IL MUSIC HALL

In un testo molto ispirato dedicato alle incisioni di Sickert, pubblicato nel febbraio del 1923 su “The Print Collector’s Quarterly”, lo scrittore John Middleton Murry parlava con intensa nostalgia del vecchio music hall, quello degli anni Ottanta e Novanta dell’Ottocento, prima che in tempi più recenti fosse privato del suo mordente originario, fatto di sapori magari volgari, ma autentici, e sostituito dal cinema o dal «varietà raffinato».

E piangeva la morte di Marie Lloyd (1922), la più grande interprete del music hall, che se ne andava proprio mentre Murry scriveva il suo testo. Anche l’amico Thomas Stearns Eliot, negli stessi giorni, dedicava uno scritto alla scomparsa di Marie Lloyd, unica attrice con cui la classe operaia fosse stata capace di identificarsi, di unirsi a lei in coro e diventare così parte dello spettacolo, mentre il ceto medio, «moralmente corrotto», non aveva idoli paragonabili; anzi, non ne aveva alcuno.


In realtà il lamento sul progressivo snaturarsi del music hall, per colpa di chi voleva renderlo rispettabile, purgandolo di quella “volgarità” fondamentale per la sua autenticità e il suo radicamento sociale, si era levato poco più di vent’anni prima per voce di Max Beerbohm, caricaturista, scrittore e critico dell’ambiente decadente degli anni Novanta raccolto attorno allo “Yellow Book”, la rivista di Aubrey Beardsley, che pubblicò varie riproduzioni di opere di music hall di Sickert. Fra gli appassionati del music hall, Beerbohm, oltre a quello di Sickert, fa anche altri nomi di intellettuali, fra cui Arthur Symons e Frederick Wedmore, uno dei primi critici a sostenere Sickert.


Nella pittura di music hall di Sickert si possono individuare tre fasi: quella iniziale si situa nella seconda metà degli anni Ottanta, indizio di una passione precoce per il tema; segue una ripresa fra 1894 e 1898; Sickert, infine, ricomincia a dipingere music hall dopo il ritorno a Londra, tra 1906 e 1909. Dapprincipio si concentra sugli attori e le attrici: i suoi biografi lo ricordano mentre fa la fila all’ingresso dei locali per ottenere sempre lo stesso posto e quindi il medesimo punto di vista, insegue le attrici preferite da un locale all’altro per riuscire a cogliere con esattezza i particolari dell’abbigliamento e la prossemica, o chiacchiera “en souplesse” con Bessie Bellwood o Katie Lawrence, due fra le interpreti predilette.

Il primo quadro di music hall esposto da Sickert, alla mostra della Society of British Artists tenutasi nello stesso 1887 in cui il dipinto fu eseguito, è The Lion Comique, nello stesso tempo ritratto di un performer, il celebre Gilbert Hastings MacDermott, e immagine di un ruolo, quello del mattatore capace di suscitare con la sua “vis comica” l’ilarità del pubblico. Nel 1889, alla mostra dei London Impressionists, vengono esposti altri due quadri di music hall, Little Dot Hetherington at the Bedford Music Hall e The P.S. Wings in an O.P. Mirror, eseguiti fra 1888 e 1889 e dedicati entrambi alla stessa giovane performer. Nel giro di un paio d’anni Sickert è riconosciuto come «l’artista ufficiale del music hall» e – nota Ronald Pickvance – predilige i locali «piccoli e decentrati, il Bedford, il Collin’s, il Marylebone» e, se va nel West End, cerca i locali che mantengono il sapore originario di questa forma d’intrattenimento, come il Gatti’s e il Middlesex. Le tre opere appena citate danno un’idea della complessità delle fonti d’ispirazione di Sickert per questi dipinti: da un lato Degas, naturalmente, e anche Manet, quest’ultimo in particolare per l’uso degli specchi che, assieme alla scelta del taglio dell’immagine, consentono all’artista di frammentare lo spazio del quadro e inserire elementi di ambiguità. Così facendo Sickert da un lato mette in atto un gioco fra verità e finzione molto adatto al genere teatrale; dall’altro coglie l’occasione per inserire nel quadro i segni della molteplicità e transitorietà dello sguardo tipici dell’esperienza della metropoli moderna.

