GRAND TOUR:
NASCITA, PROTAGONISTI
E CARATTERISTICHE

«L’Italia dal 1748al 1796 ebbe quarant’otto anni di profondissima pace; ciò che né essa, né alcun altro paese ebbe mai per sì lungo spazio; nondimeno ciò nulla giovò alle arti che giacquero trascurate e avvilite da’ principi, e dagli artisti.

Niun principe fece molto lavorare scultori e pittori, od ordinò monumenti magnifici». Leopoldo Cicognara faceva questa considerazione nel capitolo primo del VII volume della seconda edizione della Storia della scultura dal suo risorgimento in Italia al secolo di Canova (Prato 1824). Si riferiva a quel periodo storico iniziato con il trattato di Aquisgrana, che aveva posto fine alla guerra di Successione austriaca, e conclusosi con la Prima campagna d’Italia, invasa dall’esercito della Repubblica francese guidato dal giovane generale Bonaparte. Secondo lo storico dell’arte e bibliografo ferrarese, la penisola, frazionata politicamente in tredici Stati, non era più all’altezza di un glorioso passato quando i sovrani erano stati splendidi mecenati, incoraggiando la cultura e affidandosi ad artisti di genio le cui opere erano diventate ed erano rimaste modello per tutta Europa.


Giovanni Paolo Panini, Roma moderna (Interno di una Galleria immaginaria con vedute della Roma moderna) (1758), intero; Parigi, Musée du Louvre.

Eppure il Settecento, come poi dovrà ammettere lo stesso Cicognara in queste pagine dove rievocava in maniera mirabile il contesto culturale in cui si era potuta affermare la straordinaria rivoluzione di Canova celebrato come il nuovo Fidia, è stato un secolo di giganti come Tiepolo, Canaletto, Bellotto, Piranesi e l’Italia restava la terra delle arti, ancora al centro del dibattito in un’Europa che stava rapidamente mutando. Proprio un fenomeno come il Grand Tour, che favorito dal lungo periodo di pace ebbe in questi anni la sua massima espansione, caratterizzò il ruolo e il contributo non secondari del nostro paese nell’età dell’illuminismo e del neoclassicismo, quando l’Occidente cosmopolita si andava riconoscendo, alle soglie della modernità, nelle stesse aspirazioni e negli stessi ideali.


L’Italia ha avuto da sempre una centralità anche geografica, e dal Medioevo è l’ombelico del Mediterraneo. I pellegrini diretti in Terrasanta, i mercanti e i crociati devono percorrerla e s’imbarcano dalle sue rive. Questa centralità viene confermata dal mito di Roma, Roma Città eterna e “caput mundi”. Roma “la Santa” che è subentrata a Gerusalemme come centro della cristianità, diventa, a partire dal Trecento, meta dei pellegrini attirati dall’importanza delle sue reliquie, come la Veronica, la Scala santa, la “cathedra Petri”, e dalle opportunità favorite dai giubilei, prima organizzati ogni cento anni e poi con un ritmo sempre più serrato e ravvicinato, ogni cinquanta, trentatre, venticinque. Ma, a partire dal Quattrocento, alla meta dei pellegrinaggi si affianca, con tutto il fascino delle sue imponenti rovine e delle sculture che mano a mano riemergono dal suolo e vengono fatte oggetto di un prestigioso collezionismo, la Roma capitale della classicità, meta privilegiata degli umanisti e dei cultori dell’antico, intellettuali e artisti, appassionati che rappresentano i precursori del viaggio laico di formazione che sarà poi istituzionalizzato tra Sei e Settecento con il termine di Grand Tour.


Joseph Mallord William Turner, Roma dal Vaticano. Raffaello accompagnato dalla Fornarina prepara i dipinti per le Logge (1820); Londra, Tate. Capolavoro conclusivo del primo viaggio in Italia tra 1819 e 1820, questo monumentale dipinto venne esposto alla Royal Academy in occasione del centenario della morte di Raffaello. Il panorama di Roma emerge in una veduta insieme reale e visionaria, oltre il colonnato del Bernini. Gli affreschi di Raffaello in Vaticano, tra cui la decorazione delle Logge, rese popolari da incisioni come quelle di Giovanni Volpato, erano insieme alle celebri antichità tra le mete principali dei viaggiatori che sostavano nella Città eterna. In primo piano compaiono alcune delle opere più ammirate dell’Urbinate, in particolare la Madonna della seggiola collocata al centro.

Questa dizione compare per la prima volta nel 1670, in trascrizione francese, nel Voyage of Italy, or a Compleat Journey through Italy del cattolico realista inglese Richard Lassels. A questa data il viaggio in Europa, che era iniziato come una pratica rara, era ormai diventato un’istituzione consolidata e irrinunciabile per la formazione della classe dirigente inglese, e velocemente agli aristocratici provenienti dall’isola si andarono affiancando, già dai tempi di Luigi XIII e del re Sole, i viaggiatori francesi, poi tedeschi, fiamminghi, olandesi, svedesi, polacchi, russi sino a comprendere ogni paese d’Europa. Come ha sostenuto un grande studioso del fenomeno, Cesare de Seta, si può dire che la «comunità dei tourists è, nel corso del secolo dei Lumi, la più numerosa e libera accademia itinerante che la civiltà occidentale abbia mai conosciuto». Il suo carattere cosmopolita è ribadito, a metà del Settecento, dal dottor Johnson, convinto che «tutta la nostra religione, tutte le nostre arti, quasi tutto ciò che ci pone al di sopra dei selvaggi proviene dalle coste mediterranee» che sono «il grande oggetto del viaggiare».


