Oggetto misterioso

SEGRETE FASCINAZIONI:
COCTEAU, LA LUNA, LA SFINGE

Gloria Fossi

«La luna nevica», scrive Jean Cocteau nel 1936, folgorato dalla Sfinge di Giza al chiaro di luna. Chissà se conosceva il dipinto visionario di Luc-Olivier Merson, che in Egitto, però, non era mai stato. Vi andarono invece i grateful dead. Fu un’eclissi totale.

Necropoli di Giza, Egitto. 16 settembre 1978. Di sabato. Migliaia di giovani assistono a un suggestivo concerto dei Grateful Dead, che entrerà nella storia del rock con l’album live Rocking the Cradle. Quella notte la suadente chitarra di Jerry Garcia si fuse con le percussioni e con le voci gutturali del gruppo arabo che suonava con loro, con un effetto morbido, d’intensa poesia. Gli hyppie, convenuti da vari paesi, con i loro torsi nudi si confondevano con le camicie bianche e le galabìe di cotone egiziano indossate dai giovani cairoti (nei video dell’evento si vedono solo maschi fra gli arabi… purtroppo non stupisce). Garcia cantava «Ho bisogno di una donna il doppio della mia altezza, statuaria, corvina, una dea della notte. Un’incarnazione segreta, una candela che brucia blu. Consulteremo gli spiriti, forse loro sapranno come fare». Circolavano LSD e altre droghe allucinogene, Garcia non ne fece mistero – non ne ha mai fatto mistero – e come altri musicisti della sua generazione ne sarà presto rovinato(1). Quando la luna si eclissò alle spalle della Sfinge – era tutto calcolato, il fenomeno astronomico era atteso – molti giurarono di veder levitare le piramidi. Effetto degli acidi, ovvio. Anziché elefanti rosa, a Giza non si poteva che veder levitare le piramidi. La Sfinge sembrò imperturbabile perfino alle vibrazioni e ai decibel. Resta il fatto che tonnellate di materiale per le scenografie e per gli apparecchi acustici erano state scaricate sulla sabbia del deserto, proprio di fronte a lei, anzi davanti a lui, perché la Sfinge di Giza, a differenza di quella di Tebe, sconfitta da Edipo, in realtà è un teriantropo: testa maschile di faraone, un tempo anche con barba, e corpo di leone. Le vibrazioni possono aver causato, com’è stato ipotizzato dagli archeologi, il distacco di un grosso frammento dalla spalla, avvenuto a dire il vero qualche tempo dopo(2). Forse la Sfinge era stata meglio quando, nei secoli, la sabbia del deserto ne aveva lasciata scoperta solo la testa; oppure, come quando, ai tempi di Erodoto, che non la rammenta, era probabilmente coperta del tutto.

Quella notte di settembre del 1978, poco dopo il concerto, l’artista Adrien Boot, autore di una fotografia memorabile dell’eclissi lunare sopra la Sfinge e le piramidi, dichiarò agli amici della band di non aver visto niente: nessuna levitazione, nessun immaginifico fenomeno antigravitazionale. Il chitarrista del gruppo gli rispose: «Ma certo, non hai prestato attenzione, eri troppo impegnato a fare fotografie». Era uno scatto formidabile, o meglio una serie di scatti ricomposti, lo si può ammirare online(3). Comunque, sarà una coincidenza, ma l’eclisse non fu un evento sfortunato, a dispetto di quanto taluni ancora credono: il giorno dopo ci fu lo storico accordo di pace a Camp David fra l’Egitto di Sadat e l’Israele di Menachem Begin. A chi abbia voglia di seguirmi ancora, consiglio di ascoltare quel concerto dei Grateful Dead, rimasterizzato qualche anno fa e ancora fruibile sul web. Per chi preferisca altra musica, suggerisco il Giubileo dalle Feste romane di Ottorino Respighi, composto nel 1927. L’ambientazione in questo caso è Roma, ma il ritmo incalzante e misterioso si presta bene a ciò che sto per raccontare.

Adesso siamo a Parigi, marzo 1936. Jean Cocteau ha quarantasette anni, e solo ventiquattro ne ha il compagno Marcel Khill che morirà in guerra nel 1940, con profondo dolore dello scrittore francese. Di origine algerina, Khill in realtà si chiama Mustapha Marcel Khelilou ben Abdelkader. Adesso però diventa Passepartout, perché con Cocteau parte per il giro del mondo in ottanta giorni, sulle orme del famoso, ancorché fantasioso romanzo di Jules Verne. Cocteau lo aveva letto da piccolo e per rievocarlo nel modo migliore aveva proposto a Jean Prouvost, direttore di “Paris-Soir”, la medesima scommessa di Phileas Fogg. Cocteau, novello Phileas Fogg, ripercorrerà con il suo Khill/Passepartout le tappe di quel viaggio in meno di tre mesi. I due partono da Parigi in treno alle 22.20 del 28 marzo: una borsa e due valigie a testa; come unico accessorio la cassetta dei colori di Khill, che si diletta di pittura. Prima tappa, la Roma notturna e tetra di Mussolini, poi Brindisi e da lì in piroscafo verso la Grecia. Sosta ad Atene, poi a Rodi, «la prima perla barocca della collana». Da Rodi ad Alessandria, infine al Cairo. Fermiamoci in Egitto con loro. Siamo in grado di farlo, grazie a Mon premier voyage, che Cocteau scriverà al ritorno in Europa(4).

