FLUXUS

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er tutti gli anni Sessanta Beuys contribuisce, anche sotto profili organizzativi, agli “eventi” di Fluxus, movimento transnazionale fondato dall’artista americano di origini lituane George Maciunas (1931-1978): di Beuys, per esempio, la cura del festival Festum Fluxorum Fluxus all’Accademia di belle arti di Düsseldorf, dove insegna, nel febbraio del 1963. Beuys dedica inoltre a Maciunas, in vita e in morte di quest’ultimo, alcune opere omaggio che provano la sua ammirazione per un artista dall’ingegno molteplice e pungente. Il termine “Fluxus” compare per la prima volta in occasione di un incontro tenutosi in Germania, a Wuppertal, nel giugno 1962. Fluxus, “flusso”, “movimento” in contrapposizione a immobilità, irrigidimento: per Maciunas, George Brecht (1926-2008), Wolf Vostell (1932-1998) e altri artisti di orientamento New Dada occorre esplorare connessioni tra i più diversi ambiti di attività, tra l’arte, per esempio, la società, la politica, i regimi di vita, come l’alimentazione o la sessualità, e infine l’informazione. L’enfasi cade sempre, in occasione di festival, performance o appunto “eventi” Fluxus, sull’indeterminatezza, la processualità, l’aleatorietà, l’improvvisazione. Fluxus rifiuta la dimensione dello “stile”, tanto più se individuale, o del controllo autoriale sul processo creativo; e incoraggia invece dimensioni collaborative, nel cui ambito la distinzione tra artista e pubblico, arte e non arte viene meno.




George Brecht, Istruzione (Instruction), 1963.

Marcel Duchamp (1887-1968) e John Cage (1912- 1992), quest’ultimo con la nozione di “aleatorietà” o casualità, costituiscono precedenti più o meno immediati degli orientamenti Fluxus; come pure talune istanze radicali e libertarie presenti nel Dada berlinese del primo dopoguerra. Vale forse la pena osservare però che né Duchamp né Cage hanno mai inteso sacrificare il proprio ruolo autoriale, come invece intendono fare, affascinati dalle possibilità del “collettivo”, taluni tra gli artisti associati a Fluxus. Cage, che nel 1959, con Water Walk, aveva provato ai telespettatori americani che annaffiare un vaso di fiori o bere un bicchier d’acqua non era per lui meno importante, in termini musicali, che comporre una sinfonia, partecipa direttamente, con il consueto garbo e l’ineffabile sorriso, a talune manifestazioni di Fluxus. È da lui, in definitiva, che discende la sottile ironia e il gusto per la riduzione minimalista, anche se forse, nel contesto di Fluxus, non si comprende (o non si ha interesse ad approfondire) l’articolato sfondo metafisico su cui si stagliano i piccoli gesti o i “rumori” di cui è intessuta la musica di Cage, che non è orientata alla semplice provocazione. Non ha importanza qui rievocare in dettaglio i contrasti, talvolta insanabili, e le diserzioni che punteggiano la storia di Fluxus, che in genere consideriamo conclusa con la morte di Maciunas, nel 1978. Vale invece la pena richiamare l’ampiezza di partecipazione a Fluxus, che annovera numerosi artisti estremo-orientali o di origine estremo-orientale, come Yoko Ono (1933), Shigeko Kubota (1937- 2015) o Nam June Paik (1932-2006), e promuove iniziative ricorrenti in sedi disparate (Wiesbaden, Londra, Stoccolma, Copenaghen, Amsterdam e New York). Rilevanti sotto profili storico-artistici sono inoltre, in ambito Fluxus, la determinazione a esplorare nuove tecniche o media artistici, come la performance o la video-arte; e la varietà di temi in agenda.


Monumento al cervo per George Maciunas (Hirschdenkmal für George Maciunas) (1964/1982).

Ecologia, femminismo e critica istituzionale di stampo post-coloniale entrano a far parte dei nuovi interessi artistici, modificando in profondità sensibilità e aspettative del pubblico. Beuys, che corrisponde con particolare vivacità alla polemica ambientalista di Fluxus, anticipa qui, già agli inizi degli anni Sessanta, taluni sviluppi maggiori dell’installazione Earthworks Antiform tra Europa e America nei secondi anni Sessanta. Per iniziativa di Maciunas e altri, infine, nascono laboratori industriali Fluxus, teatri e cooperative alimentari che ricordano gli odierni gruppi di autoconsumo. Si avviano anche progetti di comunità Fluxus, concepite come cellule del Nuovo mondo in gestazione.

