ETÀ DEL BRONZO:
LA CULTURA DI BONNANARO
E LA FIORITURA
DELL’ETÀ NURAGICA

L’Età del bronzo, a partire dal Bronzo medio (1700-1350 a. C.), è quella della magnifica fioritura della civiltà nuragica, che però è preceduta, fra il 2300 e il 1700 a.C. (Bronzo antico) dalla Cultura di Bonnanaro, così chiamata da un piccolo centro in provincia di Sassari ma attestata anche in una settantina di altri siti in tutta l’isola.

Le domus de janas, in genere riutilizzate per molte volte dopo la loro originaria realizzazione, conoscono in questa fase il loro ultimo impiego, anche se alcune (come quella detta Tomba del capo, già ricordata e trasformata in chiesa) sono restate in vari modi più a lungo in uso. Ma soprattutto appare, sempre a partire dal Bronzo medio, una nuova e caratteristica tipologia sepolcrale, le cosiddette Tombe dei giganti. Fra le tante citiamo quella di S’Ena’e Thomes presso Dorgali (Nuoro): un ampio spazio delimitato da grossi massi e chiuso sul fondo da una fila di pietroni disposti verticalmente, al cui centro è una grande stele centinata. In basso torna anche qui l’antico motivo della “falsa porta”, simbolo del passaggio fra la vita e la morte, oltre il quale chi muore è atteso dalla Grande madre.


Nuraghe Albucciu (varie fasi fra 1600 e 1000 a.C.); Arzachena (Sassari).

Già prima dell’Età del bronzo la lavorazione dei metalli aveva avuto un qualche avvio, ma ora l’uso del piombo, del rame, ecc. si intensifica, con ampi approvvigionamenti nel mondo mediterraneo, in cui è protagonista la navigazione micenea. I rapporti con l’isola di Creta sono testimoniati, se ve ne fosse bisogno, dal ritrovamento di giganteschi lingotti di rame a forma di pelle di bue (“ox-hide”), pesanti fra diciassette e ventisei chilogrammi: una sorta di protomoneta (certo molto particolare) di cui si sono rinvenuti esemplari non solo a Creta e in Sardegna, ma anche a Cipro (che del resto di rame è notoriamente ricchissima), in Grecia, in Sicilia e nelle Eolie. Talvolta sulla superficie dei lingotti stessi compaiono segni che potrebbero essere anche pre-alfabetici o alfabetici, ma nessun tentativo di decifrazione ha avuto finora successo. Sono pure noti ritrovamenti di ceramiche micenee in vari siti del sud dell’isola, che del resto è, data la sua posizione, pienamente inserita nelle rotte di quello che, molti secoli dopo, sarà il “mare nostrum” dei romani.


Vi sono inoltre rapporti con la penisola iberica, evidenti nella produzione metallurgica in particolare. Era anche stato ipotizzato che la parola “nuraghe” potesse derivare dal nome del mitico eroe Norake: si narra che avesse guidato in Sardegna un gruppo, appunto, di iberici, fondando la città di Nora: viene però ritenuto più probabile che la parola sia in qualche modo connessa con il vocabolo nuorese “nurra”, di origine pre-indoeuropea, interpretabile come “cumulo di pietra con cavità”. In ogni caso, questa tipologia architettonica, dopo una fase iniziale di “protonuraghi” o “nuraghi arcaici”, è costituita essenzialmente da una struttura a torre tronco-conica sormontata da un terrazzo sporgente. L’abbondanza di rocce propria dell’isola, e cioè calcare, trachite o basalto, rendeva possibile una produzione praticamente illimitata di possenti blocchi irregolarmente oppure accuratamente squadrati: questi venivano messi in opera “a secco” creando cerchi dal diametro progressivamente ridotto, in misura meno evidente nel corpo tronco-conico di cui si è detto, in maniera più accentuata nella pseudo-cupola con cui il monumento era chiuso in alto. Una tecnica che conosciamo paradossalmente, più che dalla struttura stessa che in genere ha perso la parte superiore, dalle torri minori che in molti casi la integravano, delineando un insieme edilizio spesso complesso e talvolta enorme. Si sarebbe tentati di stabilire un confronto con la celeberrima tecnica di costruzione delle “tholoi” nota, per esempio, nel Tesoro di Atreo, ma non tutti concordano, anche se si è appena detto che una presenza micenea nell’isola è indubbia.

“Su Nuraxi” (varie fasi fra 1500 e 800 a.C.); Barumini (Cagliari).


