IL RITRATTO COME SCRIGNO
DELLA MEMORIA E STATUS SYMBOL‌

Sia che siano stati ingaggiati pittori stranieri, sia, nel caso più frequente, che ci si sia rivolti ai pittori italiani più celebri, che non si fecero molti problemi nell’allentare il loro impegno nella pittura di storia per dedicarsi a un genere inferiore, la maggior parte dei ritratti dei viaggiatori furono realizzati a Roma.

La Città eterna appare quindi, con i suoi monumenti più importanti, sullo sfondo delle “conversation pieces”, quelle informali scene di insieme tipiche della ritrattistica inglese della seconda metà del Settecento, animate da quel nuovo senso delle relazioni sociali che traspare nel romanzo contemporaneo e che riflette la trasformazione della società nel paese dove è iniziata la prima rivoluzione industriale. Come nel caso dei giovani aristocratici messi in posa da da Nathaniel Dance Holland sullo sfondo del Colosseo, questi ritratti di gruppo evocano gli incontri che dovevano costituire tra i momenti memorabili del viaggio. Animati da una passione comune, il conte di Firmian, uno dei grandi ambasciatori e collezionisti diventati un punto di riferimento per la comunità cosmopolita degli stranieri in Italia, e i suoi amici si fecero ritrarre dal tirolese Martin Knoller durante un’escursione archeologica nei dintorni di Napoli.


Nathaniel Dance Holland, James Grant, John Mytton, Thomas Robinson e Thomas Wynn sullo sfondo del Colosseo (1760); New Haven (Connecticut), Yale Center for British Art.

Pompeo Batoni, Thomas Dandy, poi Il barone Dundas (1764).


Pompeo Batoni, Il colonnello William Gordon (1765-1766); Fyvie (Scozia), Fyvie Castle.

Altri vennero rappresentati all’aperto, sullo sfondo della campagna romana con le rovine dei monumenti antichi abbinati alle statue. Immancabile in ogni ritratto è la presenza di un cane, ognuno identificato a seconda della razza. Questi amici fedeli, che accompagnavano i loro padroni nel lungo viaggio italiano, sono raffigurati con una verità e una nobiltà ispirate a quelli antichi di marmo che facevano bella mostra nella famosa Sala degli animali dei Museo pio clementino e nelle più prestigiose collezioni romane.
Rispetto allo straordinario successo di Batoni, che si troverà sommerso da una valanga di richieste cui cercava di far fronte sottoponendo se stesso e i suoi collaboratori a frenetici ritmi di lavoro, la reputazione di altri grandi ritrattisti come il rivale Mengs appariva ridimensionata. Nessuno come lui seppe rendere lo spirito del viaggio e il fascino dell’Italia quali traspaiono invece da un’opera di culto, assolutamente iconica, come Goethe nella campagna romana eseguito tra il 1786 e il 1787 dall’amico Tischbein. Nel suo diario il poeta annotò: «Sono stato ritratto a grandezza naturale, da viaggiatore, avvolto in un mantello, e seduto all’aria aperta su un obelisco rovesciato, mentre guardo le rovine della campagna romana in lontananza». Si tratta dell’opera simbolo del viaggio più famoso, il cui resoconto venne pubblicato una trentina d’anni dopo e che Goethe considerò il periodo più felice della sua vita, quando raggiungere la terra dei suoi sogni aveva significato una rigenerazione, nella possibilità di ritrovare le fonti della sua ispirazione. Passò la maggior parte del suo tempo con gli scrittori e gli artisti delle colonie tedesche a Roma e a Napoli, per poi raggiungere e fu tra i pochi la Sicilia rapito dal fascino primordiale di quella terra, considerando che «L’Italia, senza la Sicilia, non lascia alcuna immagine dell’anima: qui è la chiave di tutto».

Johann Zoffany, Lord Cowper e la famiglia Gore (1775); New Haven (Connecticut), Yale Center for British Art.


Johann Heinrich Tischbein, Goethe nella campagna romana (1787); Francoforte sul Meno, Städel Museum.

Questo dipinto, all’epoca molto popolare, fu eseguito, su iniziativa del principe Augusto di Prussia e di Juliette Récamier, per rendere omaggio alla defunta Madame de Staël che aveva favorito il loro incontro.


Vi è rappresentato uno degli episodi principali del romanzo della Staël Corinne ou l’Italie che, pubblicato la prima volta nel 1807 e poi continuamente ristampato in tutta Europa, è una delle testimonianze letterarie più esemplari del viaggio in Italia e dell’attrazione che ha esercitato il nostro paese.


Il pittore ha collocato la scena in un paesaggio tempestoso, sullo sfondo del Vesuvio fumante al chiaro di luna, per rendere l’emozione che travolge la protagonista in quel momento.

François Xavier Fabre, Joseph Allen Smith a Firenze (1797); Cambridge, Fitzwilliam Museum.


Jacques Sablet, I primi passi dell’infanzia (1789-1798 circa); Losanna, Musée Cantonal.

Accanto al Viaggio in Italia di Goethe, il libro più popolare, che ha sedimento nell’immaginario romantico l’immagine del nostro paese, è stato il romanzo d’elezione di Madame de Staël Corinne ou l’Italie, alla cui pubblicazione nel 1807 seguiranno sino al 1894, solo in francese, ben ottantasei edizioni, vale a dire una all’anno. Molto pubblicato anche altrove, è stato un successo planetario. Narra il viaggio alla scoperta della penisola di un nobile scozzese, lord Oswald Nelvil, guidato dalla poetessa romana Corinna nella quale si identifica l’autrice. È curiosamente ambientato al tempo delle guerre napoleoniche che sembravano segnare la fine del Grand Tour. Ma forse fu anche questo libro, insieme alla pace ritrovata, a far rivivere il fascino dell’Italia, che tornò a essere la terra prediletta dei viaggiatori, spinti da motivazioni simili e insieme diverse rispetto alla grande stagione settecentesca. Riprese e continuò l’industria dei souvenir, producendo oggetti ancora ispirati all’antico, mentre ai grandi artisti del passato si affiancò Canova, ammirato e desiderato pensiamo ai suoi molti collezionisti inglesi come gli antichi.

