IN PRINCIPIO ERA IL SUFFOLK

John Constable nasce l’11 giugno 1776 nel villaggio di East Bergholt, nella contea del Suffolk, una delle regioni agricole più fertili e ricche d’Inghilterra, da Golding e Ann Watts.

Il padre, mercante di cereali e proprietario di due mulini lungo il fiume Stour, nel tempo aveva accumulato una discreta fortuna. Successore a capo dell’azienda, avrebbe dovuto essere il figlio maggiore Golding junior ma, disabile, a sostituirlo era destinato John.
Famiglia numerosa, sei figli da sistemare (le femmine erano tre, Ann, Martha e Mary) o avviare a occupazioni concrete - oltre a Golding e John c’era Abram -, che si parlasse di arte come possibile professione per uno di loro, al padre non poteva andare a genio. Secondo una consuetudine inveterata, fu “mummy” Ann a sostenere John nella sua determinazione a diventare pittore.
Lungo tutto l’arco della sua carriera, Constable, come sappiamo, fu artista “stanziale” per antonomasia. Riconosceva con orgoglio che a ispirarlo era stata la solenne e domestica serenità della campagna del Suffolk e la valle di Dedham, nel limitrofo Essex, con i suoi sentori rurali, i lenti ritmi di vita, i vasti cieli umidi, l’eterno trascorrere e rinnovarsi delle stagioni. Per il giovane Constable si trattava insomma di vivere l’idillio con tutti i sensi, e dal vero. L’Arcadia diventava affare di Wordsworth e Coleridge.
«Sono questi luoghi che mi hanno fatto pittore», ribadiva.
Gli inizi hanno questo sfondo, non c’era altro che potesse attrarlo, né probabilmente ne avrebbe ammesso l’esistenza.
«L’origine è la meta», scriverà un secolo più tardi Karl Kraus(4).
In questo voler essere “irrimediabilmente inglese”, come riferisce Andrew Shirley(5), sta anche la fin troppo decantata antinomia con Turner, il presunto rivale; che era personalità inquieta e scomoda, gran viaggiatore alla continua ricerca di esperienze forti da trasmettere al suo gesto pittorico: insomma il necessario antagonista per un pubblico assetato di mitologie personali, pregiudizi e idiosincrasie messe in conto.



Testa di ragazza (la sorella Mary?) (1808-1809); Londra, Victoria and Albert Museum.
La famiglia di Constable restò sempre unita, i rapporti del pittore con le tre sorelle e i tre fratelli furono molto solidali e affettuosi.

William Turner, Autoritratto (1799 circa); Londra, Tate.


Il mulino di Flatford da una chiusa sullo Stour (1811); Londra, Victoria and Albert Museum.
Il dipinto rappresenta il mulino di Flatford acquistato dal padre. Del soggetto si hanno altre versioni su carta, tutte di eccezionale qualità, oggi in gran parte alla Tate.


William Turner, Bufera di neve: Annibale e il suo esercito attraversano le Alpi (1812); Londra, Tate.

Fatto è che da un incipit biografico di tutta normalità, Constable fa compiere al paesaggio in pittura il gran salto, mutandolo da vagheggiata proiezione sentimentale a sentimento tout court. Nelle sue previsioni, il pittore doveva tener conto di una «alterità, misurarsi con un interlocutore reale e tangibile». Nel senso che il paesaggio diventava “presenza” e “persona”. E lo scambio sarebbe stato alla pari. Fin dall’inizio una sorta di sacralità benedice questo rapporto fatto di conoscenza costante e metodica, che nel tempo sarebbe diventata appropriazione esclusiva, conquista per sempre. E sarà proprio alla normalità di cui dicevo, alla estraneità da quel mitologismo biografico che vorrebbe l’artista creatura eletta e maledetta, comunque marchiata dalla diversità e dalla trasgressione (si pensa a Caravaggio, Goya, Modigliani, Bacon), che il pittore di East Bergholt affida il suo grande disegno.
Tanta fedeltà ai luoghi favoriva necessariamente la reiterazione del soggetto, che a sua volta richiedeva approfondimento e pratica delle varianti sul tema. Diventava stimolo a potenziare l’osservazione, a sperimentare, abbozzare, correggere. Serviva inoltre ad allenarsi alla rapidità del tocco, che resterà una caratteristica, soprattutto dell’opera iniziale e finale di Constable; ma anche segno di una predilezione per il “non finito” spinta al limite della mania. Sappiamo che inviava alla mostra annuale della Royal Academy il quadro nella versione definitiva (quale peraltro pubblico e critica si aspettavano) e conservava gelosamente per sé il bozzetto, che riteneva superiore all’opera esposta. E spesso lo era.
Attraverso una sequenza di schizzi e prove sullo stesso soggetto, eseguiti a olio su formato in ordine crescente, Constable svolgeva un graduale processo di individuazione del paesaggio. Un metodo che gli permetteva di cogliere la natura “sul fatto”: cioè a una data ora, in un determinato luogo, sotto una propria luce, a un certo trascorrere di nuvole e, verrebbe da dire, allo spirare di “quel” vento e non di un altro.
La circostanza topica, l’“hic et nunc” in cui il paesaggio si sottopone a Constable, danno al suo quadro una “verità” ignota a Gainsborough, a Bonington o a Girtin, e in genere agli adepti del pittoresco, per i quali il paesaggio poteva essere in definitiva “ogni” paesaggio. Per Constable, al contrario, la verità in natura sta nelle sue infinite epifanie, ogni volta uniche e irripetibili. «Il mondo è vasto», confessa a Leslie(6), «non ci sono due giorni che si rassomigliano, e nemmeno due ore; non ci sono mai state due foglie simili fin dalla creazione del mondo; e le produzioni artistiche pure e autentiche come quelle della natura sono tutte diverse l’una dall’altra».



