Studi e riscoperte
Le bolle di sapone dal XVI al XX secolo

ORA CI SONO
E POI PIÙ

Effimere, leggere, evanescenti, temporanee, magiche e affascinanti. Così sono le bolle di sapone, oggetto di attenzione nella attenzione nella filosofia e nella scienza, nella letteratura e nell'arte. Simbolo dell'imprevedibile e precario gioco della vita.

Rossana Mugellesi, Stefania Landucci

«Il privilegio e la sofferenza hanno molto in comune. Entrambi si manifestano sotto forma di bolle: circondano completamente le persone e ne distorcono lo sguardo. Ma la bolla del privilegio è possibile penetrarla e perfino farla scoppiare: mentre la bolla della sofferenza è impermeabile»(1).

Negli svariati campi che spaziano dall’arte alla letteratura, dalla scienza alla filosofia, grande fascino ha sempre suscitato la contemplazione delle bolle di sapone, forme leggere, talora semplici superfici matematiche(2) ma ornate di colori brillanti, quasi a ribadire quel certo legame tra arte e scienza e tra arte e letteratura, se, come dice Mark Twain, esse sono la cosa più bella e la più elegante in natura, e se Italo Calvino ne parla come di grappoli che si allungano in ghirlande iridate: una bellezza effimera, connessa direttamente alla loro esilità, alla loro breve durata: ora ci sono e poi più.

«Homo bulla est»: una metafora antica collegata all’idea che una persona possa apparire molto solida, eppure la sua esistenza essere fragile come una bolla, inconsistente, bellissima ma ingannevole e vana, come la vita. Il simbolismo di questa semplice sentenza risale a un’espressione proverbiale presente nel I secolo a.C. nel De re rustica di Varrone «quod, ut dicitur, si est homo bulla, eo magis senex» (pertanto, come si dice, l’uomo è una bolla, tanto più se è vecchio). L’immagine doveva essere molto nota, legata alle riflessioni filosofiche sull’esistenza umana, la vita e la morte, ma non è chiaro a che tipo di bolle si riferisse visto che non ne compaiono in nessuna pittura o mosaico di quel periodo. Il motto fu ripreso in seguito da Erasmo da Rotterdam ed ebbe molta fortuna nella prima metà del XVI secolo con la ricca riproduzione grafica di putti con teschio che soffiano bolle di sapone.

Cagnaccio di San Pietro (Natale Scarpa), Bolla di sapone (1927), Palermo, Galleria d’arte moderna.


Rembrandt, Cupido che soffia una bolla di sapone (1634), Vienna, Liechtenstein - Princely Collection.

Il fenomeno delle stesse e il rapporto tra arte e scienza si affermano nel Seicento olandese allorché, come sembra sostenere Carla Scagliosi(3), la pittura, basandosi sull’esperienza sensoriale del vedere, è considerata un vero e proprio mezzo di conoscenza. La studiosa fa riferimento alla teoria di Keplero (Dioptrice, 1611) secondo cui l’occhio umano è uno strumento meccanico che produce immagini e “vedere” è come “raffigurare”. Pertanto, se la pittura è strumento ottico di conoscenza, se il suo elemento fondante è la luce e il dipinto diviene specchio del mondo, comprendiamo meglio perché gli artisti, seguendo le peculiarità ottiche e luminose collegate alle bolle di sapone, abbiano scelto di rappresentarle nelle variegate modalità. 


Leggere, esili, aeree, mutevoli per forme e colori; i pittori non sono stati attratti solo dalla loro fragile bellezza ma ne hanno recuperato anche l’intrinseco valore simbolico della caducità della vita umana, nonché della leggerezza e della vacuità ovvero della “vanitas” di certi beni terreni.

La produzione artistica olandese del Seicento sembra avere dunque un rapporto privilegiato con esse, in primis (come già anticipato) attraverso la serie di incisioni di Hendrick Goltzius fra cui quella intitolata appunto Quis evadet? Homo bulla in cui compaiono il putto, il teschio e le bolle, quasi una sorta di fusione tra temi affini quali la fragilità, la “vanitas” e il grave monito del “memento mori”. Jacques de Gheyn II, Vanitas, Natura morta: questa pittura è considerata come la più antica rappresentazione di un genere che godrà di grande fortuna in Olanda. Nel quadro troviamo una nicchia decorata con Democrito ed Eraclito (gli antichi filosofi del riso e del pianto), l’iscrizione «Humana vana», un vaso da cui esce incenso (simbolo di morte) e uno con un tulipano rosso (simbolo di lusso e ricchezza), un teschio e, in tutta evidenza, una grande bolla di sapone, chiara allusione alla transitorietà dell’esistenza soggetta al caso e all’imprevedibilità, destinata a perire in un soffio. Al suo interno, rappresentati come riflessi di luce, appaiono una corona e le armi, legati al potere, la ruota della tortura e il sonaglio degli appestati, allusivi al dolore e alla malattia, e altri elementi simbolici che si riferiscono al gioco, alla fortuna, alla ricchezza. La sua importanza è sottolineata dal gesto dei due filosofi che, piangendo o ridendo, la indicano all’osservatore.



Jacques de Gheyn II, Vanitas, Natura morta (1603), New York, Metropolitan Museum of Art.


Karel Dujardin, Ragazzo che soffia bolle di sapone. Allegoria della transitorietà e della brevità della vita umana (1663), Copenaghen, SMK - Statens Museum for Kunst.

