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I SACELLI DI CULTURA
HANNO VITA PROPRIO DURA

Fabio Isman

Ne abbiamo parlato pochi anni fa ma ora la situazione è in netto peggioramento.
Biblioteche e archivi di Stato continuano a subire una grave riduzione del personale e, di conseguenza, una contrazione dell’orario di apertura al pubblico.
Pochi i dipendenti interni integrati, quando va bene, da esterni, volontari o stagisti. Eppure il lavoro non manca, anzi. Forse questo non è un patrimonio degno di attenzione?

Leggiamo alcuni tra i più recenti dati disponibili: nella terza biblioteca statale d’Italia, quella Nazionale di Napoli, si entra solo tra le dieci del mattino e le tre del pomeriggio, e se si è avuta l’accortezza di prenotare; i duecentocinquanta dipendenti del 2015, sette anni dopo si sono ormai ridotti ad appena ottanta, e di più non si può proprio fare. Non solo: il direttore afferma che avrebbe bisogno del doppio delle persone, e che, invece, la situazione è destinata a peggiorare in futuro. Del resto, la statistica non è troppo diversa nemmeno a livello nazionale: settecentosettantanove bibliotecari erano in servizio al Ministero nel 2016; ma oggi, in tutt’Italia, ne restano unicamente trecentodieci, i quattro decimi. La Biblioteca nazionale braidense di Milano, nel 2005 vantava centoquarantacinque dipendenti, di cui trentadue bibliotecari; quindici anni dopo, erano al lavoro appena quarantaquattro persone, di cui sette bibliotecari; e oggi, sono in tutto trentatre, e i bibliotecari soltanto due; un calo nel personale di sette decimi, a fronte di un lavoro analogo, e anzi maggiore: perché, di recente, sono state anche acquisite nuove collezioni (il fondo di libri antichi collezionati da Umberto Eco, per esempio), che vanno catalogate e sistemate.

E stiamo parlando di due tra gli istituti più importanti della penisola. Rilevante quasi altrettanto è la Biblioteca marciana di Venezia, diretta da Stefano Campagnolo; tuttavia, a metà servizio con la maggiore in Italia, la Biblioteca nazionale centrale di Roma. Né è un caso straordinario: prima di lui, in laguna, Maria Letizia Sebastiani, comandava anche quella di Firenze.

Che cosa non si fa, per risparmiare uno stipendio e un ruolo apicale. Oggi, al vertice della biblioteca di Brera, c’è James Bradburne, che sovrintende anche alla sua famosa pinacoteca, e per anni ha diretto palazzo Strozzi a Firenze. Spiega: «Le biblioteche nazionali sono a rischio: siamo stati abbandonati, perché fuori dalla logica del turismo, che invece ha trainato il resto della cultura». E anche quelle locali non godono di ottima salute: a Roma, è chiusa e impacchettata la più notevole tra quelle comunali. Fino al 2017 intestata ad Andrea Rispoli, dal 1930 era in una parte del palazzo Doria Pamphilj. Da tempo mancava la manutenzione; e quando il riscaldamento cessa di funzionare, poco dopo anche la biblioteca fa una pessima fine. I volumi vanno in deposito; in casse: non sono non più consultabili; e si sta tuttora cercando una nuova sede.

Per tornare agli istituti statali, anche quelli di Roma e Firenze hanno ridotto l’orario; e già dal 2017, nella capitale, garantivano alcuni servizi dei “volontari” pagati con rimborsi spese in cambio degli scontrini. La Biblioteca universitaria di Pisa è chiusa dal 2012: la parte storica più rilevante è finita a Lucca, parecchi fondi pare che saranno provvisoriamente destinati a Piacenza. Ma sono soltanto alcuni esempi di un malessere (chiamiamolo così) assai più diffuso. I dati dell’Istat (per la prima volta, nel 2019 ha rilevato la situazione) dicono che, su un migliaio di biblioteche in Italia, appena nove su cento aprono per oltre quaranta ore la settimana, e il sessantacinque per cento è invece agibile agli utenti per meno di trentacinque. Solo dieci istituti su cento vantano un bibliotecario regolarmente assunto; nove utilizzano degli esterni; ma ben cinquantadue si affidano a volontari o a “stagisti”; infine, oltre sette su dieci sono privi di qualsiasi dipendente interno.


Una sala della Biblioteca nazionale braidense di Milano.


Il cortile interno della Biblioteca universitaria di Pisa, chiusa dal 2012.


