VIVERE: «MI PIACEREBBE RIDERE
DELLA MIA STESSA MORTE»

Un’attrazione speciale lega l’artista al passaggio estremo, quello in cui il corpo resta soltanto carne, ma è per esaltare la vita.

Così ha scritto: «C’è stato un tempo in cui pensavo che il mio soggetto centrale fosse il dolore. Come ritrarre la tristezza del mondo e la mia colpa di non essere tanto triste quanto altri. Ora penso che sia meglio che mi affretti a dipingere la gioia, prima che la fortuna mi abbandoni»(42)


Negli anni il tema ha resistito. Molte opere di Dumas hanno un sostrato religioso e derivano, in ultima analisi, dall’iconografia del Cristo morto, che abbiamo già incontrato nella versione di Holbein. Anche Michelangelo ha la sua parte: nel 2011 l’artista ha esplicitamente dedicato una serie di opere alla crocefissione, ma, soprattutto, nel 2012 ha reso omaggio alla Pietà Rondanini di Michelangelo riproducendo in pittura quell’impossibile tentativo di sostegno e resurrezione reso da una vivente a un corpo morto. 

La tragica Dead Girl (2002) sanguina dalla bocca e ha gli occhi aperti. Il quadro Death by Association (2002) ci mostra un viso con la bocca aperta, in cui il morso tirato della dentatura pare alludere allo sforzo di morire; il corpo tagliato a metà dalla prospettiva sghemba reca un libro sul petto, vive in un fondo verde, è illuminato dal bianco del drappo che copre la testa. La deceduta pare giovane e l’insieme rimanda a una morte del conflitto israelo-palestinese. 

The Death of the Author (2003) mostra invece la metà di un viso in cui la bocca è coperta da un lenzuolo. Il bianco e marrone a cui è ridotto il colore parla di un silenzio che, da cromatico, diventa anche acustico. Anche qui il morto è giovane e la sua bocca è stata letteralmente tappata. Come sempre, assistiamo a una stratificazione tra fonti: in questo caso, l’attualità sociale si mescola con una reminiscenza che tocca la letteratura. Dice Dumas: «È iniziato con una fotografia in bianco e nero in un giornale olandese del 14 marzo 1986. Céline vi era fotografato nel suo essere, nel suo letto di morte, 1° giugno [in realtà 1° luglio] 1961. L’articolo recensiva alcuni libri scritti sulla sua vita. Adoro leggere vecchi giornali. C’è una faccia tagliata da un lenzuolo bianco, che copre le narici e la bocca. C’è metà faccia come fosse un uovo di cui vedi solo la metà»(43)

The Death of the Author (2003). La morte viene utilizzata dall’artista per descrivere più cose: fatti di cronaca che riguardano la parte vittimizzata della società o grandi personaggi nel loro stato di cadaveri, ma anche, come sempre nel suo meditare sul linguaggio dell’arte, la possibile, spesso annunciata, mai davvero accaduta, fine della pittura come mezzo artistico accettabile.


Suspect (2000).

La morte viene comunque declinata dall’artista in tutte le sue manifestazioni fisiche e iconiche. In Measuring Your Own Grave (2003) tutto è sottoposto a un moto gravitazionale: un corpo di donna allarga le braccia, fa cadere i capelli e le gambe mentre il busto è appoggiato a un’asse. In Suspect (2000) una donna evidentemente sexy, in reggiseno, slip e lunghi guanti, giace a terra come un corpo che non si sa se compiangere o rianimare. In Lucy (2004) e Stern (2004) la bocca delle due donne, una martirizzata e senza occhi, l’altra strangolata da un filo scuro sul collo, sembra cercare il respiro. In Canary Death (2006) un braccio sporge fuori dal sudario e sembrerebbe chiamarci. Qualcosa è fuori controllo, scomposto, senza rassegnazione, inclusa l’aureola rosa delle labbra che non si sono ancora decise a scolorire, in risalto sulla pelle chiarissima stesa su un fondo scuro. 

