«La natura deve essere decifrata come si decifrano i geroglifici egizi», diceva, convalidando il supremo paradigma di Eraclito che da oltre due millenni recitava che «la natura ama nascondersi».
Un’indagine, la sua, per la quale l’imminente romanticismo non sarebbe arrossito di fronte ai dogmi della ragione che il verbo illuminista aveva diffuso in tutto il continente. Come dire che per Constable lo spirito dell’Encyclopédie aveva svelato e magari estorto i segreti della natura anche perché l’arte potesse servirsene, permettendole appunto di rigenerare la vera identità del paesaggio. Si trattava soprattutto di chiudere con gli incipriati fondali che nell’Europa pre-rivoluzionaria avevano fatto del paesaggio un uso esclusivamente decorativo, per scenari dove far volteggiare amorini e ghirlande fiorite.
A parte i precocissimi sintomi annunciati oltre un secolo prima in area franco-olandese da Poussin, Hobbema, Ruysdael e Lorrain (quello di Agar e l’angelo che resterà un modello per i paesaggisti a venire), nell’intermezzo del XVIII e XIX secolo in Inghilterra il paesaggio resta poco più che un accessorio letterario. In sostanza è la cornice che inquadra scene storiche e mitologiche o, secondo una versione più estrema e pre-simbolista, l’evocazione di quel “sublime” che scaturirebbe dalle energie occulte dalla natura.
Edmund Burke aveva teorizzato in proposito, facendosi non pochi proseliti, in Germania soprattutto, con Friedrich a fare da antesignano; senza dimenticare le varianti dell’”infinito” e dell’”indicibile”, categorie invece care e congeniali agli “ossianici” Blake e Füssli. Quest’ultimo, per quanto ostile a un genere che riteneva di bassa rilevanza, fu tra i pochi contemporanei a intuire il talento di Constable e la svolta che avrebbe dato alla pittura di paesaggio. Ammirazione che non gli impedì di gratificarlo di una frecciata rimasta celebre: «Artista di gran merito, Constable, certamente. Solo che quando guardo un suo quadro, mi viene da prendere il pastrano e l’ombrello».
Se passiamo alle modalità “tecniche” proprie del genere, per la tradizione britannica il paesaggio restava categoria indifferente ai valori di quella percezione sensoriale che con l’École de Barbizon, e più tardi con l’impressionismo, sarebbe diventata strumento “diagnostico” e insieme obiettivo finale del pittore. E benché la pittura come conclamata scienza della visione dovesse trovare ancora il suo tempo, è indubbio che Constable è tra i primi, se non il primo in assoluto a preparare, attraverso un’intuizione tanto univoca quanto solitaria, quella strada.