XXI secolo
Intervista a Mark Steinmetz

Nel tempo, sospeso,
qualcosa accade

La pausa di un istante, il flusso di un pensiero, l’emozione più nascosta sono elementi rintracciabili nelle immagini di Mark Steinmetz, attraversate da una lirica visiva quasi impalpabile eppure così reale. Ne abbiamo parlato con il fotografo americano per comprendere l’evoluzione del suo lavoro.

Francesca Orsi

È palpabile la dimensione sospesa che Mark Steinmetz (New York, 1961) depone sui suoi progetti fotografici, un collante che silentemente anima tutta la narrazione e che si adagia ugualmente sui paesaggi urbani come anche sui volti delle persone che ritrae. Un moto di cristallizzazione della scena che viene ingabbiata tra il suo prima e il momento subito successivo, rilevando, in questo modo, esclusivamente il movimento interiore che pervade i suoi soggetti, i paesaggi stessi. 


Questo suo “modus operandi” appare indistintamente presente da Angel City West (1983-1984) - in cui Steinmetz racconta scene di vita di una Los Angeles in bianco e nero con evidenti richiami alla “Street Photography” di Garry Winogrand - alla famosa trilogia South (South Central, South East, Greater Atlanta), realizzata tra il 1991 e il 2009, fino ad ATL (2012-2018) e Rivers & Towns (1982-1990), gli ultimi due recentemente pubblicati rispettivamente da Nazraeli Press e Stanley/Barker. La discriminante tra i suoi lavori, i primi e quelli più recenti, sta nella vicinanza, nel voler rendere le immagini sempre più profondamente mentali e nell’abbracciare più chiaramente la loro dimensione psichica. Lo sguardo fotografico di Mark Steinmetz, nel tempo, si è andato via via restringendo, immortalando non solo una realtà più serrata e ravvicinata, ma suggerendo la presenza di un fondo nascosto, una natura latente, quella natura che si percepisce nel suo esistere esclusivamente in una “dimensione sospesa”, quasi fantasmatica. Ne abbiamo parlato con lui per approfondire, nel dettaglio, gli aspetti più salienti del suo lavoro. 


Nel tempo la tua ricerca fotografica si è sempre più concentrata sulla figura umana nella sua intima specificità. Nella trilogia South, come anche in Rivers & Towns, l’umanità che ritrai è definita dalla propria dimensione interiore. Come si è evoluto, nel tempo, il tuo modo di ritrarre l’uomo? 

Il mio impulso generale a fotografare le persone in modo diretto e comprensibile non è cambiato così tanto nel tempo. Non sono mai stato interessato a fotografare in modo astratto e concettuale. Tuttavia, il mio modo di fotografare si è molto evoluto: ho iniziato fotografando le persone mentre sono in movimento con una Leica 35 mm (sia nella serie Angel City West, ambientata a Los Angeles, sia in Rivers & Towns, sulle comunità della classe operaia nel Connecticut nel 1980) e poi sono passato a utilizzare principalmente un negativo più grande (perlopiù un negativo 6 x 9 cm) per realizzare ritratti più descrittivi. Anche se, con una fotocamera più grande, posso catturare meno il movimento, voglio comunque che le immagini mantengano il senso di qualcosa che sta accadendo improvvisamente. Non sono statiche. In tutto il mio lavoro ho voluto far intravedere la vita interiore del soggetto e suggerire che qualcosa è all’opera nella sua mente.


Passenger in a Plane (2011), da ATL (2012-2018), Nazraeli Press, Paso Robles (California) 2022.

Car, Los Angeles 1983-1984, da Angel City West (1983-1984).


Margaretha, Athens (Georgia) 1999, in South East (1994-2001), dalla trilogia South (1991-2009).

Recentemente hai pubblicato, per Nazraeli Press, ATL, un lavoro sull’aeroporto di Atlanta. Come il tuo ritratto psicologico dell’uomo interagisce con un non-luogo, lo spazio sospeso dell’aeroporto Hartsfield-Jackson International di Atlanta? 

Il viaggiatore, qualcuno in viaggio, mi ha sempre interessato come tema. Sono istintivamente attratto dal fotografare le persone con le valigie. L’aeroporto è una sorta di purgatorio, come lo è il tempo trascorso seduti in aereo. Lo stato di attesa è una parte importante della condizione umana. I viaggiatori in attesa dei loro voli stanno per subire una sorta di trasformazione o metamorfosi: si trovano, in quel preciso momento, in una regione, paese o continente, ma potrebbero presto finire in un’altra terra o clima, o in un fuso orario diverso. 


Anche il paesaggio che, per esempio, racconti in South attinge da un mondo interiore. Come, nelle tue immagini, l’uomo viene messo in relazione all’ambiente che abita? 

Il paesaggio culturale e sociale americano è stato modellato dalla strada e dall’automobile. Le persone, in America, non camminano tanto quanto in Europa. Nelle città più piccole degli Stati Uniti, nei paesi e nelle aree rurali, tutti guidano, e penso che le persone si sentano più isolate all’interno della loro vita. È difficile spiegare il modo in cui le persone, nelle mie fotografie, interagiscono con l’ambiente circostante: c’è uno straniamento e un surrealismo unico nel paesaggio americano. Tendo a mettere in discussione il progresso e spesso trovo che preferisco i vecchi modi e ritmi. Le persone spesso sembrano fuori posto nel loro ambiente forse perché il mondo che abbiamo creato non è davvero per loro ma per le loro auto. 