In queste opere, che mostrano gli ultimi movimenti della vittima, si congiungono il realismo di Caravaggio e l’iconografia del martirio. 

Capiamo queste figure solo tenendo a mente che Dumas ibrida spesso il suo ruolo di testimone della storia con quello di chi studia il linguaggio che usa e mentre lo usa: l’artista ha suggerito che alcune di queste immagini riguardino la morte della pittura come medium, cioè la sua stessa agonia in quanto artista. A questo proposito ha scritto: «Non è che un medium muoia. È che tutti i media sono diventati sospetti. Non è il soggetto dell’artista ad andare a fuoco, ma è la loro motivazione che è sotto processo. Ora che sappiamo che le immagini possono significare qualsiasi cosa, chiunque lo voglia, noi non possiamo più fidarci di nessuno, specialmente di noi stessi»(44)

Lucy (2004); Londra, Tate Modern. La bocca di santa Lucia, aperta come una cavità scura, allude al buio dei suoi occhi accecati e ricorda alcuni momenti nella storia dell’arte sacra, come la Santa Teresa scolpita da Lorenzo Bernini.


Canary Death (2006).

Likeness I e 2 (2002); Pinault Collection.

Marlene Dumas non reclama di dipingere il vero. Dipinge il “figurare” come uno dei modi per pensare, senza proporci alcuna verità. Non cessa di interessarsi alla legittimità dei suoi mezzi espressivi. Il quesito di fondo appare questo: quanta fiducia è ancora lecito avere nelle figure? Forse siamo davvero vicini a una nuova lotta pro o contro il mondo iconico, a quella “iconoclash” che Bruno Latour va teorizzando da anni in relazione alle nuove valenze politiche e antropologiche della comunicazione(45)

Accomunata sovente a pittori dell’angoscia esistenziale, a volte con “discomfort” come nel caso di Francis Bacon(46), diversamente da questi Marlene Dumas non porta alla luce uno spaesamento etico personale. La ragione per cui lei stessa si è posta volentieri in parallelo con Edvard Munch(47) è che, dell’artista norvegese, troppo spesso ridotto al solo episodio dell’Urlo, riconosce un’attenzione simile alla sua per i fenomeni collettivi che consentono e condizionano lo stare al mondo. 

Il valore intrinseco della vita emerge soprattutto quando l’artista dipinge bambini, vivi o morti, piccolissimi o già capaci di guardarci. In Die Baba (1985) la protagonista ci chiede un’attenzione impegnata e non un atteggiamento intenerito. La piccola Helena (1992) guarda, chiede ciò che le spetta per essere stata messa al mondo e forse giudica. I bambini sono speranza, come in Cupid e in Reinhardt’s Daughter (1994): la fonte era una fotografia della figlia dell’artista, rovesciata; in un quadro appare bianca come un cherubino che scende dale nuvole, nell’altro è dipinta sulle varianti del blu e dei marroni che conducono al nero, in omaggio al pittore Ad Reinhardt(48). Il massimo della brutalità è stato forse dipinto da Marlene Dumas nel negativo etico di queste immagini, le bambine impiccate della coppia Imaginary 1 e Imaginary 2 (2002). Nessuno dovrebbe finire senza sguardo e con la bocca aperta, quasi un’estasi scurita da un ultimo fiato, come la diafana Lucy (2004), e i portatori di questa urgenza sono soprattutto i bambini con la loro insistenza su diritti prioritari e primordiali. Per questo Likeness I e 2 (2002); Pinault Collection. i valori di eguaglianza, giustizia e libertà sono stati rappresentati con i ritratti di altrettante ragazzine in Liberty (1992), Justice (1992) e Equality (1993). 