Horace Vernet, Combattimento tra le truppe del papa e i briganti (1830); Baltimora, Walters Art Museum.


Léopold Robert, L’arrivo dei mietitori nelle paludi pontine (1830); Parigi, Musée du Louvre.

Questo ritratto emblematico rappresenta il grande studioso, che ha rivoluzionato la visione dell’antichità, in un’elegante veste da camera bordata di pelliccia, mentre sta scrivendo, davanti a una stampa che lo riproduce, un commento al Bassorilievo di Antinoo conservato nella villa del cardinale Albani della cui collezione Winckelmann era responsabile. Alle sue spalle, sulla destra, spunta collocato di profilo un busto di Omero, a simboleggiare l’amore dell’archeologo tedesco per la civiltà e l’arte greche da lui rievocate, in compilazioni erudite ma anche in scritti allora molto letti, con accenti poetici.


Bénigne Gagneraux, Pio VI accompagna Gustavo di Svezia in visita al Museo pio clementino (1785); Stoccolma, Nationalmuseum.

In questo manifesto della passione per l’antico che animava i collezionisti e i protagonisti del Grand Tour, Zoffany ha raccolto in una sorta di visione ideale, riunendoli in un solo ambiente, «tutti i marmi migliori», come precisò un testimone dell’epoca, «disseminati in varie parti della casa», abbinati dunque «in una pittoresca composizione secondo il proprio gusto». Si tratta di una particolare scena di conversazione dove il collezionista discute con gli amici con cui condivideva gli stessi interessi. Straordinario appare il campionario delle statue antiche, tutte riconoscibili, suddivise per dimensioni e tipologie.


Luigi Valadier, Apollo del Belvedere (1770 circa); Parigi, Musée du Louvre.


Antonio Canova, Teseo vincitore del Minotauro (1781-1783); Londra, Victoria and Albert Museum.


Angelica Kauffmann, Ritratto del conte Josef Johann von Fries con il Teseo vincitore del Minotauro (1787); Vienna, Museen der Stadt Wien.


Johann Zoffany, La biblioteca di Charles Townley al numero 7 di Park Street a Westminster (1781-1783); Burnley (Lancashire), Towneley Hall Art Gallery & Museum.

Mentre rispetto alle antichità, ai monumenti, al paesaggio l’interesse si estese anche ai costumi e alla vita del popolo, favorita e condizionata dalla mitezza del clima. Come aveva osservato Goethe, «tutti sciamano per la strada, tutti siedono al sole finché non cessa di splendere. Il napoletano è convinto d’avere per sé il paradiso e si fa un’idea ben triste delle terre del settentrione». I viaggiatori rimangono incantati da una fierezza e da una bellezza che ricorda la fisionomia delle statue antiche o quella delle Madonne di Raffaello.


I pittori la ritrovano addirittura tra i briganti, che entrano facilmente nella leggenda, tra i pescatori, i suonatori ambulanti, i mietitori che vanno a lavoro, fermati in pose eroiche come nel grande dipinto di Léopold Robert, che insieme a François Joseph Navez o Jean Vicor Schnetz è stato, prima di suicidarsi per amore a Venezia, il grande interprete della vitalità di un popolo senza patria. Per questa via si andavano scoprendo, in età romantica, i valori reali di una terra che, prima, era sembrata essere abitata solo da statue.


Damià Campeny, Trionfo da tavola (1806); Parma, Galleria nazionale. Questo sontuoso oggetto venne realizzato per l’ambasciata di Spagna a Roma dallo scultore catalano che ha assemblato, come avveniva per questo tipo di arredi di rappresentanza, un grande numero di pezzi (in questo caso ottanta) per comporre un insieme molto scenografico. Statue di divinità in bronzo dorato e patinato sono intercalate con vasi, coppe e altri elementi decorativi, a comporre uno straordinario insieme dove domina un gusto per l’antico ormai diffuso tra gli oggetti di uso quotidiano. L’immersione nell’antichità, motivo dominante nel viaggio in Italia, era diventata la linea guida nell’arredo degli interni in tutta Europa.

GRAND TOUR
GRAND TOUR
Fernando Mazzocca
Il fenomeno del Grand Tour inizia a caratterizzare la vita culturale europea già a partire dal XV secolo, per arrivare al suo apice nel Settecento. Si tratta di un viaggio di apprendimento, quasi di iniziazione, che i giovani di buona famiglia compiono in Italia alla ricerca delle vestigia di quelle antiche civiltà di cui la Penisola è stata teatro. Questi novelli pellegrini, al contrario dei loro predecessori medievali che andavano in cerca di reliquie, vogliono arricchire lo spirito e l’intelletto oltre che l’anima, dando luogo a viaggi indimenticabili, a volte avventurosi per chi li compiva. Abbacinati da templi, chiese e città d’arte, ma anche dalle suggestioni di splendidi paesaggi, i rampolli dell’aristocrazia vivono un’esperienza che ha nutrito gli sviluppi dell’arte europea per alcuni secoli, quando l’Italia era un modello.