In ATL la documentazione dell’aereo, delle sue ali che si stagliano nel cielo, della sua ombra che si anima come un gigante nei campi, delle sue planate e dei suoi decolli, si carica sempre di questo tuo mettere in discussione il progresso?

Il volo è un sogno secolare dell’umanità. Non mi stanco mai di guardare gli aerei decollare. Quando dico che il mio lavoro mette in discussione il progresso, sto parlando principalmente della nostra dipendenza dalla comodità e delle immense conseguenze di tale dipendenza. Vogliamo molto e lo vogliamo subito. Il mio libro Greater Atlanta tocca i temi della cultura del consumo, del consumo di combustibili fossili, della deforestazione, dei rifiuti e dell’isolamento e della conformità che derivano dalle nostre scelte di pianificazione urbana incentrate sull’auto. ATL non è così critico nei confronti dei viaggi aerei, ma descrive più semplicemente come ci si sente a essere in aeroporto o su un aereo. La noia è qualcosa che può essere mostrata, ma l’anidride carbonica è invisibile. 


Quanto il tuo lavoro attinge da un immaginario americano di natura letteraria o anche fotografica e quanto dai tuoi ricordi, memorie e vissuto personale? 

Nei miei lavori tutto proviene dalla vita. Quindi potrebbero esserci elementi che possono sembrare immaginari, ma alla fine tutto deve avvenire davanti alla macchina fotografica. In letteratura i mondi e le menti sono evocati dalle parole e spero che il mio lavoro possa commuovere gli altri come sono stato commosso io da certa letteratura. Le immagini toccano le persone in un modo che le parole non possono fare e viceversa, semplicemente offrono stimoli diversi. Se sto fotografando in una scuola o in un campo estivo o in una partita di baseball della Little League, il motivo potrebbe essere perché quelle sono situazioni che conosco dalla mia infanzia. Alcuni luoghi mi coinvolgono e mi stimolano più di altri, probabilmente perché hanno a che fare con i miei riferimenti di vita, anche se penso che sia possibile fotografare le persone ovunque si trovino e che sia sempre possibile creare una connessione perché siamo tutti umani. 


Hai prodotto molti libri e progetti ritraendo i ragazzi, nella loro fase adolescenziale. Perché? 

Gli adolescenti sono fisicamente molto interessanti, sono freschi e goffi. Tendo a fotografare persone che cercano e si interrogano, persone che non hanno tutte le risposte. L’adolescenza è una fase difficile della propria vita e chi l’affronta attraversa così tanti cambiamenti e cerca di venire a patti con se stesso. Gli adolescenti sono spesso più aperti alle loro emozioni rispetto agli adulti, che si sono trincerati nei loro modi di essere e hanno la tendenza a diventare un po’ rigidi. 


Da dove deriva quel senso di sospensione e profonda solitudine che emerge dalle tue fotografie? 

Non sono sicuro di poter davvero affrontare questa domanda. Noi tutti siamo messi insieme secondo i nostri vari modi di essere. Per quel che riguarda me, penso che la mia gioia sia concentrata, interiore e intensa e che non si manifesti poi così tanto. La tristezza, per me, è un modo per connettermi con la mia profondità interiore. Mi sento a mio agio con il silenzio. A volte sembra che le circostanze esteriori della vita siano tutte una distrazione. E forse questo si riflette nel mio lavoro.


Knoxville 1992, in South Central (1991-1993), dalla trilogia South (1991-2009).


Roller Skater, Venice (California) 1983, da Angel City West (1983-1984).


New Haven, Connecticut (1985), da Rivers & Towns (1982-1990), Stanley/Barker, Londra 2021.


Plane Wing (2015), da ATL (2012-2018), Nazraeli Press, Paso Robles (California) 2022;


Summer Camp Bus (1986), da Summer Camp (1986-2003).

ART E DOSSIER N. 397
ART E DOSSIER N. 397
APRILE 2022
In questo numero: ARTE CONTEMPORANEA - Danh Vo, Isamu Noguchi, Park Seo-Bo; CAMERA CON VISTA - Sorrentiniano non è un aggettivo; STORIE A STRISCE - Diabolik, il re del terrore; BLOW UP - Maier; GRANDI MOSTRE. 1 - La 59* Biennale di Venezia. Oltre i confini dell’umano di Ilaria Ferraris con un’intervista; GRANDI MOSTRE. 2 - Marlene Dumas a Venezia.La fine è aperta; GRANDI MOSTRE. 3 - Architette da inizio Novecento a oggi a Roma.La curva invade gli edifici; XXI SECOLO - Intervista a Mark Steinmetz. Nel tempo, sospeso, qualcosa accade; GRANDI MOSTRE. 4 - Alexander Calder a Rotterdam.Sfidare la legge di gravità; PAGINA NERA - Della villa (un impero) resta solo un mistero; LETTURE ICONOLOGICHE - Il campo di grano con corvi di Van Gogh.Niente di sinistro in quel cielo tempestoso; GRANDI MOSTRE. 5 - Dai romantici a Segantini a Padova. Le scelte poetiche; STUDI E RISCOPERTE. 1 - Le figure di spalle.Verità nascoste; STUDI E RISCOPERTE. 2 - Il vuoto evocativo in Botticelli e Malevič. Il pieno nel vuoto; L’OGGETTO MISTERIOSO - Da Tonga a Stonehenge (passando per Malta); IN TENDENZA - Dumas, una mattatrice doc.