DIEPPE, PARIGI, VENEZIA

Sickert trascorse gli anni di assenza dall’Inghilterra, fra il 1898 e il 1905, tra la Francia e Venezia.

In Francia si divise tra Parigi e Dieppe, suo luogo del cuore e una delle località in cui dipinse più spesso scene di esterno, limitandosi però quasi esclusivamente alla città, come in L’Hotel Royal, Dieppe, del 1894 circa, quadro dai colori scuri e dissonanti, ferreo nella struttura dettata dalle linee rette degli edifici. Più luminoso, ma della luce fredda della costa settentrionale della Francia e legato al tema di vita moderna della villeggiatura sulla costa normanna, è Bathers (1902), lontano nei colori dalle scene impressioniste di analogo soggetto e prossimo casomai alle marine di Manet.


In questo periodo, tuttavia, le cose più interessanti nella pittura di Sickert avvengono a Venezia. L’artista aveva visitato una prima volta la città nell’ottobre del 1894 in compagnia della moglie Ellen Cobden, con la quale tornò l’anno successivo, cercando di salvare un matrimonio irrimediabilmente compromesso dalle sue continue infedeltà (i due divorziarono nel 1899 dopo alcuni anni di separazione e il cupo autoritratto di Leeds, del 1896, dà conto dello stato d’animo dell’artista in questo frangente).


Durante il primo soggiorno veneziano Sickert dipinge l’esterno della basilica di San Marco in diverse condizioni di luce e anche, più originalmente, l’interno. In Interior of St Mark’s, Venice (1895 circa) le rapide accensioni determinate tocchi di giallo, rosa e grigio azzurrino illuminano un’architettura accordata sui toni dell’ocra. Sickert esplora anche luoghi meno frequentati ed edifici meno illustri (e turistici) di San Marco o Rialto: in Santa Maria dei Carmini (1895-1896 circa) l’antica chiesa fa da sfondo alla vita quotidiana contemporanea, alle bambine che giocano, ai passanti.

Nel dipingere Venezia Sickert sente assai più il retaggio di Whistler che quello di Ruskin. Se per quest’ultimo Venezia costituiva il modello etico-estetico di una città medievale dove ogni pietra portava le tracce della cura amorevole con cui era stata disposta e scolpita dall’artefice prima del rovinoso avvento della modernità (che Ruskin datava ai primi del Quattrocento), Whistler aveva restituito un’immagine assai diversa della città: in alcuni pastelli, dipinti e in numerose opere grafiche eseguite a partire dal 1879-1880 Venezia appare nel suo volto feriale e quotidiano.

Appena entrato nello studio di Whistler, Sickert per prima cosa aveva aiutato il maestro a stampare una serie di incisioni di soggetto veneziano. A poco più di vent’anni aveva quindi sviluppato una buona dose di anticorpi per difendersi dalla retorica ruskiniana e, d’altronde, aveva acquisito una visione di Venezia lontana da quella, emozionante e fatale, dipinta da William Turner negli anni Quaranta dell’Ottocento. È Whistler a ispirare Sickert nel gusto per gli scorci di una Venezia minore, come la già citata Santa Maria dei Carmini, o il Palazzo Montecuccoli. Anche quando si sofferma su monumenti famosi, come avviene per esempio in The Horses of St Mark’s, Venice (1901-1906), Sickert lo fa senza la trepidazione ruskiniana, ma con il gusto moderno per i tagli audaci, volti a inquadrare una porzione della facciata della basilica e studiare i rapporti fra l’ossatura di linee rette e curve e il profilo più mosso dei cavalli.


Interior of St Mark’s, Venice (Interno di San Marco, Venezia) (1895 circa); Londra, Tate.

L’idea compositiva ricorda la spazialità complessa sperimentata da Sickert nei dipinti di music hall e rinvia, in ultima analisi, a dipinti di Degas quali per esempio Mademoiselle La La al circo Fernando (Londra, National Gallery, 1879), dove il corpo dell’acrobata impegnata in un difficile esercizio si ritaglia, visto da sotto in su, sull’intelaiatura del soffitto dell’edificio.

