La pagina nera 


MA QUANTO SI È SPENTA
LA “CITTÀ IRREDENTA”

Trieste, una terra con due volti: bello da un lato, in stato di degrado dall’altro. Sì, perché insieme a magnifici palazzi, con le facciate tornate alle loro cromie originarie grazie agli incentivi governativi, troviamo un lungo elenco di siti ed edifici abbandonati. Una situazione drammatica che ha stimolato un gruppo locale a documentarne le dolorose ferite.

di Fabio Isman

Negli ultimi tempi, grazie al “bonus facciate” e ad altri sussidi governativi, Trieste appare come un florilegio di palazzi ritrovati: tanti edifici ormai spenti hanno di nuovo i propri colori; si tornano a vedere immobili con in cima gli stemmi e gli altorilievi. Ma resta impressionante la quantità di strutture abbandonate che la città possiede. Sono il frutto di un’antica grandezza perduta, quando era il primo porto dell’Austria-Ungheria, e di infinite crisi successive, dalle fabbriche ai cantieri, e perfino alle forze armate: fino ad anni non troppo remoti, l’esercito italiano era infatti attestato, per un buon terzo, sulla “soglia di Gorizia”. E si possono aggiungere anche l’invecchiamento e lo spopolamento, l’essere terra di confine, priva di una vera e propria Provincia (abolita e sostituita, contava, capoluogo compreso, appena sei Comuni), e altre mille concause. La superficie dei luoghi abbandonati, qualche anno fa, era valutata in novantamila metri quadrati, pari a tredici campi di calcio. Ma era forse un calcolo per difetto, e non teneva nemmeno conto dell’immenso Porto vecchio (sessantasei ettari), che in buona parte attende ancora la resurrezione, con i suoi numerosi edifici liberty.

L’età dell’oro, lo sanno tutti, è quella che spazia da Carlo VI a Maria Teresa d’Asburgo: nel 1719 nasce il Porto franco; nel 1775 la Borsa, e contemporaneamente il quartiere del Borgo teresiano. Nel 1801 si inaugura il teatro Verdi (gli fu intestato la notte stessa della scomparsa: all’inizio era il Nuovo), proposto da Giovanni Matteo Tommasini e realizzato da Giannantonio Selva, l’autore della Fenice di Venezia, e da Matteo Pertsch. Dal 1831 al 1838 sorgono le Assicurazioni generali, la Riunione adriatica di sicurtà, il Lloyd austriaco (poi triestino), nella cui emeroteca giungevano, da ogni parte del mondo, centinaia di giornali in libera consultazione. Per capire meglio il clima del tempo, Constantin von Economo (1876-1931), pioniere delle neuroscienze e insigne medico della scuola di Vienna, a Trieste «parlava greco con il padre, tedesco con la madre, francese con due fratelli, e con l’altro in italiano, cioè nel dialetto del luogo».

Bene: ancora timidamente, ma i Cosulich c’erano già: notizie su loro risalgono forse al XVI secolo. Il primo di una lunga genealogia di armatori è Martino: nasce a Lussinpiccolo (ora Mali Lošinj in Croazia); e Antonio, a metà Settecento, era già un capitano di vascello. La famiglia, poi, si trasferirà a Trieste, e tra le navi avrà, per esempio, la Saturnia e la Vulcania: rotte (ed emigranti) in tutto il mondo. Nel 1920 un altro Antonio Cosulich ritorna dall’Argentina, dove dirigeva gli affari famigliari, e nel quartiere di Gretta, verso il Faro della Vittoria costruito nel 1927 da Arduino Berlam, compra una splendida villa. Sarà venduta solo nel 1980, e nel 1997 diverrà proprietà del Comune: l’ettaro di parco, per fortuna, è ora pubblico; ma della costruzione resta unicamente lo spettro, che fa star male solo a guardarlo. Fatiscente, in balia di incendi, intemperie, vandalismi e quant’altro. Le finestre senza infissi, gli interni ormai crollati; nel 2006 fiamme dolose hanno distrutto parte dei tetti, e tutto è recintato nel timore di crolli. La zona gode di un panorama unico e ospita residenze assai famose: quelle degli Stock, dei Panfili, dei Tripcovich (dove viveva anche il celebre aviatore Goffredo de Banfield) e altre ancora. Purtroppo, c’è pure questo sfacelo. Che non è certo l’unico.


L’ex fabbrica Fissan in totale rovina, fondata a Trieste da Osiride Brovedani nel 1930, e smantellata nel 2011.

Lo stabilimento Fissan, da anni abbandonato, nel 2011 è smantellato. tra le ex caserme del territorio, quella di Monte Cimone di Banne, con evidenti crolli e cedimenti, è diventata regno dei “writers”