Beuys interpreta l’“azione” Eurasia, con minime variazioni, due volte nell’ottobre 1966, prima a Copenaghen e poi a Berlino. Porta in scena temi centrali della sua attività, in primo luogo la convinzione che l’Occidente soffra di una grave lacerazione interna, qui simboleggiata ancora una volta dal simbolo della croce divisa, geopolitico e religioso insieme: Beuys si riferisce quindi al destino della Germania, certo, vale a dire alla sua divisione in Est e Ovest, e attraverso di essa alla divisione di tutto il mondo occidentale, polarizzato nei due blocchi, capitalista americano e comunista sovietico. La “pièce” si avvale di una complessa drammaturgia, sul cui senso minuto gli interpreti non sono concordi e che non occorre richiamare in dettaglio. In presenza di croci latine, di una lepre morta, di bastoni in legno, di un termometro, di una grande lavagna con su scritto “Eurasia” e “divisione della croce”, di un triangolo in feltro teso a coprire un angolo della stanza e dell’immancabile grasso, Beuys, quasi al modo di un redivivo san Cristoforo che aiuta la lepre Cristo a guadare il fiume, interpreta un dolente, difficoltoso pellegrinaggio, al tempo stesso suo e della lepre morta, invocata qui come tutrice e mentore dell’artista, volto a riunificare ciò che giace diviso, e a riportare a Ovest, vale a dire nell’Europa occidentale atlantica, se non anche negli Stati Uniti, il dono di quella dolcezza e umiltà e abbandono testimoniato dal piccolo animale.


Tomba della lepre (Hasengrab) (1962-1967).

Petra Kelly e Beuys quando erano esponenti di spicco nel Partito dei Verdi presso la Hagen Stadthalle nel 1972.


Joseph Beuys licenziato senza preavviso dall’Accademia delle arti di Düsseldorf l’11 ottobre 1972, guarda attraverso una barriera di filo spinato eretta dagli studenti come emblema della mancanza di libertà nell’Accademia.

«Una vera esperienza delle cose consiste nel dare significato alla vita, riflettendo semplicemente su quanto sia importante vivere, sul fatto di essere vivi, pur sapendo che la vita può essere triste, faticosa e non offrire molto», ammette Beuys in occasione di un raduno/conversazione/ dibattito tenutosi nel marzo del 1979 nella chiesa di San Giovanni a Bochum, sede cittadina della “Christengemeinschaft” (la “Comunità dei cristiani” è una Chiesa cristiana di orientamento antroposofico nata nel settembre 1922 a Dornach, in Svizzera. Bandita dal nazismo nel 1941 per l’ispirazione cristiano-liberale, si richiama alle teorie di Rudolf Steiner). Colta nel suo sviluppo principale, Eurasia insiste su questo stesso insegnamento di responsabilità e mitezza. Che la lepre sia morta spinge ad apprezzare il dono della vita, e il sacrificio dell’animale riproduce, in forma velata, il rituale eucaristico. Che altro, se non morte e rinascita, morte e resurrezione, sono gli eventi cui Beuys torna sempre di nuovo ad alludere in forma cifrata, modificando a questo scopo, come abbiamo visto, anche la sua stessa biografia? Le diverse indicazioni della temperatura che Beuys ha cura di annotare sulla lavagna a conclusione dell’“azione” Eurasia non sono altro che semplici rammemorazioni dell’importanza del “calore”, inteso in senso prima simbolico che fisiologico, per i processi di interiorizzazione e “conversione” qui richiamati attraverso la metafora del viaggio da Occidente a Oriente e viceversa. “Calore” sta per “amor Dei intellectualis”, carità, cura: Beuys non fa alcuno sforzo per chiarire il modo traslato, “geroglifico” appunto, in cui usa i materiali, ma faremmo torto al suo particolare teatro se non ne riconoscessimo la dimensione tortuosamente allusiva e misterica. Nella conversazione appena citata, Beuys parla significativamente di «attenzione amorevole» al mondo circostante, ai mille atti di cui è intessuta la nostra esistenza, alle persone che incontriamo, all’ambiente naturale e sociale. In questa attitudine al tempo stesso distesa e mobilitata, “amorevole” e responsabile, minutamente quotidiana e “metafisica”, si raccoglie tutto quanto Beuys, indicando oltre l’arte, ha inteso con l’espressione «dare significato alla vita».

BEUYS
BEUYS
Michele Dantini
A cento anni dalla nascita molte iniziative riportano all’attenzione del pubblico uno degli artisti più influenti del secolo scorso, il tedesco Joseph Beuys (Krefeld 1921 - Düsseldorf 1986). Difficile da inquadrare non solo in un movimento, ma anche in una categoria artistica, è scultore, pittore, performer soprattutto, anche perché l’intera sua vita può essere considerata una performance. Aderisce alla filosofia steineriana, al movimento Fluxus, insegna scultura, crea installazioni, diventa un attivista fra i primi a occuparsi del rapporto fra uomo e natura. Ma assume col tempo sempre più un ruolo “sciamanico”, legato a un’esperienza personale: ha un incidente aereo durante la Seconda guerra mondiale (in cui combatte in veste di pilota); viene raccolto da una comunità di tartari (secondo il suo racconto) in Crimea, e curato con rimedi tradizionali, grasso animale e coperte di feltro. Questi due elementi rimarranno per sempre costitutivi delle sue azioni creative, in cui lui stesso è presenza iconica fondamentale.