«Le biblioteche nazionali sono a rischio: siamo stati abbandonati, perché fuori dalla logica del turismo, che invece ha trainato il resto della cultura»
(James Bradburne)

Per dirla con Bradburne, «fuori dalla logica del turismo» sono, purtroppo, pure gli archivi di Stato: in Italia, centotrentatre, di cui cento nei capoluoghi di provincia. Un recente documento dei dipendenti dice che, nell’organico, sono previsti «ventitre dirigenti di seconda fascia», ma in servizio ce ne sono appena sei, i quali si occupano di nove sedi. Le altre sono affidate a dirigenti del Ministero, o a figure professionali diverse: perfino a degli architetti. Ancora maggiori le carenze di funzionari e di altro personale. Già nel 2020 mancavano milledue dipendenti, e per altri trecentottantasei era previsto il pensionamento nei due anni successivi. Duemilasettecentottantaquattro sono gli addetti nella pianta organica, ma quasi milleseicento le caselle vuote. Nel 2022 i funzionari archivisti in servizio saranno meno della metà: non i seicento che dovrebbero essere, ma duecentosettantanove. Con questi “chiari di luna” (non certo per evocare una celeberrima sonata pianistica di Ludwig van Beethoven), gli istituti capita che funzionino “a singhiozzo”: ogni tanto, un avviso informa che uno non può aprire, per la carenza del personale. A parte i casi, diciamo così, straordinari: per esempio, a Salerno la Provincia ha incluso la sede dell’Archivio di Stato, aperto nel 1934, tra i propri beni da mettere in vendita. Poco importa che abbia una storia onusta di funzioni anche prestigiose: già nel XV secolo, al tempo degli Aragonesi, era sede della Regia udienza, poi di altri uffici giudiziari, anche dopo l’Unità d’Italia, finché non è subentrato appunto l’archivio.

Anche se non attirano masse di visitatori, e tanto meno di turisti, archivi e biblioteche non sono (soltanto) depositi di carta e carte, dei sacelli che conservano il nostro passato e la nostra cultura: possiedono svariate funzioni, non meno importanti e non di piccolo rilievo, destinate alle utenze più varie: a chi debba redigere una tesi di laurea, agli ingegneri e architetti che cercano un documento (come il progetto originario di uno stabile) anche per fruire dei previsti sgravi fiscali, agli studiosi, per qualsiasi ricerca storica o artistica. Invece sono mantenuti in condizioni abbastanza vergognose, per le quali si potrebbero sprecare gli aggettivi e l’indignazione. Sono allo stremo, in stato quasi preagonico, non ce la fanno proprio più. Un film di Sidney Pollack, premiato al festival di Cannes nel 1969, s’intitolava Non si uccidono così anche i cavalli? È bene ricordarlo.


L’Archivio di Stato di Salerno aperto nel 1934 è tra i beni messi in vendita dalla Provincia.


Una sala della Biblioteca marciana di Venezia.

ART E DOSSIER N. 396
ART E DOSSIER N. 396
Marzo 2022
In questo numero: FINESTRE SULL’ARTE - Poli opposti si attraggono; CORTOON - La strana coppia; BLOW UP - Biennale fotografia femminile; DENTRO L’OPERA - La pittura come specchio sul mondo; GRANDI MOSTRE. 1 Libero Spazio Libero a Bologna - Dalla parte delle donne; GRANDI MOSTRE. 2 Ruth Orkin a Bassano del Grappa - La freschezza dell’istante; XX SECOLO Gli autogrill di Angelo Bianchetti - Come ponti sul fiume di Laura Graziano; GRANDI MOSTRE. 3 Sophie Tauber-Arp a New York - L’incarnazione della modernità; OUTSIDERS - Evgen Bavčar: fotografo dell’invisibile; GRANDI MOSTRE. 4 Maria Maddalena a Forlì - La leggenda della santa peccatrice; GRANDI MOSTRE. 5 Plautilla Bricci a Roma - L’architettrice, la sua storia; PAGINA NERA - I sacelli di cultura hanno vita proprio dura; GRANDI MOSTRE. 6 Le donne nella pittura da Tiziano a Boldini, in due mostre a Milano e a Brescia - Un’ossessione dai mille volti; GRANDI MOSTRE. 7 La fabbrica del Rinascimento a Vicenza - Quattro eroi all’opera; STUDI E RISCOPERTE Il fuori campo nell’arte dal Trecento al Seicento - L’assenza presente; IN TENDENZA - Con Anguissola paga anche l’incertezza. GUSTO DELL’ARTE - Stinking rose.