ENTRATA DI CRISTO‌
A BRUXELLES NEL 1889

Nel 1929 fa l’ingresso trionfale a Bruxelles, per un’antologica al Palais des BeauxArts, l’opera cardine di James Ensor

Entrata di Cristo a Bruxelles nel 1889 (1888). Prima di quel momento il dipinto rimase nello studio dell’artista e non fu visto che da una ristretta cerchia di amici e visitatori. Era in effetti arrotolato e solo nel 1917 fu appeso nel soggiorno della casa di rue de Flandre, ereditata dallo zio. Tra i pochi che la videro, oltre agli amici più stretti, Emil Nolde nel 1911 e Vasilij Kandinskij nel 1917.


La ricorrente figura del Cristo nell’opera di Ensor ha indotto molti studiosi a pensare a una forma di socialismo messianico da parte dell’artista. La sua opera più nota ma anche altri autoritratti cristologici sono indubbiamente prova di una qualche forma di interesse che non può essere sbrigativamente risolta. Le idee religiose di Ensor non sono chiare, le sue opere e i suoi scritti fanno pensare a un artista anarchico. Tuttavia, Ensor, come i


giovani della sua generazione, frequentò una scuola cattolica le scuole statali ancora non esistevano e conosceva le tradizioni religiose, le processioni, e nei suoi testi e nelle sue opere ci sono riferimenti a feste cristiane. Non sappiamo tuttavia se suo padre fosse di religione anglicana, ma per certo fu sepolto nella chiesa anglicana di Ostenda. I riferimenti al cattolicesimo non bastano per considerarlo un praticante, anzi, la religione appare spesso in modo sarcastico nei suoi scritti. Molti studiosi propendono per l’ateismo o per un disinteresse verso le “questioni esistenziali” o metafisiche che si ponevano i suoi colleghi simbolisti (si pensi a Che siamo, da dove veniamo, dove andiamo di Gauguin o a tutta l’arte idealista). Il suo interesse per i problemi sociali era tutto di tipo umano, di giustizia sociale, terrena, concreta. Ma non era un anticattolico, piuttosto un anticlericale.


Il suo raffigurarsi come “Cristo deriso” o un “Ecce homo” rientra in un’iconografia diffusa in particolare negli anni Novanta dell’Ottocento. Paul Gauguin (1848-1903), Edvard Munch (1863-1944) ma anche il belga Henry de Groux (1866- 1930), per un breve periodo amico di Ensor, si sono raffigurati come “Cristo in croce”, “Cristo all’Orto degli ulivi”, ma anche altri pittori, nonostante aderissero a dottrine esoteriche, ripresero iconografie cristiane, non privilegiando le vite dei santi o della Vergine, quanto la figura di Cristo. È il caso di Léon Frederic (1856-1940) o di Jean Delville (1867-1953), per citare due nomi importanti dell’arte belga.

Entrata di Cristo a Bruxelles nel 1889 (1888); Los Angeles, J. Paul Getty Museum.

Per l’Entrata Ensor ha invece scelto come soggetto l’ingresso di Gesù Cristo a Gerusalemme nella Domenica delle palme, a dorso di un asino, ambientandolo a Bruxelles nel giorno di martedì grasso. L’entrata di Cristo avviene dunque nell’indifferenza generale, confuso nel mezzo di una parata di militari, clero e ovviamente persone mascherate e no, che si dedicano a pratiche oscene, e comunque in mezzo a volti grotteschi, deformi, a volte caricaturali. Questo Cristo, lillipuziano per la distanza, è un autoritratto di Ensor che metaforicamente entra nel mondo dell’arte inascoltato e praticamente invisibile: Ensor si identifica dunque con la figura di Cristo (seguendo anche il modello di Dürer) come “riformatore sociale”, riassorbito nell’indistinzione, incompreso. La scelta del martedì grasso è anche un riferimento al fatto che le mostre dei XX, per non sovrapporsi a quelle dei Salon, avevano luogo a febbraio, mese del carnevale.


