DAL PALEOLITICO
ALLE “CASE DELLE FATE”

Al Paleolitico inferiore risale la frequentazione di terrazzi fluviali lungo il corso del rio Altana presso Perfugas (Sassari) da parte di una comunità depositaria di un’industria litica detta “Clactoniano” (dal nome di Clacton, località inglese dove si verificarono i primi ritrovamenti di quel tipo di materiale), nel cui ambito si ottenevano utensili battendo schegge su un blocco di pietra che fungeva in qualche modo da incudine.

D

el Paleolitico superiore ricordiamo soprattutto, intorno ai ventimila anni fa, i più antichi resti umani delle isole del Mediterraneo: un frammento di falange rinvenuto nella grotta Corbeddu di Oliena (Nuoro). A partire da tredicimila anni fa, la stessa grotta (che prende il nome da Giovanni Corbeddu Salis, uno dei più noti banditi sardi di fine Ottocento, che qui si era rifugiato e che morì in un conflitto a fuoco con i carabinieri nel 1898), di forma stretta e allungata, è forse più frequentata. Si articola in quattro sale: nella n. 2 si sono rinvenuti resti umani di particolare interesse, e cioè un temporale e un mascellare superiore databili radiometricamente a oltre settemilasettecento anni fa.


Si è pensato di attribuire al Paleolitico superiore dell’isola anche una statuina femminile rinvenuta in circostanze non chiare in un riparo sotto roccia in località S’Adde presso Macomèr (Nuoro), detta appunto la Venere di Macomèr. Appartiene al nutrito gruppo delle Veneri preistoriche, che saranno più numerose nel Neolitico, ma ha caratteristiche peculiari: volto di roditore (il “Prolagus Sardus”, tipico dell’alimentazione dei “cacciatori e raccoglitori” noti fino al Neolitico stesso), un solo seno, glutei prominenti. Per la verità alcuni studiosi trovano le tecniche di lavorazione più compatibili con strumenti di tipo neolitico, e spostano quindi la statuina molto più tardi; altri dubitano addirittura che sia davvero antica.


Necropoli Li Muri (4400-4000 a.C.); Arzachena (Sassari).

A partire dagli ultimi decenni del Novecento si è molto ampliato il quadro delle nostre conoscenze sul Neolitico, che fiorisce nell’isola fra il 6000 e il 3500 a.C. La Sardegna, così, appare più chiaramente inserita nel generale sviluppo del Mediterraneo occidentale, culminante con l’introduzione dell’agricoltura e dell’allevamento, il che comporta modalità insediative di tipo stanziale. L’isola si segnala inoltre per le sue risorse naturali, come la selce e, in particolare, l’ossidiana.


Numerosi i siti di grande interesse in corrispondenza di approdi: nel Neolitico antico (6000-4900 a.C.), più o meno nella sua fase finale, troviamo, in corrispondenza di capo Caccia presso Alghero (Sassari), la celebre Grotta verde, in cui spicca un magnifico “salone” centrale (le cui pareti sono rivestite di muschi e licheni) caratterizzato da una grande colonna in parte stalattitica, in parte stalagmitica. La fase di uso più significativa si colloca nel periodo detto Neolitico antico intermedio (4700-4300 a.C.): a varie altezze sulle pareti si aprono nicchie sepolcrali. Vi sono stati rinvenuti resti di scheletri e vasi di varia fattura: nella decorazione di uno di essi è la più antica raffigurazione, sia pure molto sommaria, di un volto umano, con lunghi capelli.


statua menhir (IV-III millennio a.C.); da Piscina’e Sali, Laconi (Oristano), Menhir Museum.


Statuina di Dea madre di tipo “cicladico” (4900-4500 a.C.), da necropoli ipogeica di Cuccuru is Arrìus presso Cabras (Oristano); Cagliari, Museo archeologico nazionale.

Nel Neolitico medio, cioè fra il 4900 e il 4500 a.C., si colloca la non lontana grotta di Filiestru in località Bonu Ighinu, punto di riferimento per una cultura detta appunto “di Bonu Ighinu” (sempre nell’ambito del V millennio a.C.), caratterizzata dalla produzione di una raffinata ceramica bruna, nonché dalla diffusione di idolini femminili di osso, di terracotta e di pietra, con elegante copricapo rituale. Da ricordare soprattutto i siti di San Ciriaco di Terralba (Oristano) e di Cuccurru is Arrius. In quest’ultima località, affacciata sullo stagno di Cabras (Oristano), e più precisamente nella tomba n. 386 di una necropoli di sepolture ipogeiche “a pozzetto”, sono stati trovati i resti di un uomo che giaceva in posizione fetale, insieme con una ciotola e un vaso destinati all’ultimo banchetto, e che stringeva in una mano una statuina femminile. Di questo tipo di scultura abbiamo visto un discusso “precedente” nella cosiddetta Venere di Macomèr: è un’antichissima figura divina diffusa in tutto il Mediterraneo, e anche in Sardegna. L’idoletto di Cuccurru, forse ispirato all’arte delle Cicladi, si impone fra gli esemplari più significativi, con la particolare evidenza dei tratti del volto e l’enfatizzazione delle forme curvilinee e straripanti.