Un altro caso riguarda uno stabiliimento dove si produceva un prodotto notissimo in campo medico, entrato nelle case di milioni d’italiani. Ricordate la pasta di Fissan, che ha preservato dai rossori i sederini di tanti neonati? Esiste ancora, ma ha un diverso proprietario e produttore. Nel 1930, la importa il triestino Osiride Brovedani (1893-1970) dalla Germania. La prima “fabbrica” è in casa sua; fino al 1980 l’industriale produce anche altri celebri marchi: Glysolid, Badedas, Depilzero. L’avventura imprenditoriale passa poi da Brovedani a Raffaele De Riù; l’azienda arriva a detenere il novanta per cento del mercato italiano e ad avere a trecento operai. Ma dal 1985 finisce in mani straniere: ora è di Unilever. L’ultima a possederne l’ex fabbrica è una azienda slovena di logistica. Lo stabilimento in via Muggia, diciassettemila metri quadrati e ormai solo cinquantacinque dipendenti, chiude nel 2006; dopo anni di abbandono, nel 2011 è smantellato. Di Brovedani resta il ricordo di una vita eccezionale: di madre ebrea, sotto l’occupazione nazista finisce nei lager di Buchenwald e Belsen. Torna, e nel 1973 la Fondazione sorta a suo nome, ne trasforma l’abitazione in un museo didattico sulla Shoah.
Tra gli impianti industriali, è stato invece salvato quello della Grandi Motori, nata nel 1835 verso il passeggio Sant’Andrea, che, con anche tremila dipendenti, ha rifornito di moderni propulsori numerose navi nel mondo: l’ha rilevata il gruppo olandese Wärtsilä.
Manca invece chi si interessi a un’altra peculiarità del luogo, le caserme. La città di San Giusto e la zona attorno ne andavano famose. Oggi sono in disarmo quelle di via Rossetti (tredicimilacinquecento metri quadrati), la Charlie di Longera (quasi tremila metri) e parte dell’ex Gregoretti, nel parco di San Giovanni, per citarne unicamente qualcuna. Ma, soprattutto, l’ex caserma Monte Cimone di Banne, in collina, verso Villa Opicina, dove tanti hanno “fatto la naja”, per ultimi, gli artiglieri dell’ottavo reggimento Pasubio. Il complesso è composto da ventotto fabbricati su più di duecentocinquantamila metri quadrati, inutilizzati dai primi anni Novanta. Il sito, l’ex tenuta della famiglia Burgstaller, è stato anche un acquartieramento austriaco durante la prima guerra mondiale, e poi dei militari con le stellette. Chi l’ha visitato ora, ne documenta lo sfacelo e l’abbandono più assoluti. Alle finestre degli ex edifici militari non rimane un vetro; la vegetazione la fa da padrona; i “writers” hanno trasformato gli ambienti in un loro regno, nulla è risparmiato. In questa che era una vera e propria piccola città, si vedono solo crolli, cedimenti, vandalismi; i tetti quasi tutti crollati, i muri ridotti a un colabrodo.
Poco più a nord della ex caserma Monte Cimone c’è un altro caposaldo di Trieste e dei suoi dintorni, proprio dove inizia una delle più belle strade del golfo: la passeggiata Napoleonica, a mezza costa, con tutto il mare sotto. La prima menzione dell’albergo Obelisco risale al 1780: lo gestiva la famiglia Daneu. È stato pure stazione di posta, per il cambio dei cavalli. Nel Novecento, la posizione in collina ne aveva fatto una stazione climatica, “la Svizzera dell’Adriatico”. È durata fino al 1985: seguono le occupazioni abusive degli oltre sessantamila metri quadrati. Trentacinque anni di incuria, finché non va all’asta: nel 2021, l’ultimo prezzo era di oltre un milione di euro, ma la situazione non sembra sbloccata. La sua piscina, un tempo vanto assoluto, è un serbatoio di acqua putrida.
Queste situazioni di degrado sono così numerose e dolorose da aver convinto qualcuno a documentarle. Il gruppo di triesteabbandonata (triesteabbandonata.wordpress.com) nasce nel 2014, e si occupa ormai di tutta la Venezia Giulia e del Nord- Est. Micol Brusaferro ed Emilio Ripari, giornalisti, con Giada Genzo, fotografa, sono instancabili: hanno raccontato forse un centinaio di siti dimenticati, ma sempre ricchi di fascino e di storia; in quelli ormai in disarmo, organizzano degli incontri; hanno già prodotto due mostre fotografiche. Vanno citati: anche perché le immagini di questo servizio sono le loro.

ART E DOSSIER N. 400
ART E DOSSIER N. 400
LUGLIO-AGOSTO 2022
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE - La Galleria rinasce con il suo duca di Federico D. Giannini; CORTOON - La corte notte degli Oscar di Luca Antoccia; BLOW UP - Brescia Photo Festival di Giovanna Ferri; DENTRO L’OPERA - Il dipinto come manufatto di Cristina Baldacci; XXI SECOLO - Małgorzata Mirga-Tas nel padiglione della Polonia alla Biennale di Venezia Incantesimi e sortilegi di Elena Agudio; GRANDI MOSTRE. 1 - Louise Nevelson a Venezia. Dare ordine alle cose perse di Lauretta Colonnelli; 2 - O’Keeffe fotografa a Denver. L’altro occhio di Georgia di Francesca Orsi; OUTSIDERS - Joseph Cornell: quanti ricordi entrano in una scatola? di Alfredo Accatino; GRANDI MOSTRE. 3 - Mondrian all’Aja. Parola d’ordine: sperimentare di Paola Testoni de Beaufort; 4 - Canova romantico a Treviso. Ambasciatore del gusto nuovo di Fabrizio Malachin; STUDI E RISCOPERTE. 1 - Canova e il patrimonio culturale. Un negoziatore pragmatico di Valerio Borgonuovo; LA PAGINA NERA - Ma quanto si è spenta la “città irredenta”? di Fabio Isman; MUSEI DA CONOSCERE - Museo Fortuny a Venezia. La casa delle meraviglie di Maurizia Tazartes; GRANDI MOSTRE. 5 - I Farnese a Parma. Tesori di famiglia di Marta Santacatterina; STUDI E RISCOPERTE. 2 - L’invenzione del bello ideale. Zeusi e le modelle di Crotone di Mauro Zanchi; ASTE E MERCATO a cura di Daniele Liberanome; IN TENDENZA - Jan Steen: la febbre del gioco di Daniele Liberanome; IL GUSTO DELL’ARTE - Ritratto di un salume in un interno di Ludovica Sebregondi; CATALOGHI E LIBRI a cura di Gloria Fossi; 100 MOSTRE a cura di Ilaria Rossi;86