XXI SECOLO

MAŁGORZATA MIRGA-TAS NEL PADIGLIONE DELLA POLONIA ALLA BIENNALE DI VENEZIA

INCANTESIMI
E SORTILEGI

Un’artista e attivista rom-polacca, alla biennale, reinterpreta in chiave rom e sinti gli affreschi quattrocenteschi della sala dei mesi di palazzo Schifanoia. un’installazione che ci parla di riappropriazione culturale, che volge in positivo l’immagine di un’etnia perseguitata, in un mondo colorato e vivace in cui è protagonista la figura femminile, magica custode di sogni e sortilegi.

Elena Agudio

Il padiglione della Polonia alla Biennale di Venezia con la magnificente installazione di Małgorzata Mirga-Tas – artista e attivista rom-polacca, nata nel 1978 – ha senza dubbio “schivato la noia” di moltissimi dei famelici avventori della kermesse internazionale. I colori sgargianti, le immagini vivide, i materiali di riciclo, il “femmage”(1), l’intenso lavoro di rammendo e di patchwork, la complessa architettura iconografica dell’installazione hanno senza dubbio stupefatto gli occhi e i sensi dei più sensibili visitatori della mostra. La commozione nel vedere per la prima volta un’artista rom rappresentare un padiglione nazionale nei centoventi anni di storia della Biennale ha trovato risonanza e slancio nel sorprendente vigore immaginifico della sua opera. Nella sua visionarietà artistica e nella forza politica dirompente, che celebra ideali di transnazionalità, migrazione, comunanza, trasformazione e femminismo.

L’esposizione Re-Enchanting the World, prendendo a prestito il titolo dalla recente pubblicazione di Silvia Federici (2019), reinterpreta il ciclo di affreschi rinascimentali di palazzo Schifanoia, a Ferrara, da una prospettiva rom e sinti, come suggeriscono i curatori e i testi introduttivi al padiglione pubblicati nel catalogo di Archive Books. L’opera di Mirga-Tas mette infatti in scena un’aspra critica degli stereotipi con cui nei secoli la comunità rom è stata rappresentata, e rappresenta un tentativo di ritrovare il posto degli appartenenti a quella comunità nella storia dell’arte europea.

A mio avviso - è quanto mi azzardo qui a sostenere in queste righe -, l’opera di Małgorzata Mirga-Tas non si limita a materializzare una traduzione e un riadattamento del capolavoro rinascimentale ferrarese da uno sguardo rom e sinti, e da una chiave di lettura intimamente femminista, bensì rappresenta una nemesi multidirezionale della storia e dell’arte, e un’importante opera di restituzione. E di divinazione.


L’installazione consta di una serie di pannelli patchwork allestiti in tre fasce sovrapposte, come negli affreschi di Francesco del Cossa e di altri artisti di scuola ferrarese della seconda metà del Quattrocento. Qual è la vera ragione per cui l’artista sceglie palazzo Schifanoia, una delle più enigmatiche opere del Rinascimento italiano e occidentale, con la sua complessissima simbologia e fine sapienza astrologica, come riferimento e apparato narrativo? Come è noto, la densità allegorica del ciclo di Ferrara ha occupato gli studi e i sogni di storici dell’arte occidentale per secoli. Ma per quale motivo un’artista contemporanea così visionaria e radicale, con un suo potente linguaggio sovversivo e potenzialmente libero da ogni riferimento al canone, decide di riappropriarsi della complessità iconografica di un’opera commissionata nel XV secolo da un duca di una corte italiana, Borso d’Este? Per quale ragione Mirga-Tas, insieme a gruppo ristretto di studiosi e attivisti rom e sinti, e in collaborazione con i curatori polacchi Joanna Warsza e Wojciech Szymański, rimette in scena la complessità narrativa e cosmologica di un’opera così centrale per la storia dell’arte rinascimentale, quando i teorici e i praticanti della decolonizzazione da decenni sono intenti a puntare il dito contro una fase storica che ha posto le basi per la sistematica violenza epistemica della modernità europea? Perché usare i «masters’ tools to dismantle the masters’ house», gli strumenti dei maestri per smantellare la casa dei maestri?


