Una grande sala è dedicata alla produzione dei maestri fiamminghi già evocati, e ai genovesi - Scorza, Castiglione (detto il Grechetto) e Vassallo - che a quelli in diversa misura si rifacevano. Tra le opere esposte meritano di essere citate un’inedita e coloratissima Entrata degli animali nell’Arca di Jan Roos e un capolavoro non abbastanza conosciuto del Grechetto, Esodo biblico (La carovana) del Musée des Beaux-Arts di Rouen.
L’arrivo al pieno Barocco si ha con le sale dedicate a Valerio Castello e alla sua scuola, a Domenico Piola e a due grandi scultori, il francese Pierre Puget e il genovese Filippo Parodi: proprio dalla felice integrazione di pittura e scultura questa fase trae le sue linfe più originali (mentre al ruolo altrettanto fondamentale giocato in questo contesto da Gregorio De Ferrari è specificamente dedicata una delle iniziative espositive che in città fanno corona alla mostra di Palazzo ducale). In questo senso, il confronto tra la cosiddetta Madonna col Bambino (Madonna Carrega) di Puget e una Sacra famiglia di Piola, che eccezionalmente arriva dalla casa di riposo parigina in cui è stata recentemente individuata, è quanto mai eloquente.
A questo punto del percorso si apre una sorta di galleria di ritratti, tipologia pittorica caratteristica della produzione genovese fin dai tempi di Rubens e Van Dyck, ma con una connotazione decisamente particolare: effigi di soli bambini, a coprire un arco cronologico di più di un secolo.
Anche il Settecento è rappresentato dai migliori interpreti. A cominciare da Lorenzo De Ferrari, che riporta entro un canone più classicheggiante le forme esuberanti del padre Gregorio, e di cui viene esposta per la prima volta la grande tela ovale, dedicata alla Madonna del rosario, che appartiene a uno storico ordine conventuale genovese. A quest’opera è contrapposto un monumentale gruppo ligneo policromo di Anton Maria Maragliano, costituito da tre figure - una Madonna immacolata, un San Francesco d’Assisi e un San Bernardino da Siena - riunite, per la prima volta in quest’occasione, dai tempi delle soppressioni ecclesiastiche ottocentesche.
A seguire, Carlo Antonio Tavella, il maggior interprete genovese della pittura di paesaggio, rappresentato da una grande tela sconosciuta ai più, in quanto fa parte dell’arredo della presidenza degli Ospedali Galliera; e quell’Alessandro Magnasco - genovese per nascita e morte, ma di fatto pittore di dimensione internazionale - che conclude idealmente la rassegna con due tra i suoi quadri più visionari: Refettorio dei frati francescani osservanti di Bassano del Grappa (Vicenza) e Galeotti nel porto di Genova del Musée des Beaux-Arts di Bordeaux, dove la Lanterna di sfondo viene opportunamente a contrassegnare la “genovesità” del percorso.
In Palazzo ducale non si poteva evitare, da un lato, di comprendere la cappella che costituisce un bell’esempio della grande decorazione ad affresco di pieno Seicento, e dall’altro di evocare la figura del doge: e a questo scopo la seconda sezione della ritrattistica è dedicata a una serie di effigi della suprema carica della Repubblica dipinte da Gregorio De Ferrari, da Domenico Parodi e da quel Giovanni Maria delle Piane che è passato alla storia col soprannome, derivato dal mestiere del nonno, di Mulinaretto.