Notte del 4 aprile, l’albergo del Cairo non è un gran che. La sera dopo l’umore cambia al mitico hotel Mena House nella piana della necropoli di Giza, a circa venti chilometri dalla capitale egiziana. L’hotel, seppure trasformato, esiste ancora, con la sua atmosfera di rimembranze coloniali, i balconi che guardano verso le piramidi e le palme dei lussureggianti giardini del Mena House che quasi lambiscono le zampe della Sfinge. Appena fa buio, siamo al 5 di aprile, Cocteau e l’amico si dirigono verso la Sfinge. Ho ricontrollato sui programmi astronomici online, e la fotografia che ho ricavato non lascia dubbi: la luna quella notte era piena. Non si è inventato niente, il grande Cocteau. Questa volta non oso aggiungere altro di mio, la sua narrazione è impagabile: «Al Mena House, basterebbe al poeta scavalcare il balcone intarsiato nel legno, scivolare sulla duna e giungere in fondo a una sorta di via lattea, strada pallida che sale a semicerchio, e potrebbe toccare la prima piramide. Le altre seguono ciascuna alla distanza di un rimbalzo. Possiamo godere del chiaro di luna che inonda il deserto di una luce di eclisse». Dopo cena, Cocteau e l’amico si arrampicano sulle selle dei cammelli, che si alzano come un muro che crolli in tre pezzi. Cocteau immagina il cammello come un sottomarino, e il deserto come un mare di sabbia. E su questa barca immagina «di vogare alla volta di Cheope». Sono certa che questa suggestione gli venga da uno spettacolo sublime, che si era svolto a Parigi al mitico Chat Noir nel 1896: sedici “tableaux” proiettati sul muro come ombre cinesi, disegnati da Amédée Vignola con la musica di Fragerolle, dei quali resta memoria in un album bellissimo sul quale tornerò in una prossima puntata(5). Lo spettacolo di ombre cinesi s’intitolava La sfinge, e proprio di fronte alla sagoma ridisegnata della Sfinge si svolgeva, in movimento, una sorta di ministoria dell’umanità: in una tavola si vedeva fluttuare la nave degli antichi greci, in un’altra l’esercito di Napoleone sfilava di fronte all’immota Sfinge, e in altre due, in una deliberata accozzaglia di epoche e situazioni le più disparate, si assisteva all’episodio biblico del Riposo dalla fuga in Egitto. Nella prima scena, al chiaro di luna, la Madonna dormiva col Bambino fra le zampe della Sfinge. Quanti intrecci! Quest’ultima scena derivava a sua volta, io credo, da un dipinto visionario, replicato più volte dal pittore Luc-Olivier Merson (1846-1920), oggi caduto in oblio, che nel 1879 aveva presentato la prima versione, acclamatissima, al Salon(6), ora al Museum of Fine Arts di Boston, mentre quella qui illustrata è una delle varianti conservata al Musée des Beaux-Arts di Nizza. Non so se Cocteau conoscesse quel dipinto lunare, comunque non ne parla. Per lui «la lune neige», un’espressione poetica, certo, perché se la luna nevica, sulla Sfinge calano come neve le polveri degli astri. E lo ripeterà, sempre al chiaro di luna, questa volta il 18 marzo 1949, nel suo nuovo soggiorno. Anziché in groppa a un cammello, questa volta Cocteau vi giunge in auto, e vede la luna bassa nel cielo. Pensa allora di tornare al Cairo, per chiamare l’amico Jean Marais, il celebre e bellissimo attore suo compagno, per ammirare insieme la Sfinge, quando la luna sarà alta nel cielo. Anche stavolta ricorre alla poetica immagine della luna che nevica, e della polvere degli astri che ricopre le piramidi e la Sfinge. Nel corso di quel suo nuovo viaggio nel deserto egiziano, in occasione di una tournée teatrale, scriverà poi che il deserto «offre finta acqua. Ovunque offre ciò che non possiede, al punto da chiedersi se gli arabi che si incontrano e che non si smarriscono mai non siano essi stessi miraggi di uomini che di fatto marciano altrove»(7). «Segrete fascinazioni», direbbe D’Annunzio. Ne parleremo ancora.



Luc-Olivier Merson, Riposo durante la fuga in Egitto (1880), Nizza, Musée des Beaux-Arts.

ART E DOSSIER N. 395
ART E DOSSIER N. 395
FEBBRAIO 2022
In questo numero: INCROCI AL CINEMA: Beuys e Richter; Un museo per Fellini. PITTURE PALEOLITICHE: La grotta degli spiriti. IN MOSTRA: A Milano: Steinberg; Gnoli; Divisionismo. Haring a Pisa, Ghirri a Polignano a mare. DILEMMI RIPRODUTTIVI: Copia: umana o fotografica?Direttore: Claudio Pescio