In precedenza, già nella pittura del Cinquecento italiano era comparsa la bolla quale referente di precarietà della dea Fortuna: Dosso Dossi, Allegoria della Fortuna ove il nudo femminile con la sua cornucopia ricca di frutti, fiori e grappoli d’uva e il suo drappo svolazzante rappresenta la dea degli antichi romani. Come la “vanitas” anche la Fortuna era avvicinata anticamente all’immagine della volubilità a cui farebbe riferimento il mantello fluttuante al vento spesso a lei associato; talora è rappresentata in piedi oppure seduta su una sfera, appoggio evidentemente molto instabile, a cui Dossi conferisce la forma di una grande bolla trasparente, deformata dal peso della dea e in atto di scoppiare. Antica divinità italica, la Fortuna poteva indicare un destino sia fausto sia infausto, presente nella vita degli uomini a distribuire in modo imprevedibile e irrazionale bene e male, gioie e dolori, un gioco impertinente con cui governa il mondo e regola la condizione umana: a tale riflessione il filosofo Seneca spesso ricorre per mettere in guardia l’uomo dai pericoli che possono derivare dai suoi attacchi. In particolare, nel Rinascimento se ne evidenziarono la casualità e l’inafferrabilità, raffigurandola sempre in pose precarie e, quando con la sfera, chiara è la derivazione dalla dea greca Τύχη, dea inafferrabile ma anche inevitabile come ben testimoniato dai numerosi riferimenti filosofici e letterari antichi. Una ripresa di questo tema si ha con Karel Dujardin, Ragazzo che soffia bolle di sapone. Allegoria della transitorietà e della brevità della vita umana: l’instabilità viene qui sottolineata dalla conchiglia (chiara allusione alla nascita di Venere) su cui poggia la sfera che a sua volta sostiene il fanciullo: la vita dell’uomo ha un equilibrio tanto instabile da poter essere infranto con la stessa facilità con cui il ragazzo può far scoppiare le bolle. 

Il loro mondo variegato e i loro significati continueranno a essere presenti nell’arte, alternando la semplice raffigurazione di bambini che giocano con cannuccia e acqua saponata, quasi incantati da simili oggetti magici e fantastici, al riutilizzo di queste immagini in chiave ancora più “leggera” come nella satira politica, per evidenziare la “vanitas” del potere, o addirittura nel mondo della pubblicità (Gino Boccasile, Achille Banfi Milano).

La produzione artistica del Novecento non si sottrae al fascino e ai simboli delle bolle, come sembra proporre la rilettura del gioco infantile, non più solo divertimento, della Bolla di sapone di Natale Scarpa, in arte Cagnaccio di San Pietro: il ritratto della bambina intenta a giocare subisce una sorta di rielaborazione che si attiene alla linea interpretativa del “realismo magico”, a cui aderisce il pittore, e riconduce alla riflessione sulla transitorietà della vita attraverso la bolla, quasi cristallizzata, come la bambina, e quasi destinata a non scoppiare mai. Interessante anche l’approccio del fotografo Günter Zint, Il ragazzo che vive nei pressi del Muro in cui emerge il drammatico contrasto tra la leggerezza del gioco del bambino e la tragica presenza del filo spinato e del Muro di Berlino. 

All’interno del movimento dei surrealisti emerge il richiamo all’immagine delle bolle da parte di Man Ray che ne recupera il valore simbolico applicandolo non più alla vita in generale bensì all’amore la cui sorte è mutevole, destinata a non durare e, come loro, è illusione, piacere effimero, inganno: era questo il messaggio contenuto in Rembrandt, Cupido che soffia una bolla di sapone, dove si fondevano appunto i due elementi, il gioco e la precarietà dell’amore. Nell’arco della complessa storia sentimentale con la modella e amante Lee Miller, segnata da passione e tradimenti, l’artista surrealista la ritrae nuda sul letto e intenta a soffiare bolle di sapone da una pipa, immagine allusiva alla bellezza nonché alla fragilità delle bolle che, come la stessa Lee Miller, ora ci sono e poi non più. Forse in polemica con la donna, che lasciò Parigi e Man Ray per tornare a New York, potremmo interpretare le Lacrime di vetro come bolle di sapone in miniatura. Bolle di sapone cristallizzate in lacrime, bolle di sapone che cristallizzano la vita: «Ma tu… tu sembra che devi vincerla, la vita, come se fosse una sfida…[…] È un po’ come fare tante bocce di cristallo… prima o poi te ne scoppia qualcuna […] e la vita vera magari è proprio quella che si spacca. […] e allora tu non smetterla mai di soffiare nelle tue sfere di cristallo… sono belle […] e se un giorno scoppieranno anche quella sarà vita, a modo suo… meravigliosa vita»(4). Dalle parole di Alessandro Baricco l’ulteriore passo letterario per giungere a una riflessione finale sulla varietà e la ricchezza immaginifica delle bolle di sapone che riflettono il mondo fisico, certo, talora con rifrazione di bei colori, ma che interferiscono simbolicamente anche con la nostra vita, con le nostre fragilità, con i nostri sentimenti, ora felici ora traditi, laddove il caso e l’imprevedibile, come un battito d’ali di farfalla, possono cambiare tutto.

Il drammatico contrasto tra la leggerezza del gioco del bambino e la tragica presenza del filo spinato e del muro di Berlino

ART E DOSSIER N. 394
ART E DOSSIER N. 394
GENNAIO 2022
In questo numero: IN MOSTRA: Bruguera a Milano; Klimt a Roma; Julie Manet a Parigi; Van Gogh ad Amsterdam; Arte dell'Oceania a Venezia. PUNTI DI ROTTURA: Arte e bolle di sapone; Shore: il declino dell'industria americana; che fine hanno fatto gli Annigoni perduti?; Che fine farà Santa Maria della neve in Valnerina?Direttore: Claudio Pescio