Nuraghe Arrubiu (varie fasi fra 1400 e 900 a.C.); Orrioli (Sud Sardegna).

Di quale tipo di società i nuraghi, diffusi capillarmente in tutto il territorio, sono espressione? La mancanza di fonti scritte rende difficile una risposta, ma sembra prevalere l’ipotesi che non vi fosse in Sardegna, nell’Età del bronzo e nella prima Età del ferro, una autorità politica centralizzata, ma una sorta di sistema “cantonale” in cui i centri fortificati, e cioè i nuraghi stessi, controllavano un territorio ben circoscritto pertinente a una famiglia o a un clan con il suo capo, in funzione del controllo delle risorse del territorio. Un possibile elemento di aggregazione più ampia era costituito dagli dèi, mentre dal punto di vista economico (come scriveva tempo fa la soprintendente Fulvia Lo Schiavo) «l’approvvigionamento e l’accumulazione dei beni andrebbe considerato come un fatto interno a ogni clan e villaggio». Quelle fortificazioni, in particolare le torri, non sono probabilmente previste per un uso squisitamente militare, ma, in una situazione di benessere diffuso, vanno interpretate come “status symbol”, tanto che torri e altri elementi sono spesso riprodotti in modellini miniaturistici presenti in ambienti nuragici che hanno ormai cambiato funzione, come vedremo soprattutto nelle ultime fasi nuragiche in diversi contesti dell’isola. Interessanti anche alcune delle ipotesi formulate sull’articolazione nel territorio delle varie costruzioni, con un nuraghe “dominante” che funge da riferimento anche per i vicini. Se la struttura sociale è basata su clan e villaggi, bisogna pensare che a ogni capo (e alla famiglia di lui) spetti il nuraghe dominante, mentre gli altri si dispongono intorno. Una funzione di punto di riferimento che presumibilmente si estende a tutte le attività: artigianale, agricola (immagazzinamento e gestione dei raccolti), commerciale ecc.

nuraghe Arrubiu (varie fasi fra 1400 e 900 a.C.); Orrioli (Sud Sardegna).


nuraghe Arrubiu (varie fasi fra 1400 e 900 a.C.); Orrioli (Sud Sardegna).

Come vedremo meglio in seguito, la grande architettura megalitica nell’Età del bronzo in Sardegna non è solo legata ai nuraghi: altri suggestivi monumenti sono i “pozzi sacri”, le Tombe dei giganti, a cui si è in precedenza accennato; si evidenzia, inoltre, una piuttosto diffusa presenza, in alcuni contesti nuragici, delle “capanne con bacile”. Monumenti legati alla sfera religiosa e al culto dei defunti, valori aggreganti per tutte le comunità, unificanti al di là dell’organizzazione politico-territoriale che abbiamo definita cantonale.


Con una scelta che può apparire “scolastica”, passeremo in rassegna prima i monumenti e i complessi architettonici, poi i manufatti artigianali e artistici: sculture in pietra, sculture in bronzo, ceramica. A ben vedere questa articolazione espositiva ha forse una sua spiegazione legittima: le architetture, radicate nel suolo, ci informano in varia misura dell’organizzazione, in tutti i sensi, del territorio, mentre le opere d’arte, soprattutto i celebri bronzetti, hanno un’ampia circolazione in tutto il mondo mediterraneo, e ci rivelano l’ampiezza dei percorsi e degli scambi di merci e di influssi culturali dei «Nuragici che attraversano il mare» (Valentina Leonelli). Ma torniamo ai nuraghi stessi: il tipo più semplice, e in genere (ma non sempre) più antico, è quello detto “monotorre”: anzi, “semplice” forse non è il termine più appropriato (lo è, in effetti, solo se contrapposto ai nuraghi a più torri, con l’aggiunta di altre strutture, cioè ai “nuraghi complessi”), perché la costruzione è molto elaborata e ricca di dotazioni e accesori: nella “tholos” sono ricavate più stanze sovrapposte, scala a ciocciola, nicchie, ripostigli.


Generalmente l’esterno stesso è caratterizzato dall’efficace sovrapposizione di blocchi di diverse dimensioni: più grandi nella parte inferiore, più piccoli in quella superiore, rifiniti e messi in opera accuratamente. Le pareti, oltre a contenere vari apprestamenti, hanno anche prese d’aria che le attraversano. Un bell’esempio è il caso del Nuraghe Succuronis, che spicca nella campagna presso Macomèr, e che presenta anche prese di luce verso l’esterno.