Sempre nel Neolitico medio, in corrispondenza della fase più recente, e più precisamente tra il 4400 e il 4000 a.C., si colloca la necropoli in località Li Muri presso Arzachena (Sassari). Si tratta di quattro tombe circolari attigue, ognuna delle quali costituita da circoli di pietre concentriche che racchiudevano una sorta di cassone in pietra: in origine si trattava di tumuli che coprivano una camera funeraria centrale, ed è un caso unico in questo periodo in cui in Sardegna tali camere sono ipogee. Con la Cultura di Arzachena siamo all’inizio del megalitismo, fenomeno che inserisce l’isola in un vasto contesto continentale.

Necropoli Li Muri (4400-4000 a.C.); Arzachena (Sassari).


Domus de janas (V-IV millennio a.C.); necropoli di Prunìttu, Sorradile (Oristano).

Più tardi, fra il 4000 e il 3500 circa (Neolitico recente), si colloca la fase della Cultura di Ozieri, così chiamata dalla grotta di San Michele, che, insieme con molte altre cavità, caratterizza il sottosuolo, appunto, della odierna città di Ozieri (Sassari). La pratica dell’agricoltura e dell’allevamento, che caratterizzano il Neolitico e che sono strettamente collegati (come si è detto) con l’introduzione del vivere stanziale, dà luogo a una fioritura di molti, ma piccoli, insediamenti e villaggi rurali distribuiti ovunque in Sardegna, sia in pianura sia sulle alture. Fra le realtà che caratterizzano questa fase, spiccano, anch’esse un po’ ovunque (e si estenderanno cronologicamente fino al 2300 a.C., cioè fino all’Età del bronzo antico) le “domus de janas” (“case delle fate”). Come spesso accade, le sepolture sono più rilevanti degli insediamenti dei vivi: si tratta di tombe scavate nella roccia, talvolta raggruppate (fino a quaranta), talvolta isolate. Si va da quelle costituite da un’unica cella (cui si accede attraverso un’apertura rettangolare) a quelle articolate in più ambienti, talvolta di grandi dimensioni, che intendono riprodurre nel vivo della roccia stessa gli interni delle abitazioni, con pilastri che sostengono soffitti a spioventi imitanti l’interno di tetti in travi di legno, e anche con porte “vere” che mettono in comunicazione i vari ambienti, nonché “false porte” raffigurate sulle pareti. Queste caratteristiche si possono apprezzare nella cosiddetta Tomba del capo in località Sant’Andrea Priu nel Comune di Bonorva (Sassari): sull’asse centrale si allineano atrio, anti-cella, due ambienti rettangolari successivi, accompagnati da altri minori disposti all’intorno.

Un monumento straordinario, che in tempi di gran lunga successivi sarà suggestivamente trasformato in chiesa. Spettacolari, fra le altre domus de janas, sono quella chiamata non a caso S’Incantu (Putifigari presso Sassari), quasi una basilica con annessi, e, forse ancor più, quella di Prunitto (Sorradile, in provincia di Oristano). Qui, un grande sperone di roccia rosata, percorsa da varie venature, presenta porte e finestre che “movimentano” un’incredibile facciata in cui sembra che la pietra si sia spaccata verticalmente in due valve spalancate. Queste tipologie monumentali (che non sempre sono godibili per il visitatore in quanto spesso abbandonate a se stesse e seminascoste dalla vegetazione) erano probabilmente concepite, oltre che per una funzione sepolcrale (forse collettiva), anche per ospitare culti come quello della Dea madre.


Fra i monumenti “megalitici” che vanno diffondendosi, spiccano i dolmen, costituiti da grandi pietre disposte verticalmente lungo due linee parallele fra loro (ne risulta una sorta di corridoio), che ne sostengono altre disposte orizzontalmente a mo’ di tetto: il tutto era coperto di terra, e si creavano tombe a tumulo; quando le strutture sono costituite da filari di più pietre, a formare corridoi di tipo allungato, vengono identificate con il nome di “allée couvertes”. L’uso si protrae fino alla prima Età del rame, o Eneolitico: un esempio celebre è quello di Bilella, databile fra IV e III millennio a.C., situata in località Luras in provincia di Sassari. Altri celebri monumenti megalitici sono i menhir, noti anche altrove, e soprattutto in Bretagna: la parola in effetti è di origine bretone e significa “pietra lunga”, che in sardo viene ribattezzata “perda fitta”. I pietroni possono essere isolati, o costituire allineamenti o circoli; hanno significato religioso, e possono essere aniconici (non lavorati, o comunque non figurati), protoantropomorfi (la figura umana è appena abbozzata), antropomorfi (con indicazione, almeno, di naso e occhi); seguono le “statue menhir”, una sorta di “nascita della statuaria”.

