Grandi mostre. 3
Domenico Gnoli a Milano

LA MAGIA STA
NEL DETTAGLIO

Difficile, ma soprattutto improprio, incasellare l’arte di Gnoli in un settore specifico. Il suo flusso creativo, attratto dal particolare, unisce disegno e pittura, tra de chirico e magritte, con un occhio alla pop art americana e al segno di Piero della Francesca. A cinquant’anni dalla morte dell’artista, un’ampia retrospettiva ne racconta il talento e la sfaccettata personalità.

Ludovico Pratesi

«Domenico Gnoli è due artisti in uno, quasi due persone in una. La pittura e il disegno sono due mondi diversi nella sua esperienza, e sembrano restare separati per motivi molto validi. Ma anche nei suoi disegni c’è un costante conflitto di lealtà: i temi sono moderni, la tecnica no». Così scriveva nel 1959 Nicolò Tucci nel catalogo della mostra personale di Domenico Gnoli (1933-1970) alla Galleria Bianchini di New York, quasi a voler indicare una possibile lettura della sua ricerca, dove disegno, illustrazione e pittura appaiono come linguaggi diversi ma complementari. Separare quindi il pittore dal disegnatore era sembrato a Tucci una maniera corretta di interpretare la personalità dell’artista, che esordisce come illustratore e scenografo nel 1951 alla Galleria La Cassapanca a Roma.

Domenico è figlio d’arte e ha respirato cultura fin da bambino: il padre Umberto è storico dell’arte, la madre Annie de Garou si dedica alla ceramica. Sarà lei a spingere il figlio a frequentare lo studio del pittore Carlo Alberto Petrucci, che ne sviluppa subito il talento precoce.

«La sua passione era il disegno. Da piccoli dormivamo nella stessa camera e lui mi insegnava la matematica con dei piccoli disegni, come un treno pieno di patate, che dovevo contare», racconta la sorella minore Marzia, detta Mimì. La carriera di Domenico, che si iscrive al corso di scenografia all’Accademia di belle arti di Roma nel 1952 e frequenta giovani come Bruno Mantura o Nicola Caracciolo oltre al cugino Raniero, orientalista ed esperto di marmi antichi, è fulminante e subito rivolta all’estero. Il suo talento lo porta nel 1955, a soli ventidue anni, a disegnare i costumi per una commedia al teatro Old Vic di Londra, città nella quale Gnoli si era trasferito da pochi mesi, per poi raggiungere New York, dove lavora come illustratore per riviste come “Horizon” o “Show”. 


Domenico disegna per vivere, ma la sua passione è la pittura, che continua a praticare senza sosta, ma con poco successo, negli anni della sua formazione. Le cose cambiano nel 1964, a seguito dell’affermazione della Pop Art in Europa dopo la vittoria di Robert Rauschenberg alla Biennale di Venezia: «Nasce allora la nuova pittura di Gnoli», ha scritto Germano Celant (1940-2020), «che lavorando sul dettaglio e il particolare sembra intenzionato ad imbrigliare la potenzialità sensuale di un oggetto quanto di un corpo». Un’interpretazione confermata dallo stesso artista, che in una lettera dichiara: «Ho sempre lavorato come adesso ma non lo si vedeva, perché era il momento dell’astrazione. Solo ora, grazie alla Pop Art, la mia pittura è diventata comprensibile».