Veduta dello Stour vicino a Dedham (1822?). Il cielo occupa la metà del dipinto. Il rapporto che Constable stabilisce tra elemento atmosferico e ordine vegetale è ispirato alla sua intransigente concezione del paesaggio dove il fattore scientifico si integra necessariamente a quello poetico.

Studio per un tronco di olmo (1821); Londra, National Gallery.
È un dipinto assai ricco di dettagli. Il bisogno di avvicinarsi alla natura e alla sua conoscenza più profonda, si manifesta qui in modo esemplare. In una sua lezione al Royal Institute, Constable riferì con commossa indignazione di un albero morto su cui era stato infisso un cartello indicatore.


John Hoppner, Ritratto di sir George Beaumont (1803).

Terminati gli studi primari alla Grammar School di Dedham, da figlio devoto, John fa la sua “corvée” di sette anni presso i mulini del padre. Condizione che nel 1799 gli avrebbe aperto la strada per la Royal Academy. Ma nel frattempo, autodidatta, si inizia alla pittura. Prende schizzi e disegni girovagando a occhi ben aperti intorno a East Bergholt, spesso in compagnia del pittore e amico John Dunthorne, e si esercita al “plein air”. C’è poi un breve sodalizio con il pittore dilettante Thomas Smith, personaggio discusso per fatti giudiziari che l’avevano coinvolto, ma in realtà suo primo vero mentore in questa vigilia alla Royal Academy. Decisivo sarà infine l’impatto con l’eccellenza in pittura, e ai livelli più alti. Paradossalmente l’occasione gli è offerta proprio da Golding senior, ormai arresosi, che lo presenta al già citato collezionista Sir George Beaumont. Constable ha così modo di conoscere e studiare i pezzi forti della sua raccolta, familiarizzare dal vivo con l’opera di Rubens, Rembrandt, il Lorrain di Agar e l’angelo, Ruysdael. Tra i contemporanei è interessato soprattutto a Girtin, sui cui acquerelli sperimenta quella “broad manner” (maniera larga) dove il pennello si alterna alla spatola, che in definitiva è una lezione di sintesi e rapidità pittorica.
Ma se nel tempo gli stimoli culturali di base guardano al modello prestigioso di derivazione italiana (Tiziano, Canaletto, Carracci), fiamminga e olandese (Rubens e Ruysdael), per il ventenne Constable è col genere paesistico che scatta l’empatia. L’obiettivo è quello, il solo. Rifiuta l’incarico di maestro di disegno alla Great Marlow Military School per poter avanzare in tutta libertà nel suo progetto.
Grazie alla mediazione di Reinagle, pescando dalla non eccelsa rendita paterna, riesce ad acquistare un quadro di Ruysdael e a farne la copia. Insieme ai classici italiani, la sua area di ricognizione resta comunque circoscritta alle scuole dell’Europa centrale; là dove il neoclassicismo non aveva trovato quel riscontro altrove tanto vasto quanto tradito da riesumazioni archeologiche inerti e abusive. Tanto che il romanticismo avrebbe approfittato di questa defezione per annunciare e diffondere la sua buona novella nella più che ricettiva area britannica, fino a raggiungere, in letteratura, esemplari e rapinose vette nell’opera e nella vita (e nella morte) di Byron, Keats e Shelley.
Venivano poi i conterranei. Nel 1799 da Ipswich scriveva a Reinagle: «Mi sembra di scoprire Gainsborough in ogni siepe, in ogni cavità d’albero, in ogni giardino che vedo». C’è una sorta di sindrome animistica in questo neofita ancora ignaro di come la natura gli avrebbe risposto. Di Gainsborough ama i sontuosi parchi che vorrebbe però disabitati dalle loro aristocratiche “conversation pieces”. Ci sono anche Lawrence, lo stesso Girtin e Cozens, il più “spinto” tra i pittori romantici della prima ora (fu un fanatico del Grand Tour, autore di ariose e liriche vedute laziali dei laghi di Nemi e di Albano).
Senza troppo brillare, nel 1802 Constable comincia a esporre alla Royal Academy. Sono prove precoci e discontinue, interrotte da non poche difficoltà economiche. Tra l’altro deve fare i conti con i pregiudizi sui generi, e accettare committenze di copie da Reynolds, ritratti ispirati alle morbide atmosfere dello stesso Reynolds, e a Lawrence. Sono lavori di fattura impeccabile, molto ben retribuiti. Non può rifiutare neppure il soggetto sacro. Sempre nel 1802 esegue le pale d’altare della chiesa di Brantham.
Una stagione di ricerca metodica e accanita, ma anche di passione e inquietudine.
«Sono due anni che inseguo pitture di seconda mano», scrive nello stesso periodo a Dunthorne, «non riesco a rappresentare la natura con la stessa levatura mentale con cui sono partito, ho preferito che le mie opere assomigliassero a quelle degli altri». E, continuando, l’ideologia sembra prendere forma: «Tornerò a Bergholt dove proverò a dipingere con uno stile semplice le scene che vorrò. A un pittore “naturale” basta una stanza […] Alla mostra [alla Royal Academy] c’è poco o nulla che valga la pena di vedere. Il gran vizio di oggi è la bravura, che è un tentativo di scavalcare la verità».