Molte di queste componenti sono presenti, fra IV e III millennio a.C., nello spettacolare santuario di Pranu Mutteddu in località Goni (Cagliari): è il più grande della preistoria dell’isola. Al centro è una domus de janas, detta Genna Accas, a più ambienti (evidentemente la sepoltura di un eminente personaggio), scavata entro un grande masso di trachite; intorno si sviluppano tre circoli megalitici concentrici, attraverso i quali penetra un corridoio di ingresso alla tomba, preceduto da una grande statua-menhir. Numerosi altri menhir sono distribuiti qua e là per il sito, talvolta in allineamenti talvolta in gruppi. Ancora più grande e complesso, anzi un caso unico, è il monumento di monte d’Accoddi (Sassari). Per dire meglio, un susseguirsi di monumenti: tutto era cominciato con un villaggio di capanne a pianta circolare, nel cui ambito era compresa un’area sacra assai singolare, con pietre infisse nel terreno, lastre di pietra probabilmente per sacrifici, due enormi sfere pure di pietra, forse simboli del Sole e della Luna (4000-3500 a.C.). Siamo nell’ambito della cultura di Ozieri, durante cui, ma più tardi, a quel complesso si sovrappose una piramide tronca; sulla sommità di quest’ultima, accessibile mediante una rampa esterna, si elevava una struttura parallelepipedale chiamata Tempio rosso (in quanto dipinto con ocra). In ulteriore prosieguo di tempo, intorno al 2800 a.C., nell’Età del rame, a questa struttura si sovrappose una nuova piramide tronca alta dieci metri e rivestita di grandi blocchi di pietra, anch’essa dotata di rampa che obliterava la precedente: si è parlato di “tempio a gradoni” e si sono suggeriti confronti (nell’ambito di una grande circolazione di idee e di influssi) con le ziqqurat mesopotamiche. La vita del luogo di culto e del villaggio si protrasse fino all’inizio dell’Età del bronzo.


Meritano certamente un approfondimento i menhir antropomorfi, o statue menhir, che ci accompagnano verso l’Età del rame (3500-2300 a.C.). Un importante allineamento era presente nella già ricordata località di Pranu Mutteddu, ma un sito fondamentale è quello di Laconi (Oristano): in località Gedillis sorge un grande esemplare solitario, ma soprattutto si conservano in notevole quantità menhir antropomorfi e/o statue-menhir. Sugli alti pietroni, nella parte superiore sono raffigurati sommariamente, e per la verità neppure sempre, i lineamenti (naso, sopracciglia), mentre sotto sono scolpiti in basso ma nitido rilievo “doppi pugnali” (singolari armi con due lame e un manico) e “capovolti”, cioè un motivo a tridente interpretato come figura divina “in tuffo” verso la Terra con le braccia arcuate e con la testa, in basso, raffigurata sommariamente. Figure del genere compaiono anche come incisioni parietali in domus de janas come quella detta “dell’Emiciclo” in località Sas Concas presso Oniferi (Nuoro). Ma torniamo a Laconi: qui è stato creato nel 2010, in collaborazione con altri sei Comuni dell’Oristanese, il Menhir Museum, o Museo della statuaria preistorica della Sardegna. Ai menhir maschili con pugnale e “capovolto” si aggiungono menhir femminili come quello rinvenuto in località Piscina ’e Salis, con naso triangolare e piccoli seni e, in basso, una falsa porta come quelle presenti all’interno delle domus de janas. La produzione di ceramica vascolare abbonda sia nel Neolitico sia nell’Età del rame, o Eneolitico: quella del Neolitico è più variata e raffinata nelle forme e nella decorazione, ma quella dell’Eneolitico, a partire dalla fine del III millennio, è forse più facilmente caratterizzabile grazie alla diffusione della Cultura del vaso campaniforme (vasi piuttosto semplici, a forma di campana rovesciata), inquadrabile in una tipologia che (come altre già esaminate, monumentali o artigianali) è testimoniata in gran parte d’Europa. Nell’Eneolitico evoluto e cioè fra il 2600 e il 2200 a.C., il Campidano e l’Iglesiente sono l’area di diffusione della Cultura di monte Claro, caratterizzata da ceramica con scanalature, mentre a Nord, nell’ambito della Cultura di Abealzu-Filigosa, la ceramica stessa presenta forme paragonabili a quelle delle Culture di Rinaldone in Toscana e di Artenac in Francia.

ARTE NURAGICA
ARTE NURAGICA
Sergio Rinaldi Tufi
Uno dei misteri meglio custoditi dalla storia è quale fosse la funzione dei nuraghi, le tipiche costruzioni megalitiche che caratterizzano il paesaggio della Sardegna. Altrettanto misteriosa è l’origine della civiltà che prende il nome da quelle strutture. Sappiamo che si sviluppa nel cuore del Mediterraneo a partire dal III millennio a.C. – forse con radici micenee – e sussiste fino al II secolo d.C., quando la romanizzazione dell’isola è sostanzialmente compiuta, almeno nella maggior parte del territorio. Il dossier cerca di fare chiarezza su ciò che è accertato dalle ricerche archeologiche, e soprattutto delinea uno svolgimento e i caratteri salienti delle arti all’interno di quella cultura, fatta di architetture ma anche di sculture (celebri i Guerrieri di Mont’e Prama), metallurgia, ceramica, strutture funerarie.