Dopo cinquant’anni dalla sua morte, Domenico Gnoli torna protagonista grazie all’ampia retrospettiva a lui dedicata, aperta alla Fondazione Prada fino al 27 febbraio, che riunisce cento dipinti insieme a duecento tra disegni, schizzi e documenti, già selezionati da Germano Celant in collaborazione con gli archivi dell’artista a Roma e a Maiorca. L’allestimento, ideato da Celant e realizzato dallo studio 2 x 4 di New York, sembra ispirarsi all’interpretazione di Nicolò Tucci nel collocare le grandi tele dipinte al piano terreno del Podium e i disegni e le opere su carta, insieme a un’ingente quantità di rari e preziosi documenti, al primo piano. La visione delle alte pannellature dove le opere di Gnoli sono esposte per soggetti, attraverso una lettura cronologica che procede dalla fine degli anni Cinquanta per un decennio, è di grande impatto. Su una parete i dettagli di scarpe femminili, con tacchi e punte, dialogano con letti ricoperti da coperte e trapunte, mentre le cravatte annodate si confrontano con dettagli di colletti abbottonati. «Io isolo e rappresento: i miei temi derivano dall’attualità, dalle situazioni familiari della vita quotidiana; dal momento che non intervengo mai attivamente contro l’oggetto, posso avvertire la magia della sua presenza», spiega l’artista. «Dipingeva a memoria, non l’ho mai visto copiare qualcosa, ma quando lo incontravi aveva un’aria sempre distratta», aggiunge la sorella.

Cravate (1967).

Curly Red Hair (1969).

GNOLI «GUARDA ALLA REALTÀ COME SE FOSSE UN’ASTRAZIONE TOTALE, UN LUOGO […] DI RAPPRESENTAZIONI IPERREALI» (GERMANO CELANT)


Nel testo Domenico Gnoli: racconti e dettagli, pubblicato nell’esaustivo catalogo scientifico edito dalla Fondazione Prada, Salvatore Settis indica i riferimenti dell’artista, che si colloca in bilico tra la Metafisica di Giorgio de Chirico e il surrealismo di René Magritte, con una strizzata d’occhio a Piero della Francesca, del quale Gnoli apprezza «l’impassibilità delle figure di Piero» sottolineata da Bernard Berenson. Non è un caso che la pittura di Gnoli sia stata apprezzata da molti scrittori, in primis Italo Calvino, che ne sottolinea l’attenzione maniacale ai dettagli. Gnoli «tematizza il dettaglio in quanto tale, ne fa il protagonista obbligato della sua ricerca pittorica», sottolinea Settis.

Nell’ultima fase della sua carriera «guarda alla realtà come se fosse un’astrazione totale, un luogo […] di rappresentazioni iperreali», ha aggiunto Germano Celant, in un ambiguo cammino tra iperrealismo e astrazione.

Al primo piano la mostra prosegue con una narrazione cronologica molto densa, che unisce materiali che vanno dagli schizzi ai bozzetti, dalle fotografie d’epoca alle lettere autografe fino ai disegni per restituire l’attività dell’artista a trecentosessanta gradi come non era mai stato fatto prima, grazie alla collaborazione con i suoi archivi. «A cinquant’anni dalla scomparsa dell’artista, Fondazione Prada vuole proporre uno sguardo d’insieme che estenda la conoscenza del suo lavoro da parte del pubblico e permetta di leggere la sua attività come un discorso unitario e libero da etichette», sottolineano Patrizio Bertelli e Miuccia Prada, presidenti della Fondazione. La mostra propone una lettura profonda e articolata della figura di Domenico Gnoli e restituisce in maniera puntuale e corretta la sua personalità caleidoscopica, capace di cogliere le novità della Pop Art americana interpretata attraverso la lente della storia dell’arte italiana, in maniera del tutto originale.


Due dormienti (1966).

Domenico Gnoli

mostra concepita da Germano Celant
Milano, Fondazione Prada
fino al 27 febbraio
orario 10-19, chiuso martedì
catalogo Fondazione Prada
www.fondazioneprada.org

ART E DOSSIER N. 395
ART E DOSSIER N. 395
FEBBRAIO 2022
In questo numero: INCROCI AL CINEMA: Beuys e Richter; Un museo per Fellini. PITTURE PALEOLITICHE: La grotta degli spiriti. IN MOSTRA: A Milano: Steinberg; Gnoli; Divisionismo. Haring a Pisa, Ghirri a Polignano a mare. DILEMMI RIPRODUTTIVI: Copia: umana o fotografica?Direttore: Claudio Pescio