La comunità dei viaggiatori, che si ritrova negli stessi luoghi e nelle stesse occasioni, è vasta e composita, perché a fianco degli aristocratici per cui il soggiorno in Italia ha un valore iniziatico, ritroviamo, con motivazioni simili e insieme diverse, gli artisti, i letterati, i musicisti, i filosofi, gli scienziati, politici e uomini di Chiesa e quanti scendono in Italia per motivi professionali, facendone un’occasione di arricchimento e di svolta nella loro carriera.


Il viaggio in Italia era destinato a rimanere un momento indimenticabile della vita di chi l’aveva intrapreso, non solo per lo straordinario valore formativo di questa esperienza, per la ricchezza e la bellezza dei monumenti delle città che componevano quello che oggi chiamiamo un museo diffuso, per lo splendore dei paesaggi, per la mitezza del clima, tanto diversi da quelli dei freddi paesi di provenienza, per la piacevolezza del vivere, ma anche per la durezza e l’imprevedibilità delle condizioni di viaggio, tali che lo rendevano spesso una continua avventura. I mezzi di trasporto più utilizzati erano un piccolo calesse a due posti o una carrozza più grande, che naturalmente garantivano un diverso comfort a seconda delle sospensioni e dello stato delle strade, polverose durante la stagione secca, allagate e fangose d’inverno.

C’erano molte frontiere da superare sbrigando noiose formalità di dogana, visto il numero di Stati in cui era frazionata la penisola. Il rischio di epidemie imponeva accurate precauzioni igieniche, anche se questo non bastava a impedire che, al loro arrivo nelle città, i viaggiatori venissero spesso isolati in lazzaretti per due settimane di quarantena. Un altro imprevisto, non così infrequente e che comunque doveva essere messo in calcolo, era quello dei banditi. Anche se questa esperienza sarà destinata, col favore anche di certa pittura e delle popolari illustrazioni di Bartolomeo Pinelli (1781-1835), a far parte della leggenda del viaggio.


La maggior parte dei viaggiatori arrivava in Italia dalla Francia, con due possibilità: attraversare le Alpi, trasportati da una portantina, attraverso il passo del Moncenisio, da cui si scendeva a Torino; o arrivare via mare, a bordo di una feluca, che faceva la spola tra Marsiglia e Genova. Più rara era la traversata che consentiva di raggiungere l’Italia direttamente dall’Inghilterra, per cui lo scalo preferito era Livorno, da cui ci si spostava a Firenze.


La durata e le modalità del Grand Tour variavano a seconda dell’itinerario prescelto e delle feste tradizionali cui si intendeva assistere, come il carnevale a Roma, Napoli e Venezia; le cerimonie della Settimana santa ancora a Roma o le regate e i fastosi riti del giorno dell’Ascensione a Venezia. Ma poi era il clima a determinare perlopiù le scelte. La maggior parte dei viaggiatori preferiva, per il caldo eccessivo, evitare il Meridione nei mesi estivi, per cui il loro tour iniziava in autunno, scendendo lentamente verso il Sud, sostando a Lucca, Firenze, Siena, Roma, e infine Napoli.


Sulla via del ritorno visitavano nuovamente Roma, per raggiungere quindi come meta finale Venezia, risalendo lungo la dorsale adriatica da Loreto, Ancona e Ravenna. Lasciavano infine la penisola visitando ancora Vicenza, Verona, Mantova, Bologna, Modena, Parma, Piacenza e Milano, per poi raggiungere Torino e valicare nuovamente le Alpi al Moncenisio.


Francesco Zuccarelli, Veduta ideale di Vicenza con celebrazione allegorica di Andrea Palladio (1746 circa); Vicenza, Gallerie d’Italia.

GRAND TOUR
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Fernando Mazzocca
Il fenomeno del Grand Tour inizia a caratterizzare la vita culturale europea già a partire dal XV secolo, per arrivare al suo apice nel Settecento. Si tratta di un viaggio di apprendimento, quasi di iniziazione, che i giovani di buona famiglia compiono in Italia alla ricerca delle vestigia di quelle antiche civiltà di cui la Penisola è stata teatro. Questi novelli pellegrini, al contrario dei loro predecessori medievali che andavano in cerca di reliquie, vogliono arricchire lo spirito e l’intelletto oltre che l’anima, dando luogo a viaggi indimenticabili, a volte avventurosi per chi li compiva. Abbacinati da templi, chiese e città d’arte, ma anche dalle suggestioni di splendidi paesaggi, i rampolli dell’aristocrazia vivono un’esperienza che ha nutrito gli sviluppi dell’arte europea per alcuni secoli, quando l’Italia era un modello.