Thomas Gainsborough, Altopiano boscoso (1783 circa); New York, Metropolitan Museum of Art.


Jacob van Ruysdael, Veduta di Naarden (1647); Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza.
Pittore olandese tra i più ammirati da Constable, al punto che acquistò un suo dipinto e ne fece una copia.


Veduta della Royal Academy alla Burlington House, Londra.


Thomas Gainsborough, Paesaggio (1750 circa); Edimburgo, National Gallery of Scotland. Gainsborough fu uno dei modelli di Constable, soprattutto quando si allontanò dall’estetica del “pittoresco”.

Il passo è illuminante. Constable sta prendendo atto che il virtuosismo incoraggiato e foraggiato dalle accademie è esattamente l’opposto della verità in natura. Verità che a sua irremovibile convinzione non nasce dall’imitazione e dell’abilità con cui la natura stessa viene rappresentata. È con l’intervento risanatore dell’artista che essa si rivela, stando a Kant, allo stato “noumenico”, da realtà in sé(7).
Questa, in sintesi, è la verità che Constable sta rincorrendo. Il limite che non potrà essere “scavalcato” se si vuole evitare che la realtà diventi mistificazione, “bravura”, appunto, cioè il suo stesso contrario. Sempre nel 1802 l’artista compie un viaggio, uno dei pochi fuori dal recinto sacro del suo Suffolk. Va a dipingere al Lake District, contea del Cumberland, nel Nord-Ovest del paese. Vi trascorre due mesi e rientra fortemente deluso, impressionato dal clima tempestoso di quelle montagne che avrebbero invece ispirato e fatto grande l’opera di Turner, anch’egli pellegrino in quei luoghi.
L’incompatibilità tra i due pittori, una perla biografica tra le più celebri della storia dell’arte, si manifesta fin dalle scelte tematiche, diventando negli anni un vero paradigma per estimatori e critici partigiani.
Di qui a coinvolgere la reciproca sfera privata e caratteriale non ci sarebbe voluto molto; quando in realtà Constable e Turner ebbero scarse occasioni di frequentarsi. Ma, a doverlo ricordare, l’esagerazione si addice al mito.
L’attenzione al fenomeno naturale contingente, al soggetto ravvicinato, prevede nel primo periodo di Constable una rinuncia al vedutismo o comunque al tema di respiro panoramico.
Prefigurando il macrocosmo nel dettaglio in natura - e qui si può trovare una certa sinestesia con Jane Austen, nei cui romanzi il minimo si trova sempre a doversi confrontare con il grandioso e l’estremo -, il pittore di Bergholt dovrà inventarsi una propria metodica: nel caso, concentrarsi sui più sottili passaggi cromatici e luminosi a cui l’azione del sole e dell’ombra sottopongono il suo soggetto. Che vuol dire non poter ricorrere, e lo vedremo anche in seguito, a nessun apporto dell’immaginazione, né a quelle licenze pindariche di cui il pieno romanticismo si sarebbe ampiamente servito. «Luce, brezza, fioritura, freschezza.
Nulla di ciò», riporta ancora Leslie dando la parola allo stesso Constable(8)«è stato fino a oggi rappresentato sulla tela da un qualsiasi pittore al mondo […] la mia arte limitata si trova in ogni sentiero, si pensi di ciò quello che si vuole, almeno questo è mio». E conclude con una metafora “naïve” e insieme sentenziosa:
«Preferirei avere la più piccola proprietà, fosse solo una capanna, che vivere in un palazzo che appartenga a un altro».
L’orgoglio si fa sentire. Constable sa che appartenere a se stessi non è impresa da poco, soprattutto per un soggetto naturalmente socievole e positivo qual era.