La serie The First People (I-IV) (1990) mostra quattro neonati in posizione frontale e di dimensione enorme: sono alti come un adulto e larghi come una porta, e l’importanza della scala, nella pittura di Marlene Dumas, non può essere sottovalutata. All’altezza del nostro sguardo stanno i loro ventri ingrossati, quali espressioni della necessità primaria di cibo. La pittura a olio su tela avanza verso lo spettatore in modo inequivocabile, con l’assertività di chi è appena venuto al mondo. I fondi monocromi su cui si stagliano i corpi conferiscono a questi ultimi un’ulteriore impatto visivo, rendendoci impossibile non essere impressionati da una pelle animata da pennellate circolari, dai colori disposti in modo da fare avanzare la figura in direzione dello spettatore. È a questi corpi piccolissimi ed enormi che siamo chiamati a rispondere. Il bambino è una metafora sia della vita, sia del suo senso, nel momento in cui letteralmente prendono corpo. 
La storia la scrive il corpo mentre lotta, ama, si vende, muore, ma innanzitutto e soprattutto quando nasce per vivere in senso pieno. Un uomo nasce da un neonato così come la pittura nasce dalla vita.

The First People (I-IV) (1990); Tilburg, De Pont Museum.
42 Citato dal catalogo della mostra Marlene Dumas: Name no Names (Parigi, Centre Pompidou, agosto 2001), riportato in Marlene Dumas, cit., p. 144. (43) M. Dumas, The Right to Be Silent (A Conversation on Elitism and Accessibility, 2004), citato in Marlene Dumas, cit., p. 149. 
44 Marlene Dumas, frammento di uno statement in cat. Century 87, Stichting Onafhankelijk Kunsthistorisch Onderzoek, Amsterdam 1987, p. 111. 
45 Iconoclash, Beyond the Image War in Science, Religion, and Art, a cura di B. Latour, Karlsruhe 2002. 
46 Cfr. Il testo in cui Marlene Dumas esprime la propria contrarietà all’associazione con il maestro inglese, perché «Come disse Jan Andriesse: ‘La differenza tra te e lui è che Bacon ha un gusto discriminante, mentre tu non discrimini’ ». Bacon and Dumas, or the Discomfort of Being ‘Coupled, in Marlene Dumas / Francis Bacon, catalogo della mostra (Torino, Castello di Rivoli, 1995; Malmö, Konsthall, 1995), Milano 1995, pp. 27-39, p. 28; testo poi incluso in Marlene Dumas, Sweet Texts - Politics (of Nothings. Notes and Art), Amsterdam1998 (seconda ed. estesa: Londra 2014). 
47 T. O. Bak Nielsen, Omega’s Eyes: Marlene Dumas on Edvard Munch, Oslo 2018. Il libro, nato per accompagnare la mostra Moonrise: Marlene Dumas and Edvard Munch (Oslo, Munch-Museet, 29 settembre 2018-13 gennaio 2019), nata dalla lunga osservazione del lavoro di Munch da parte di Marlene Dumas e in particolare delle serie di litografie Alpha & Omega di Munch (1908-1909), accostate alla serie di Dumas Venus & Adonis
48 Ad Reinhardt (1913-1967), artista che dipingeva solo in nero con diverse varianti di quadrati bluastri, marroni, grigio scuri. Il titolo dell’opera è un gioco di parole sulla bambina nera come figlia del pittore che si è dedicato alle sfumature del nero.

MARLENE DUMAS
MARLENE DUMAS
Angela Vettese
Marlene Dumas (Città del Capo 1953) è tra le più influenti artiste contemporanee.Nata in Sudafrica, si è formata e poi definitivamente trasferita in Olanda. Si esprime con la pittura e il disegno, con molta parsimonia di segni e colore. Sembra muoversi nell’ambito dell’espressionismo, anche se in modo decisamente personale. I temi toccati dalla sua arte spaziano dalla sessualità alla violenza, dal razzismo all’Africa, esprimono il desiderio e la sofferenza, in una dimensione ambigua e provocatoria. L’ambito dei suoi soggetti è circoscritto alla figura umana, trattata in termini essenziali, spesso nuda e violentata, con linee pulite e sobrie che raggiungono però effetti emotivi fortemente coinvolgenti.