’Encyclopédie aveva svelato e magari estorto i segreti della natura anche perché l’arte potesse servirsene, permettendole appunto di rigenerare la vera identità del paesaggio. Si trattava soprattutto di chiudere con gli incipriati fondali che nell’Europa pre-rivoluzionaria avevano fatto del paesaggio un uso esclusivamente decorativo, per scenari dove far volteggiare amorini e ghirlande fiorite.
A parte i precocissimi sintomi annunciati oltre un secolo prima in area franco-olandese da Poussin, Hobbema, Ruysdael e Lorrain (quello di Agar e l’angelo che resterà un modello per i paesaggisti a venire), nell’intermezzo del XVIII e XIX secolo in Inghilterra il paesaggio resta poco più che un accessorio letterario. In sostanza è la cornice che inquadra scene storiche e mitologiche o, secondo una versione più estrema e pre-simbolista, l’evocazione di quel “sublime” che scaturirebbe dalle energie occulte dalla natura.
Edmund Burke aveva teorizzato in proposito, facendosi non pochi proseliti, in Germania soprattutto, con Friedrich a fare da antesignano; senza dimenticare le varianti dell’”infinito” e dell’”indicibile”, categorie invece care e congeniali agli “ossianici” Blake e Füssli. Quest’ultimo, per quanto ostile a un genere che riteneva di bassa rilevanza, fu tra i pochi contemporanei a intuire il talento di Constable e la svolta che avrebbe dato alla pittura di paesaggio. Ammirazione che non gli impedì di gratificarlo di una frecciata rimasta celebre: «Artista di gran merito, Constable, certamente. Solo che quando guardo un suo quadro, mi viene da prendere il pastrano e l’ombrello».
Se passiamo alle modalità “tecniche” proprie del genere, per la tradizione britannica il paesaggio restava categoria indifferente ai valori di quella percezione sensoriale che con l’École de Barbizon, e più tardi con l’impressionismo, sarebbe diventata strumento “diagnostico” e insieme obiettivo finale del pittore. E benché la pittura come conclamata scienza della visione dovesse trovare ancora il suo tempo, è indubbio che Constable è tra i primi, se non il primo in assoluto a preparare, attraverso un’intuizione tanto univoca quanto solitaria, quella strada.


Claude Lorrain, Paesaggio con Agar e l’angelo (1646); Londra, National Gallery.
Per la forte presenza del paesaggio che fa da sfondo al racconto biblico, il quadro fu considerato un modello per i pittori che un secolo e mezzo più tardi ne fecero un genere autonomo.

Sentiero vicino a Dedham (1802), particolare; Yale, Yale Center for British Art, Paul Mellon Collection.


Nicolas Poussin, Paesaggio con Agar e l’angelo (1660); Roma, palazzo Barberini - Galleria nazionale d’arte antica.

C’è comunque una premessa da fare.
È noto che la storiografia critica, se motivata, si accanisce alla caccia al precursore o ai precursori di una data corrente, creando non pochi malintesi filologici e provocando continue smentite dalle varie scuole di pensiero. Ma se si parla di diritto di primogenitura, come Cézanne è riuscito ad annunciare il superamento della “petite sensation” di matrice positivista, anticipando l’identikit del moderno in arte, così Constable sottopone profeticamente la forma in natura alla supremazia del tocco pittorico, rendendo la realtà riconoscibile “per procura” di quel tocco. Intendo dire che in Constable è la pittura che per la prima volta si prende la rivincita sulla realtà, a condurre il gioco. Noi crediamo di distinguere una foglia d’albero quando invece, avvicinandoci al quadro, vediamo solo una macchia colorata. «Ma come spiegare», si domanda Giulio Carlo Argan, «che quella macchia, pur non descrivendo nulla, dica tutto, perfino la forma dei rami e delle foglie?»(2). La risposta non può essere che una: quella macchia ci fa “ri-conoscere” l’albero, non ci dà una nozione, ma attiva un’esperienza che preesiste in noi, nella nostra memoria collettiva, si potrebbe dire “proustianamente”. La macchia è insomma la prova, l’impronta dell’emozione vissuta dal pittore di fronte al vero naturale; è il frammento di un tramite psichico che non ha bisogno d’altro per rappresentare qualcosa. Tramite che, per una sorta di meccanismo induttivo, va poi a coincidere con il nostro sguardo e la nostra emozione. Quella macchia, infine, è l’eresia che Constable commette ai danni delle norme estetiche dell’ora.
Quando, secondo un inveterato dogma accademico, prima regola del pittore era annullare quanto più possibile la traccia della pennellata sulla tela, rendere assolutamente uniforme, e dunque “gratificante” all’occhio dello spettatore, la superficie pittorica; farne insomma una sorta di epidermide incontaminata. Senza tener conto che erano passati tre secoli da quando Leonardo aveva operato quel prodigio…



Mattino nella valle di Dedham (1811); Peterborough (Cambridgeshire).
Ancora uno dei temi prediletti da Constable. Prima dell’opera definitiva, il pittore eseguiva, sempre a olio, varie prove sul soggetto.

CONSTABLE
CONSTABLE
Giuliano Serafini
La pittura del periodo romantico è rappresentata soprattutto dal paesaggio,e in questo genere i più attivi furono senza dubbio gli inglesi. Tra questi ultimia eccellere, oltre a Turner, era John Constable (East Bergholt 1776 - Londra1837). Viveva nella campagna del Suffolk, non aveva quindi che da guardarsiintorno per trovare quel rapporto stretto con la natura – fatta di cieli, boschi,fiumi – che rappresentava per quella generazione di artisti la chiave diaccesso al livello più alto dell’atto creativo. L’accesso alla Royal Academy gliconsentì poi di allargare le sue fonti di ispirazione alla tradizione del passato,soprattutto francese e olandese. Il suo approccio non era solo sentimentale,tutt’altro, era molto incline a pensare al suo lavoro come a un’indaginescientifica, della quale fanno fede soprattutto le innumerevoli, dettagliateraffigurazioni di nuvole di ogni tipo.