TRA IL CHIUSO
E L'APERTO

Savoldoera abituato a lavorare in serie, come a quei tempi accadeva di frequente (del resto, succede anche ai nostri).

Q

uando aveva trovato un tema confacente alle proprie caratteristiche di stile, era uso fornirne varie repliche, senza attendere che fosse qualche seguace a farlo, autorizzato o abusivo. Uno di questi temi ricorrenti è l’adorazione dei pastori, di cui la prova più piena ed esauriente è conservata proprio nella pinacoteca della sua città natale, la Tosio Martinengo di Brescia. Perché un tema del genere gli era caro, al punto di fornirne varie repliche? Forse perché costituiva un perfetto compromesso tra il chiuso e l’aperto. Come già si è detto, gli è mancato il coraggio giorgionesco di spostare Madonne e santi decisamente “en plein air”, ma sentiva pure una certa angustia a mantenerli come sequestrati in ambienti chiusi. Ecco allora la soluzione per lui ideale, riposta su un onesto compromesso, di partire dal chiuso della stalla proverbiale della Natività, ma con finestrelle che si aprono ai lati, di fianco, sullo sfondo, il che gli dà l’estro per farvi apparire dei personaggi solidamente inquadrati, senza l’obbligo, tipicamente “moderno”, nell’accezione piena, e dunque vasariana del termine, di metterli in un buon rapporto proporzionale reciproco. A quel modo, ciascuno di loro campeggia nel riquadro che gli è concesso, quasi fosse un ritratto, una presenza singola, sottratta all’obbligo di confluire in un insieme. E beninteso ciascuno di questi attori solitari può far brillare la sua personale sigla cromatica, come il pastore di sinistra, che ostenta una casacca di splendido, quasi fosforescente verde smeraldo, tale da forare le tenebre, il notturno che ovviamente domina lo sfondo. Col che Vasari, nella sua nota, aveva visto giusto, si confermano le due doti particolari del nostro artista, l’eccezionalità delle strisciate cromatiche e la maestria negli effetti notte.

Adorazione dei pastori (1540 circa); Terlizzi (Bari); Santa Maria La Nova.


Adorazione dei pastori (1540 circa); Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo.

Conviene insistere sulle variazioni di una simile impostazione privilegiata, come per esempio quella che troviamo a Venezia, chiesa di San Giobbe, dove domina soprattutto l’apertura posta sullo sfondo, con una testina non ben raccordata all’altra, più imponente, che si staglia a sinistra, mentre nella porzione di cielo al di sopra dello spettacolo sfrigola la fiammella dello Spirito santo, come fosse un fuoco artificiale. Più povera la versione che troviamo a Terlizzi (Bari), chiesa di Santa Maria La Nova, dove di finestrelle per consentire l’affacciarsi dei pastori, quasi nel ruolo di estasiati “voyeurs”, ce n’è una sola. Forse perché i committenti hanno pagato di meno? Esiste anche una soluzione di questo medesimo tema in cui i pastori vengono ammessi all’interno della capanna, ma distribuendosi in parata. E beninteso a dare a ciascuno di loro uno spicco individuale provvede la colorazione accesa che li fa emergere dalla penombra dello sfondo, ma è soluzione che riporta indietro, a effetti quasi vascolari (Torino, Galleria sabauda). Altre volte infine i pastori sono ammessi in gran numero all’interno, a fare siepe con le loro teste attorno al Divin Bambino (collezioni private italiane), con pesante infrazione, al solito, rispetto al canone di piena modernità che vorrebbe una verosimile distribuzione spaziale delle figure, e non un loro assembramento, come tante bocce di biliardo.

Adorazione dei pastori (1530 circa); Washington, National Gallery of Art.


Riposo durante la fuga in Egitto con la veduta di riva degli Schiavoni a Venezia (1527 circa). Soggetto caro all’autore, al pari delle Maddalene e delle Adorazioni dei pastori, anche il Riposo durante la fuga in Egitto vanta numerose repliche. In quella qui riprodotta, l’ampio paesaggio alle spalle della Madonna e del Bambino è quello veneziano di riva degli Schiavoni, cosicché il racconto biblico risulta attualizzato, ambientato da Savoldo sullo sfondo della città che lo ospitava in quegli anni.

Riposo durante la fuga in Egitto (1525); Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo.

Qui, volendo sostenere la tesi di una qualche modernità del nostro artista, si potrebbe osservare che proprio per la piccola dimensione con cui la Madre e il Bambino vengono trattati, resta molto spazio per il paesaggio alle loro spalle, ma a impedire di procedere troppo in là in tale direzione si erge la Tempesta giorgionesca, a mostrare come il paesaggio si possa estendere oltre misura, fino a inglobare entro il proprio vasto abbraccio i protagonisti della componente umana, non più dominatori ma abbassati al rango di comparse. Bisogna però ammettere che queste vedute sono trattate con qualche morbidezza e sfumatura, ma venendo pur sempre relegate a un compito di fondale riempitivo, subordinato alla scena in primo piano, che peraltro, a sua volta, non riesce a dominare, ad assumere quell’impatto essenziale di cui sarà capace la versione caravaggesca.

Siamo insomma in presenza di un artista che fa l’altalena in su e in giù, capace di spingersi talvolta molto in avanti verso la modernità, soprattutto per il ricorso a effetti luministici speciali, ma talaltra viene risucchiato indietro, a soluzioni «seconda maniera», quelle stesse che dominavano per intero il panorama fiammingo e tedesco, con la sola eccezione di Dürer. Un tema che riporta indietro è quello delle Visioni di san Girolamo, presente a Mosca, Museo Puškin, dove a dominare la scena è una roccia monumentale, al centro del dipinto, da cui il santo fugge via quasi rimpiccolendosi per tentare di salvarsi, mentre l’ingombrante motivo geologico si apre in anfratti dominati dalle tenebre, ma interrotte però da fuochi infernali. Si sente un influsso proveniente da Hieronymus Bosch, di cui effettivamente alcuni dipinti erano presenti a Venezia, nella collezione del nobile Grimani.

Visioni di san Girolamo (1515-1518); Mosca, Museo Puškin.


Riposo durante la fuga in Egitto (1525-1527).

SAVOLDO
SAVOLDO
Renato Barilli
Giovanni Girolamo Savoldo completa, con il Romanino e il Moretto, la triade degli innovatori della pittura lombarda del primo Cinquecento. La sua formazione è emiliana e toscana, studia in ambito manierista, ma trova il contesto migliore per la sua pittura a Venezia attorno al 1520, in un momento di forte presenza di suggestioni fiammingo-germaniche e giorgionesche. Questa commistione di influenze determina il suo stile molto personale, costruito su una base disegnativa nitida, una grande attenzione al dettaglio e un gusto tutto veneto per la resa atmosferica: uno stile applicato a soggetti molto vari, dal ritratto alla pala d’altare, con una predilezione per i notturni.