Altro artista amato da Sickert è il tedesco Adolf von Menzel, che con il Théâtre du Gymnase, del 1856, aveva precocemente dipinto una scena teatrale parigina; a Menzel, altro maestro di inquadrature inattese, Sickert continuerà a guardare per anni. Sickert era inoltre figlio di un illustratore, amava enormemente Charles Keene e gli piacevano le stampe delle riviste ad alta diffusione, dove le immagini di music hall comparivano spesso. Le fonti di Sickert sono quindi molteplici e l’artista si diverte a mescolare la cultura alta con quella bassa, come sovente avviene nella pittura della vita moderna. A rendere ancora più complesso il quadro dei riferimenti della pittura di music hall di Sickert è la presenza, nel primo piano di The P.S. Wings in an O.P. Mirror, di volti appena caricaturali, un aspetto che si accentua decisamente, sino alla deformazione espressiva, in Bonnet and Claque. Ada Lundberg at the Marylebone Music Hall (Il cappello e la claque. Ada Lundberg al Marylebone Music Hall) (1887), forse ispirato, si è detto, dall’arte di James Ensor. Sickert in quello stesso 1887 aveva esposto con Les XX, il gruppo dell’avanguardia simbolista belga di cui Ensor faceva parte. Benché non abbia visitato la mostra, il lavoro del collega gli era verosimilmente noto.


Se già in Bonnet and Claque lo sguardo di Sickert si concentra sull’interazione fra performer e spettatori, a partire dagli anni Novanta il pubblico, dice Wendy Baron (autrice del fondamentale catalogo delle opere note di Sickert), diviene protagonista esclusivo. Lo sguardo rivolto all’uditorio e non al palcoscenico è la maggiore novità introdotta da Sickert nella pittura di teatro, con pochi precedenti nella storia dell’arte, il più vicino e rilevante quello di Honoré Daumier. I dipinti degli anni Novanta che rappresentano la galleria del Middlesex Music Hall (The Old Mogul Tavern) o gli spalti dell’Old Bedford, nei quali l’artista, dalla platea o da un palco di proscenio, si volge a guardare il viso dei loggionisti rapiti dallo spettacolo, dicono qualcosa della partecipazione emotiva, dell’identificazione della classe operaia londinese (e dell’artista stesso) con questa forma d’intrattenimento. Sickert dipinge music hall anche dopo il ritorno a Londra, seguito ai sette anni di esilio volontario trascorsi tra la Francia e Venezia tra 1898 e 1905, e in questo frattempo raffigura anche qualche café chantant parigino. La ripresa del motivo nel primo decennio del nuovo secolo, tuttavia, va letta non più come segno di adesione a un intrattenimento ancora popolare, ma come l’omaggio nostalgico e per certi versi retrospettivo per una forma d’arte avviata sul viale del tramonto. Su questo tema si sofferma Wedmore che, in Some of the Moderns, del 1909, dedica un capitolo a Sickert e insiste proprio sui quadri di music hall. In “Noctes Ambrosianae”, dipinto nel 1906, poco dopo il ritorno in patria, l’incanto del pubblico arrampicato in piccionaia all’Old Middlesex Music Hall, uno dei più vecchi locali di Londra, è rimasto intatto mentre nel New Bedford Sickert torna in un music hall molto amato in passato, ma rinnovato e ormai trasformato in un moderno teatro di varietà.

SICKERT
SICKERT
Claudio Zambianchi
La fama di Walter Sickert (Monaco di Baviera 1860 - Londra 1942) deve più alla giallista Patricia Cornwell – che dopo anni di indagini lo indica convintamente come il maggiore indiziato di essere Jack lo Squartatore – che agli storici dell’arte.Eppure la sua figura artistica emerge con forti tratti di originalità nel panorama europeo di inizio Novecento. Ha la fortuna di essere allievo di Whistler, di Degas, di Pissarro; studia, viaggia, lavora fra Londra, Parigi, la Normandia, Venezia. Frequenta gli impressionisti francesi e i postimpressionisti del gruppo di Camden Town, e matura uno stile che si orienta sempre più verso un modernismo realista attratto dalla vita dei bassifondi, dallo squallore delle periferie, popolate di nudi disadorni e avvolti in atmosfere cupe. Tutti ingredienti che non hanno fatto che accreditare l’ipotesi cornwelliana: Sickert ha qualcosa a che fare con la serie di omicidi di prostitute dell’estate londinese del 1888?