Ad aiutarci a capire c’è l’Arte de’ cenni di Giovanni Bonifacio, un dizionario di fine Cinquecento che esamina centinaia di gesti del corpo, basandosi su fonti letterarie. Quel leggero sorriso, «riso dolce», per esempio, è un licenzioso invito all’amante, mentre il tentativo di coprire in parte il seno è indice di pudore: si gioca sull’ambiguità, tra lascivia e virtù. La Laura di Giorgione invece, circondata dal virtuoso alloro, apre il suo cuore ai sentimenti; ma se non ci fosse quella sacra pianta il significato potrebbe essere molto diverso.
Alla base di ogni immagine c’è la seduzione, che diventa più esplicita quando si tratta di coppie di amanti. Nella Giovane donna con il suo spasimante di Bernardino Licinio il giovane dichiara il suo amore, con una mano al petto e l’altra che stringe con delicatezza e passione il polso della donna che, a sua volta, con quell’ampio décolleté gli promette amore, piacere, fertilità. Anche i colori degli abiti hanno significati precisi; come i gioielli, che possono voler dire fedeltà, costanza nell’amore o altro ancora.
Tra le “belle” ci sono anche le eroine e sante, tratte da Livio o da Ovidio come Lucrezia, o dal Vecchio testamento come le varie Giuditta, Susanna, Maddalena, Salomè, protagoniste di libri e opuscoli nella Venezia del tempo. Simboli di onore, castità, coraggio, sacrificio, sono rappresentate nel momento della violenza subita o dovuta a una giusta causa, come raccontano Giuditta con la testa di Oloferne di Lorenzo Lotto del 1512 o Tarquinio e Lucrezia di Tiziano, o Susanna al bagno di Tintoretto.
Violenza e appagamento dei sensi nella sezione su “Gli amori degli dei”, tema in cui le immagini diventano fortemente erotiche. Venere ha un ruolo preminente, visto che il suo nome è associato al mito della fondazione di Venezia. Tiziano la dipinge più volte con piccole varianti e a volte con l’intervento della bottega. In Venere e Adone, del 1555-1557 circa, è scelto il momento drammatico in cui la dea, nuda e sensuale, si aggrappa al bell’Adone che la sta lasciando per la caccia. In Marte e Venere, capolavoro del 1550 circa, giunto da Vienna, l’eros giunge all’apice con quel «bacio amoroso, e lascivo», per dirla con Bonifacio, e Marte che le sfiora il gluteo sotto il velo: un dipinto reso con la pittura sciolta e luminosa della maturità. Poi c’è la Danae di Vienna nel pieno del piacere dei sensi con Giove che la impollina con la pioggia d’oro e lei che apre le gambe per accoglierla. Accanto a Tiziano, e al suo Ninfa e pastore del 1570-1575, ci sono altri maestri come Veronese con il Ratto d’Europa e Venere e Adone, Tintoretto con Leda e il cigno, Palma il Vecchio con le Ninfe al bagno.
Opere che raccontano di cultura e sensualità nella Venezia del XVI secolo. Ma se ci chiedessimo: e dopo, che succede? E nel resto d’Italia? A rispondere è la mostra in corso a Brescia Donne nell’arte da Tiziano a Boldini, a cura di Davide Dotti, che tratta l’argomento tra tema e cronologia, sino all’inizio del Novecento, con una novantina di opere quasi tutte di collezione privata. Nel Seicento la rappresentazione della donna continua su tematiche molto simili a quelle del secolo precedente. Ci sono sante ed eroine bibliche come Susanna e i vecchioni (1628-1630) del tedesco Matteo Loves, attivo in Emilia, o Ester e Assuero del 1660-1665, del padovano Pietro Liberi. E donne del mito e della storia antica come la bella Flora (1635 circa) del bolognese Giovanni Giacomo Sementi e tanti altri esempi.
I ritratti come quello dell’elegante Teresa Dondini Spada del 1657 di Cesare Gennari, pur muovendosi sempre tra i due filoni di idealizzazione e realismo, acquistano nuove sfumature psicologiche. Accanto al ritratto celebrativo si afferma poi un tipo di ritrattistica che riguarda tutti gli strati sociali e si prolunga nel Settecento e Ottocento. Uno dei maggiori rappresentanti di questa tendenza è il bergamasco Fra Galgario, specialista del settore, che immortala aristocratiche e borghesi. Nel suo Ritratto di gentildonna (1725-1730), compare una donna in abito sobrio, il volto fine e pensoso, che sostiene leggermente il bordo di un velo, in una dimensione di quotidianità che si affermerà sempre di più. Lo dimostra la pittura del milanese Giacomo Ceruti detto il Pitocchetto (1698-1767) nella prima metà del Settecento con dipinti come Ragazze che lavorano al tombolo, in cui la poesia e il realismo si spingono verso la caratterizzazione di volti, mani, oggetti. Così se da un lato continua la pittura aulica con i ritratti femminili di Andrea Appiani, Francesco Hayez, Pompeo Batoni e altri, sino a Boldini, dall’altro si afferma la pittura degli umili con tutte le sue tematiche, dalla maternità alla vita quotidiana, al lavoro, al nudo (con opere, tra gli altri, di Ettore Tito e Gino Piccioni).
Uno spazio particolare è dedicato alla natura morta al femminile in cui pittrici del Seicento come Fede Galizia, Giovanna Garzoni, Orsola Maddalena Caccia, Anna Stanchi, Elena Recco si impongono come raffinate specialiste di fiori, frutti, pesci, volatili.