Ma accetta la sfida. Il buon carattere dà concretezza all’uomo che in fondo è un sognatore, e al realista che tra le righe è un romantico “in nuce”.
Su tale presunta bivalenza è venuta a crearsi quella che potremmo chiamare la “questione Constable”; secondo cui, a detta di una fronda critica britannica - con riferimento soprattutto al suo periodo più fecondo, che va dal 1819 al 1825 - nell’artista convivrebbero due anime: quella del realista, diligente e tenace, e quella del romantico, capace di esaltanti intuizioni visionarie. Perché il capolavoro venisse fuori, sempre secondo questa linea esegetica, bisognava che le due nature convergessero per attrazione spontanea.
In questo senso, spingendo oltre il discorso a rischio di essere frainteso, Francesco Arcangeli, in un saggio uscito su “Paragone” per la grande retrospettiva dedicata a Constable alla Biennale veneziana del 1950, parla di «limbo»(9). «[Constable] non era abbastanza e clamorosamente moderno», scrive Arcangeli, «da provocare scandalo. Lo fu tanto da non piacere che a pochi».
In realtà Constable è stato un pittore di “transito”. Cosa che allora non poteva essere facilmente avvertibile. La sua portata innovativa resta per così dire interna ai valori fondanti il processo pittorico, in qualche modo bisogna andarla a cercare.
È in silenzio che il pittore agisce e sembra contraddirsi.
Va ricordato che il Constable “tecnico” ricorreva a raffinati e non allora risaputi espedienti. A cominciare dall’utilizzo del colore “locale”: che è il colore proprio di un oggetto esposto alla luce naturale, al riparo da effetti che potrebbero modificarlo o da fattori quali la distanza o il riflesso di corpi vicini capaci di influire sulla sua “naturalità” e purezza. E ancora. Per preparare la tela, vi stendeva densi strati di biacca, in modo da ottenere una tavolozza estremamente luminosa e brillante, in grado di raggiungere sottigliezze cromatiche altrimenti non percepibili: come l’effetto della rugiada e dell’umidità sull’erba o la trasparenza dell’acqua su fondali bassissimi.
E poi la luce: che nell’“en plein air” preferiva quella del mezzogiorno, con il sole abbastanza alto da rimanere fuori dalla tela.
«Compito del pittore è una pura percezione del fatto naturale», scriveva ancora a Leslie a conferma di quella aderenza al dato reale così intensamente voluta che presto si sarebbe snaturata per convertirsi nella sua stessa sublimazione.



Thomas Girtin, Bamburgh Castle, Northumberland (1797-1799); Oxford, Ashmolean Museum.
Girtin è stato uno dei modelli di Constable, soprattutto nel suo primo periodo.

CONSTABLE
CONSTABLE
Giuliano Serafini
La pittura del periodo romantico è rappresentata soprattutto dal paesaggio,e in questo genere i più attivi furono senza dubbio gli inglesi. Tra questi ultimia eccellere, oltre a Turner, era John Constable (East Bergholt 1776 - Londra1837). Viveva nella campagna del Suffolk, non aveva quindi che da guardarsiintorno per trovare quel rapporto stretto con la natura – fatta di cieli, boschi,fiumi – che rappresentava per quella generazione di artisti la chiave diaccesso al livello più alto dell’atto creativo. L’accesso alla Royal Academy gliconsentì poi di allargare le sue fonti di ispirazione alla tradizione del passato,soprattutto francese e olandese. Il suo approccio non era solo sentimentale,tutt’altro, era molto incline a pensare al suo lavoro come a un’indaginescientifica, della quale fanno fede soprattutto le innumerevoli, dettagliateraffigurazioni di nuvole di ogni tipo.