Małgorzata Mirga-Tas;

La scelta di disinnescare le rappresentazioni problematiche e piene di stereotipi delle incisioni secentesche di Jacques Callot, usate come ispirazione per le immagini create dall’artista nella fascia superiore dell’installazione, si rivela a mio parere come un’arma a doppio taglio: scegliere di ripubblicare quelle opere grafiche nel catalogo per una mera comparazione visiva lascia forse spazio a una ri-perpetrazione della violenza di quelle stesse immagini; credo invece che la scelta di esplodere l’apparato iconografico e iconologico di palazzo Schifanoia assuma un altro senso nel lavoro dell’artista.
Riproducendo la struttura architettonica e lo schema delle tre fasce orizzontali degli affreschi ferraresi – che raffigurano gli dei dell’olimpo, i segni dello zodiaco e i “decani” dell’astrologia orientale, e scene di vita della corte ferrarese –, l’artista tesse e rammenda la storia dell’esodo dei rom in Europa(2) (fascia superiore); nella fascia centrale mette in scena la forza magica e astrale di donne protagoniste della lotta e della resistenza rom e sinti, come dee, profetesse e guardiane del destino del suo popolo; e nella fascia inferiore cuce e intreccia dodici scene che mostrano la vita quotidiana di oggi nel paese natio e nelle zone in cui l’artista è cresciuta, mettendo in primo piano la vita in comune e le alleanze fra donne della sua comunità.

(1) Il “femmage”, o collage femminista, è stato definito da Miriam Schapiro e Melissa Meyer come un’attività «praticata da donne che usano tecniche tradizionali femminili per realizzare la loro arte - cucire, fare piecing, agganciare, tagliare, applicare...».
(2) Come sopra accennato, queste scene della storia del popolo rom traggono diretta ispirazione dalle incisioni di Jacques Callot, opere grafiche del XVII secolo piene di stereotipi problematici. Una narrazione negativa che l’artista sceglie di decostruire, ricreando scene sulla base di fatti storici reali e mostrando il ricco mondo della storia e della mitologia rom.
(3) Donna chiromante.
(4) E. C. Brooks, What is Re-Enchantment? Małgorzata Mirga-Tas and the Palace of Our Dreams, in Małgorzata Mirga-Tas. Re-Enchanting the World, a cura di W. Szymański e J. Warsza, Berlino 2022, p. 111: «Małgorzata Mirga- Tas has built us a palace. Made from what has been discarded, rejected, cast aside, her palace is a product both of her hands and our dreams».

ART E DOSSIER N. 400
ART E DOSSIER N. 400
LUGLIO-AGOSTO 2022
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE - La Galleria rinasce con il suo duca di Federico D. Giannini; CORTOON - La corte notte degli Oscar di Luca Antoccia; BLOW UP - Brescia Photo Festival di Giovanna Ferri; DENTRO L’OPERA - Il dipinto come manufatto di Cristina Baldacci; XXI SECOLO - Małgorzata Mirga-Tas nel padiglione della Polonia alla Biennale di Venezia Incantesimi e sortilegi di Elena Agudio; GRANDI MOSTRE. 1 - Louise Nevelson a Venezia. Dare ordine alle cose perse di Lauretta Colonnelli; 2 - O’Keeffe fotografa a Denver. L’altro occhio di Georgia di Francesca Orsi; OUTSIDERS - Joseph Cornell: quanti ricordi entrano in una scatola? di Alfredo Accatino; GRANDI MOSTRE. 3 - Mondrian all’Aja. Parola d’ordine: sperimentare di Paola Testoni de Beaufort; 4 - Canova romantico a Treviso. Ambasciatore del gusto nuovo di Fabrizio Malachin; STUDI E RISCOPERTE. 1 - Canova e il patrimonio culturale. Un negoziatore pragmatico di Valerio Borgonuovo; LA PAGINA NERA - Ma quanto si è spenta la “città irredenta”? di Fabio Isman; MUSEI DA CONOSCERE - Museo Fortuny a Venezia. La casa delle meraviglie di Maurizia Tazartes; GRANDI MOSTRE. 5 - I Farnese a Parma. Tesori di famiglia di Marta Santacatterina; STUDI E RISCOPERTE. 2 - L’invenzione del bello ideale. Zeusi e le modelle di Crotone di Mauro Zanchi; ASTE E MERCATO a cura di Daniele Liberanome; IN TENDENZA - Jan Steen: la febbre del gioco di Daniele Liberanome; IL GUSTO DELL’ARTE - Ritratto di un salume in un interno di Ludovica Sebregondi; CATALOGHI E LIBRI a cura di Gloria Fossi; 100 MOSTRE a cura di Ilaria Rossi;86