CORTIGIANE
immaginarie

Augusto Gentili

Per leggere correttamente il significato di un’opera d’arte bisogna padroneggiarne il linguaggio.
Considerazioni a margine delle mostre tizianesche.

Sylvia Ferino-Pagden, ideatrice e curatrice della mostra di Vienna (Tizians Frauenbild. Schönheit, Liebe, Poesie, ottobre, 2021-gennaio 2022; nella versione italiana della mostra, a Milano, il titolo è Tiziano e l’immagine della donna nel Cinquecento veneziano, v. pp precedenti), mi scrive di essere stata “linciata” dalle femministe di lingua tedesca, che come protagoniste dei dipinti di Tiziano rivogliono le cortigiane, le sole donne - dicono - capaci di gestire in autonomia il corpo e la sessualità. E dire che prima di questa distopia (in realtà tutt’altro che nuova) sembrava che l’interpretazione come “ritratti di cortigiane” - prodotta nella fantasiosa tradizione romantica e postromantica dall’evidente carattere erotico di molte immagini discusse nel dossier che accompagna questo numero della rivista - fosse originata esclusivamente dal pregiudizio maschile e dal soliloquio misogino di vecchi scrittori, senza ormai meritare alcuna considerazione.

Nell’attuale condizione di pandemia intellettuale varrà dunque la pena ribadire che questa interpretazione dipende dalla più assoluta ignoranza della storia del costume (nel duplice senso del termine: come convenzione di comportamento e come convenzione di abbigliamento), poiché non considera l’antropologia e la morfologia - i fondamenti ideologici e le pratiche cerimoniali - dell’istituto del matrimonio in quel tempo; dipende dall’ostracismo ormai largamente riservato a campi statutari della storia dell’arte quali l’analisi iconologica e semiologica, poiché non considera, non legge, “non vede” simboli e segni; e dipende - forse soprattutto, e più semplicemente - dall’inveterata attitudine bigotta a dar della puttana a ogni donna che esponga il suo potenziale di erotismo.

I titoli delle mostre (o i loro sottotitoli) non sono mai neutri. La tradizione umanistica privilegiata a Vienna sembra contrapporsi alla strampalata sequenza ternaria della mostra di Londra sulle «poesie» di Tiziano (Titian. Love, Desire, Death, 2020-2021, titolo mantenuto nella tappa di Edimburgo), dove l’inaspettata apparizione conclusiva della morte, indubbiamente fondamentale, resta del tutto scollegata dai primi due elementi, amore e desiderio, che dovrebbero invece annunciarla. Assai migliore (come già accennavo) il titolo della versione di Boston, con Titian. Women, Myth & Power (agosto 2021 - gennaio 2022): peccato che nessuno l’abbia sviluppato. In realtà ci avevo provato io più di quaranta anni fa, con un libro intitolato Da Tiziano a Tiziano, più volte ristampato, che però agli studiosi inglesi e americani - quelli che nel sistema contano - non è mai piaciuto. Troppo politico, e troppo scorretto, mettere sotto accusa il crudele dominio degli dei su uomini e donne che non sanno e non possono resistere (agli dei, ma soprattutto al destino che questi governano); e peggio ancora leggerlo come allegoria del potere nel mondo contemporaneo, che era un obbligo culturale per chi viveva a mente aperta il grande secolo ventesimo. Per il vecchio Tiziano la tragedia è una scelta estetica, che scava dentro l'immagine e dentro il linguaggio fino al disfacimento della pittura; ed è una scelta etica, che investe il significato e l’interpretazione delle storie e delle favole con esiti di sconcertante alterità rispetto sia alla tradizione che alle poetiche contemporanee. Non c’è alcuna sublimazione platonica o neoplatonica, né alcuna catarsi aristotelica o neoaristotelica; non ci sono le grandi e notabili azioni degli eroi, né le terapie “omeopatiche” ma a dosi massicce di pietà, spavento, compassione. In questo le immagini si dimostrano più avanzate della trattatistica, giacché lo sdegno per le scelleraggini degli dei e la resa incondizionata dell’umanità subalterna non viene assorbito in alcun percorso di risarcimento ma resta in sospensione, riflettendo la sconfitta di eroi ed eroine nella sconfitta dell'artista quando il suo ruolo intellettuale è ignorato e annullato. Alla fine - ancora adesso, se si vuole - resta soltanto l’intenzione etica, che si risolve nella presentazione di crimini al di là del limite e della misura, nel giudizio che le immagini pronunciano senza alcuna reticenza col linguaggio illimitato e la smisurata verità della tragedia. 