Piuttosto diverso è il nuraghe “a corridoio”, che non segue lo schema a “tholos”, ma, come dice il nome convenzionale che gli è stato dato, è piuttosto sviluppato in lunghezza, e precede cronologicamene il tipo a tholos o monotorre. Interessante il caso del nuraghe Albucciu che si conserva presso Arzachena, nell’ambito di un villaggio di capanne circolari (di cui restano cospicui avanzi): la struttura si può definire “a corridoio” in quanto presenta una pianta vagamente rettangolare piuttosto allungata, condizionata anche dal poderoso masso granitico da cui si sviluppa. Varie stanze formano una unità abitativa piuttosto complessa, all’interno di un muro in grossi blocchi non rifiniti e disposti irregolarmente che danno un’impressione di notevole potenza; nella parte alta mensoloni sporgenti, alcuni dei quali ancora conservati al loro posto, presumibilmente avevano lo scopo di ostacolare tentativi di scavalcamento da parte di eventali assalitori. Il complesso fu impiegato nella media e tarda Età del bronzo, con una temporanea ripresa nell’Età del ferro.

il corridoio; Torralba (Sassari).


il cortile; Torralba (Sassari).

Si diceva dell’incertezza delle cronologie: un aiuto viene però dalle datazioni assolute ottenute mediante la tecnica del C14 (radiocarbonio). Proprio dal monumento forse più noto, cui si addice in notevole misura la definizione (che si usa in contrapposizione a quella di “nuraghe monotorre” di cui si è detto) di “nuraghe complesso”: “Su Nuraxi” (“il Nuraghe” per eccellenza) di Barumini (Cagliari), provengono le prime datazioni radiocarboniche, che furono effettuate negli anni Cinquanta del Novecento su alcuni frammenti di legno conservatisi fra i blocchi della muratura. Giovanni Lilliu, il grande archeologo (originario proprio di Barumini) che lo scavò a metà Novecento, ha proposto, esaminando i molti corpi di fabbrica, una cronologia più articolata, su cui sono intervenuti in seguito altri studiosi: forse risale al XV secolo a.C. la torre centrale in spettacolari blocchi di basalto, alta oltre diciotto metri. Attorno, in vari momenti fino alla fine del Bronzo recente (XII secolo a.C.) si aggiunsero: quattro torrioni addossati alla primitiva struttura, che assume l’aspetto di un bastione “quadrilobato” (così viene definito dagli specialisti questo tipo di struttura) particolarmente poderoso e comprendente anche un cortile interno con pozzo; e infine una ulteriore cinta muraria più “leggera”, arricchita però da torri cilindriche. Accorgimenti architettonici di vario tipo sono presenti soprattutto nella struttura centrale: rampe, finestre e soprattutto gallerie a “falsa volta”, costituita cioè da file di blocchi che dalle pareti laterali convergono in alto dando luogo a una copertura che potremmo definire “a sezione ogivale”. Fra il bastione quadrilobato centrale e la cinta con torri cilindriche, e soprattutto all’esterno di quest’ultima, si estende un “villaggio nuragico”, sviluppatosi fra il Bronzo recente e la Prima età del ferro, costituito di capanne circolari (talvolta anche articolate in più ambienti) di cui è in genere visibile la base in pietra delle pareti, che in alzato potevano essere anch’esse in pietra oppure in legno o di canne, ma che comunque sono andate perdute. Capanne più grandi sono riservate a quello che doveva essere il capo e alle assemblee degli abitanti.

complesso nuragico Palmavera (varie fasi fra 1600 e 800 a.C.); Alghero (Sassari).


complesso nuragico Palmavera (varie fasi fra 1600 e 800 a.C.); Alghero (Sassari).

Nella struttura “cantonale” della società sarda dell’epoca, queste torri fortificate erano spesso in rapporto visivo con altre, che, a seconda delle circostanze, potevano essere funzionali all’avvistamento o alla comunicazione. Su Nuraxi, in particolare, era a poca distanza da altri edifici nuragici, fra i quali quello i cui resti, che sembrano dare l’idea di una certa imponenza, sono stati individuati sotto un importante edificio del vicino centro di Barumini, casa Zapata.


Il complesso sopravvisse nell’Età del ferro, quando fu dotato di strade e fognature; distrutto nel VI secolo a.C., fu rifondato dai cartaginesi e mantenuto in uso dai romani.


