Blow up

BROADBENT

Giovanna Ferri

L’11 maggio 2017 Christopher Broadbent ha tenuto una “lectio magistralis” alla Triennale di Milano dal titolo Una metrica per lo still life. Una occasione importante nella quale il fotografo inglese (classe 1936) ha offerto una lucida esposizione del suo lavoro e ripercorso le tappe fondamentali della sua formazione, iniziata all’Institut des Hautes Etudes Cinématographiques di Parigi dove un’insegnante come Agnès Varda (1928-2019) ha rappresentato, per lui, una impareggiabile fonte di ispirazione. Negli anni Sessanta si trasferisce in Italia. Dapprima, a Roma, si cimenta per alcuni anni come aiuto regista in lungometraggi, poi, a Milano, sua città d’adozione nella quale tutt’ora risiede, si dedica alla fotografia pubblicitaria e agli spot televisivi. In quel mondo, che lo porta a viaggiare e lo vede emergere a livello internazionale con immagini divenute iconiche nella storia della pubblicità, affronta il tema della natura morta. Un tema che dal 2000 è oggetto esclusivo della sua attenzione e della sua meticolosa ricerca guidata da tre elementi fondamentali: luce, struttura, idea.

Per Broadbent la messa in scena delle sue composizioni è subordinata innanzitutto alla luce: unica, fissa, preferibilmente naturale. Una luce che proviene dalla finestra del suo studio e che divide l’ambiente in zone chiare e scure passando per la penombra. E come ha affermato lui stesso è proprio «la qualità della penombra a creare un’atmosfera, un “mood”». E la struttura? È ciò che chiama «metrica», ovvero ciò che dà forma al contenuto. E che deve essere «semplice, ripetibile e riconoscibile », “disegnata” sulla base di più piani prospettici orizzontali per rendere le cose accessibili, a portata di mano dell’osservatore.

Come uno scenografo, Broadbent crea dei set teatrali dove pentole, vasi, bicchieri, fiori, frutta, utensili di alluminio, pezzi di stoffa morbidi, fluidi, tesi, attorcigliati, fili di rafia, di corda giocano il loro ruolo, principale e secondario. Il risultato è un palcoscenico in cui ogni “attore” trova il suo posto in un equilibrio instabile ma perfetto, in una sintesi visiva unica, indivisibile che non lascia niente al caso. Tutto è curato in modo preciso – naturale il richiamo alla resa minuziosa e lenticolare dei dettagli tipica della pittura fiamminga – a partire da un’idea che, dopo un primo abbozzo, matura ora dopo ora, giorno dopo giorno. Un lavoro che, prevedendo l’uso del digitale ma anche una macchina di grande formato 20x25 in bianco e nero e lunghe esposizioni, è fatto di attesa, silenzio, meditazione, contemplazione con chiari riferimenti alla poetica del Settecento francese rappresentata da artisti quali Chardin e Roland de la Porte. Ma c’è di più. Guardando le fotografie di Broadbent, ora esposte al palazzetto Baviera di Senigallia (Ancona), fino al 28 febbraio nella mostra Rimasto nell’ombra (www.comune. senigallia.an.it), a cura di Mario Trevisan, si è colti da un senso di sospensione, oblio, di eloquente immobilità che racconta attraverso la materia, rimasta lì, l’attimo che è stato, la bellezza sfiorita o che è sul punto di sfiorire, il tempo che scorre e che mette in crisi l’architettura dell’armonia. “Vanitas”, quando più palesi quando più nascoste, avvolte da una luminosità pacata, discreta, dove le cose pur nella loro inevitabile impermanenza mantengono, come sostiene l’artista, «una certa fierezza».

ART E DOSSIER N. 394
ART E DOSSIER N. 394
GENNAIO 2022
In questo numero: IN MOSTRA: Bruguera a Milano; Klimt a Roma; Julie Manet a Parigi; Van Gogh ad Amsterdam; Arte dell'Oceania a Venezia. PUNTI DI ROTTURA: Arte e bolle di sapone; Shore: il declino dell'industria americana; che fine hanno fatto gli Annigoni perduti?; Che fine farà Santa Maria della neve in Valnerina?Direttore: Claudio Pescio