Non troverete nulla di tutto questo nel catalogo della mostra londinese, scozzese e bostoniana: come si può capire la tragedia del “grande vecchio” se non si ha il coraggio intellettuale di collocare la Morte di Atteone alla fine della lunga esperienza ovidiana - al confine ultimo della vita, del pensiero e del mestiere - invece di nascondersi dietro una finta cronologia, addirittura 1559-1575, che non segna una “datazione” ma un tempo opportunisticamente stiracchiato, un tempo vuoto e morto, un tempo che in storia dell’arte è privo di senso? E come si può capire il linguaggio della sua pittura infinita, sbranata quanto l’uomo-bestia, se questo dipinto avveniristico viene giudicato “irrisolto”, forse perché manca la corda dell’arco di Diana e manca la freccia mortale?

Quando andai a Londra la prima volta per un periodo di studio, la Morte di Atteone era la mia priorità assoluta. Eravamo nel 1971 (o 1972, non ricordo bene, gli inglesi erano ancora gentili ed è passato tanto tempo): il quadro, proprietà del conte di Harewood, era già da diversi anni in prestito/deposito alla National Gallery, ma allora, dopo la vendita all’asta per una cifra record e il passaggio attraverso un privato, rischiava di finire oltre oceano al museo di J. Paul Getty, il petroliere onnivoro e quasi onnipotente, qualora le istituzioni britanniche non avessero raccolto, entro un anno, la somma equivalente per il riscatto (a me piace chiamarlo così). Fu aperta anche una sottoscrizione pubblica: accanto al quadro, una cassettina trasparente piena di monete luccicanti e banconote di piccolo taglio testimoniava il democratico successo dell’iniziativa. Ero un borsista povero e il mio contributo fu di un’unica sterlina, ma sufficiente ad acquistare dalla tragica foresta una fogliolina minuscola, che da allora mi serve come inesauribile oggetto di meditazione e strumento di infinita comprensione.

Il quadro è rimasto dov’era: ma quelli che invece di pensare fanno mostre aspettano ancora di capirci qualcosa, nonostante abbiano sempre a disposizione il bosco tutto intero.

È ora di riandare all’incipit di queste postille, con l’occasione di un “documentario” targato BBC sulla mostra di Londra: spaventoso pasticcio per turisti, con parecchi momenti di puro sollazzo, che non meriterebbe ulteriori attenzioni se non fosse per la presenza di alcune signore, ben mature, profondamente turbate da tutte quelle donne nude e soprattutto da tutte quelle storie di aggressione, violenza e stupro; immaginate nell’intimo, in assenza di riscontro nelle immagini dipinte. A partire da un’invincibile moralità puritana e da un cronico vuoto di sapere, si va ormai verso una cultura della cancellazione che pretende la cancellazione della cultura. Meglio, tuttora, le femministe austro-tedesche.


Tiziano, Morte di Atteone (1570-1575), Londra, National Gallery.

ART E DOSSIER N. 396
ART E DOSSIER N. 396
Marzo 2022
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE - Poli opposti si attraggono; CORTOON - La strana coppia; BLOW UP - Biennale fotografia femminile; DENTRO L’OPERA - La pittura come specchio sul mondo; GRANDI MOSTRE. 1 Libero Spazio Libero a Bologna - Dalla parte delle donne; GRANDI MOSTRE. 2 Ruth Orkin a Bassano del Grappa - La freschezza dell’istante; XX SECOLO Gli autogrill di Angelo Bianchetti - Come ponti sul fiume di Laura Graziano; GRANDI MOSTRE. 3 Sophie Tauber-Arp a New York - L’incarnazione della modernità; OUTSIDERS - Evgen Bavčar: fotografo dell’invisibile; GRANDI MOSTRE. 4 Maria Maddalena a Forlì - La leggenda della santa peccatrice; GRANDI MOSTRE. 5 Plautilla Bricci a Roma - L’architettrice, la sua storia; PAGINA NERA - I sacelli di cultura hanno vita proprio dura; GRANDI MOSTRE. 6 Le donne nella pittura da Tiziano a Boldini, in due mostre a Milano e a Brescia - Un’ossessione dai mille volti; GRANDI MOSTRE. 7 La fabbrica del Rinascimento a Vicenza - Quattro eroi all’opera; STUDI E RISCOPERTE Il fuori campo nell’arte dal Trecento al Seicento - L’assenza presente; IN TENDENZA - Con Anguissola paga anche l’incertezza. GUSTO DELL’ARTE - Stinking rose.