A buon diritto si definisce “complesso” anche l’altro nuraghe di grande spicco, quello di Santu Antine a Torralba (Sassari). Il toponimo Santu Antine – detto per inciso – si riferisce all’imperatore Costantino, che in certe epoche, qui come altrove, fu venerato come un santo. Siamo nell’area del Logudoro-Meilogu, detta Valle dei nuraghi perché i monumenti di questo tipo, nell’ambito di un territorio appartenente a nove Comuni contigui (fra cui la stessa Torralba), sono ben trenta, cui si aggiungono dieci Tombe dei giganti, altro tipo di monumento dell’Età del bronzo al quale si è già accennato e di cui si riparlerà. Santu Antine è un monumento particolarmente ambizioso, che è stato anche definito come “reggia nuragica”. La torre centrale, alta diciassette metri, era a tre piani (il terzo si conserva solo in parte) raccordati da una scala. I blocchi di basalto con cui è costruita sono squadrati quasi perfettamente, tanto da essere paragonabili, specialmente nella parte alta, a una muratura isodoma di età classica. I frammenti di ceramica rinvenuti nei livelli più profondi, sono riferibili a un periodo compreso fra la fine del Bronzo medio e l’inizio del Bronzo recente, datazione che si può estendere all’elaborato bastione “trilobato” che racchiudeva la torre, dando luogo alla realizzazione di tre diversi cortili.


Studiato a più riprese nel corso del Novecento, e anche in questo inizio del Duemila, il monumento non ha ancora rivelato tutta la sua complessità: il villaggio che lo circondava comprendeva certo più capanne della decina finora rinvenuta. Ad alcune di queste capanne si sono sovrapposte una villa rustica di età romana e una necropoli bizantina, testimonianza, anche qui come a Barumini, di una lunga frequentazione.

complesso nuragico Palmavera (varie fasi fra 1600 e 800 a.C.); Alghero (Sassari).


complesso nuragico Palmavera (varie fasi fra 1600 e 800 a.C.); Alghero (Sassari).

Altro monumento assai noto è il nuraghe Losa presso Abbasanta (Oristano), che anch’esso era in relazione con un villaggio, pur se meno conservato rispetto a Santu Antine e soprattutto a Su Nuraxi di Barumini; inoltre sono ben riconoscibili, anche se non molto sviluppati in altezza, i resti della cinta approssimativamene ellittica che racchiudeva l’abitato. La torre centrale, o “mastio” (vocabolo che in genere si usa per fortezze più recenti, ma rende l’idea), alta tredici metri, contiene le abituali camere sovrapposte con copertura a “tholos” e si data al XV-XIII secolo a.C.; è circondata da un bastione triangolare dotato di torrioni. Situazione che ormai non ci sorprende, ma qui è assai interessante, diciamo pure esteticamente, il contrasto fra due modi di lavorazione dei blocchi di basalto: accuratissimo nella torre, rude e poderoso nel bastione.

Troviamo lo schema villaggio-più-torre (anzi torri: qui sono due, con antemurale) anche nel nuraghe Palmavera (Alghero), costruito a partire dal XV secolo a.C. I materiali impiegati sono calcare e arenaria: anche qui nelle torri la lavorazione dei blocchi è accurata, pur se non come nel nuraghe Losa che abbiamo appena visto; e anche qui le capanne circolari del villaggio sono conservate in altezza soltanto per due file di blocchi o poco più, ma in una di esse, intepretata (date le dimensioni maggiori) come “capanna delle riunioni”, si è rinvenuto un piccolo bètilo (pietra sacra) in forma di torre nuragica. Realizzato anch’esso in arenaria, rende l’idea della parte superiore (balcone sorretto da mensole) che nei monumenti “veri” in genere è andata perduta.

ARTE NURAGICA
ARTE NURAGICA
Sergio Rinaldi Tufi
Uno dei misteri meglio custoditi dalla storia è quale fosse la funzione dei nuraghi, le tipiche costruzioni megalitiche che caratterizzano il paesaggio della Sardegna. Altrettanto misteriosa è l’origine della civiltà che prende il nome da quelle strutture. Sappiamo che si sviluppa nel cuore del Mediterraneo a partire dal III millennio a.C. – forse con radici micenee – e sussiste fino al II secolo d.C., quando la romanizzazione dell’isola è sostanzialmente compiuta, almeno nella maggior parte del territorio. Il dossier cerca di fare chiarezza su ciò che è accertato dalle ricerche archeologiche, e soprattutto delinea uno svolgimento e i caratteri salienti delle arti all’interno di quella cultura, fatta di architetture ma anche di sculture (celebri i Guerrieri di Mont’e Prama), metallurgia, ceramica, strutture funerarie.