La fase più importante della pittura veneziana di Sickert si apre con l’ultimo soggiorno in città, il più lungo, svoltosi fra l’autunno del 1903 e l’estate del 1904. Dalle scene urbane Sickert passa agli interni e dipinge, vestite e svestite in interni spogli, da sole o in coppia, modelle di cui sappiamo i nomi, “la” Giuseppina e “la” Carolina. Sono loro le protagoniste dei nuovi dipinti di Sickert, quadri cupi e sinistri, con qualche ricordo di lavori di analogo tema di Degas, Lautrec e soprattutto Bonnard, ma meno luminosi e più torbidi. I nudi veneziani imprimono una svolta decisiva all’arte di Sickert che “a posteriori”, negli anni Venti, si rammarica in una lettera a una corrispondente di essersi accorto troppo tardi che Venezia avrebbe potuto essere trattata come una città del presente, piuttosto che come un bellissimo complesso storico e monumentale, fermo al suo passato.

Edgar Degas, Mademoiselle La La al Circo Fernando (1879); Londra, National Gallery.


The Horses of St Mark’s, Venice (I cavalli di San Marco, Venezia) (1901-1906); Bristol, Bristol Museums & Art Gallery.


The Beribboned Washstand (Il lavabo con i nastri) (1903-1904).

L’artista aveva trovato l’aspetto contemporaneo di Venezia in Carolina e Giuseppina, per metà modelle e per metà prostitute, o nella vecchia sdentata col fazzoletto in testa ritratta nelle varie versioni di Mamma mia poveretta (1903-1904). Il cosmopolita Sickert parlava bene più lingue, compreso l’italiano, capiva il veneziano e si divertiva enormemente alle porcherie che gli dicevano Giuseppina e Carolina mentre posavano «come angeli », dalle nove di mattina alle quattro del pomeriggio. Così scriveva all’amico Blanche, proprietario di una bella raccolta di quadri di Sickert poi donata al Musée des Beaux-Arts di Rouen, tra cui Fille vénitienne allongée (1903-1904), quadro di grande fascino, al limite della pornografia. Come negli anni passati a Londra Sickert si era mescolato al pubblico del music hall, ne aveva condiviso le passioni, aveva applaudito gli stessi attori e cantanti, anche a Venezia gioca il ruolo dell’intellettuale borghese che ama mischiarsi al popolo. Qui entra in stanze da letto spoglie, dove la poesia della città storica scompare, sostituita dal sapore più greve, ma più attuale, dei bassifondi verso cui lo attirano non solo le sue spinte erotiche, ma anche il bisogno di sperimentare il motivo del nudo. Infatti, benché il primo nudo in un interno dipinto da Sickert sia stato probabilmente eseguito a Neuville, nei pressi di Dieppe, nel 1902 (ma la data non è certa), è solo a Venezia che il tema è sviluppato con continuità e coerenza.

Pierre Bonnard, L’indolente (1899); Parigi, Musée National d’Art Moderne - Centre Georges Pompidou.


Le “tose” (1903-1904); Londra, Tate.

Quelli veneziani, dipinti in una delle città del mondo in cui il passato è rimasto più intatto e visibile, sono nudi moderni, nel senso baudelaireiano, sono cioè ambientati in uno dei pochi luoghi dove, secondo il poeta, il nudo era credibile come tema moderno: la stanza da letto.

      

Venezia, che nel 1910 i futuristi avrebbero bollato come città irrimediabilmente “passatista”, si trasforma in questi nudi in uno scenario di vita moderna e apre ai motivi che di lì a pochi mesi Sickert praticherà a Londra dove, proprio in virtù di quanto aveva imparato nell’ultimo soggiorno veneziano, si trovò, brevemente ma efficacemente, a ricoprire il ruolo di caposcuola nella transizione della pittura inglese verso la modernità.


Fille vénitienne allongée (Ragazza veneziana distesa) (1903-1904); Rouen, Musée des Beaux-Arts.

SICKERT
SICKERT
Claudio Zambianchi
La fama di Walter Sickert (Monaco di Baviera 1860 - Londra 1942) deve più alla giallista Patricia Cornwell – che dopo anni di indagini lo indica convintamente come il maggiore indiziato di essere Jack lo Squartatore – che agli storici dell’arte.Eppure la sua figura artistica emerge con forti tratti di originalità nel panorama europeo di inizio Novecento. Ha la fortuna di essere allievo di Whistler, di Degas, di Pissarro; studia, viaggia, lavora fra Londra, Parigi, la Normandia, Venezia. Frequenta gli impressionisti francesi e i postimpressionisti del gruppo di Camden Town, e matura uno stile che si orienta sempre più verso un modernismo realista attratto dalla vita dei bassifondi, dallo squallore delle periferie, popolate di nudi disadorni e avvolti in atmosfere cupe. Tutti ingredienti che non hanno fatto che accreditare l’ipotesi cornwelliana: Sickert ha qualcosa a che fare con la serie di omicidi di prostitute dell’estate londinese del 1888?