I riferimenti sono alla vita politica del Belgio e a eventi personali dell’artista, ma non strettamente del biennio 1888-1889. Il dipinto era in incubazione già nel 1885, come dimostrano alcune altre opere, per esempio la litografia L’ingresso di Cristo a Gerusalemme, facente parte della serie Le aureole di Cristo o la sensibilità della luce (Museum voor Schone Kunsten, Gand) e, inoltre, nel marzo del 1886 ci furono delle forti repressioni da parte del governo che inviò diecimila soldati agli ordini di Alfred Vandersmissen (1823-1895) per frenare le sommosse a Charleroi; diversi focolai di sciopero e di rivolta operaia si erano accesi nello stesso mese a Liegi e nel resto dell’Hainaut, in un momento di forte crisi economica e politica. Anche nella stessa Ostenda, il 23 agosto 1887 ci furono delle rivolte da parte dei pescatori locali contro i pescatori inglesi che avevano violato dei diritti commerciali; questa sommossa sarà ritratta l’anno seguente da Ensor nel disegno Lo sciopero (o Il massacro dei pescatori), che per alcuni aspetti, come la composizione, la presenza di bandiere e stendardi, la folla in agitazione e le scritte satiriche, così come alcuni personaggi in atto di defecare o vomitare, può essere letto come un parallelo dell’Entrata e, come notato da Patricia Berman nel suo studio approfondito sul dipinto, per il contrasto tra i soldati irreggimentati e i cittadini “truculenti” che simboleggia una élite al potere contro i suoi cittadini(31). Bruxelles è invisibile: non ci sono edifici storici che rimandino alla città, essa non è identificabile che in quanto massa caotica. Una massa che affollava i boulevard appena inaugurati dalla politica di Leopoldo II che in accordo con il sindaco Anspach, a imitazione di quanto fece il barone Haussmann a Parigi, cambiò il volto alla città fiamminga. Parate militari, religiose, politiche o solamente occasioni di orgoglio nazionalista invadevano le nuove strade di una città quasi del tutto irriconoscibile. Ensor probabilmente partecipò ad alcune di queste manifestazioni, tra cui quella per il suffragio universale del 1886.

C’è poi la storia personale di Ensor. A febbraio 1887 i XX invitarono Georges Seurat a esporre, come abbiamo visto, ed Ensor, sentendosi tradito, volle creare un’opera in cui sfidare il formato monumentale. Nel 1887 inoltre, l’artista belga, come abbiamo ricordato, perse in successione la nonna materna e il padre, quindi iniziò a dipingere e disegnare maschere e scheletri. L’opera fu terminata dopo marzo 1889: questo è noto perché pur risultando nel catalogo della VI mostra dei XX (2 febbraio-5 marzo 1889), non venne esposta, in quanto non terminata. Ensor in seguito farà credere di essere stato rifiutato(32), ma quasi certamente l’incompiutezza fu dovuta a un’indisposizione del pittore. Tuttavia, secondo alcuni studiosi Ensor insistette per esporre in un secondo momento il dipinto, scontrandosi con il netto rifiuto di Octave Maus, il quale avrebbe respinto anche il disegno Le tentazioni di sant’Antonio.


Nel 1889 ricorre il centenario della Rivoluzione francese, ma è anche l’anno di fondazione della Seconda internazionale. E dunque la data inserita nel titolo ha un intento ben preciso nella testa dell’artista, il quale vuole segnare uno spartiacque con il passato ma anche riconoscere un ben preciso passato, quello rivoluzionario. Segna dunque un’epoca nuova, quella delle masse, della folla, ma anche del caos e del conformismo.


L’Entrata di Cristo non può essere letta dunque senza riferimenti alla vita dell’artista e al contesto sociale belga: insanabile abisso tra avanguardia e accademia, prime lotte sociali, scontri tra comunità fiamminga e comunità francofona ecc.(33). Ma siamo anche in presenza di una serrata critica alla potente società belga del tempo. Come ha già notato Patricia Berman, nel rappresentare l’ordinata città di Leopoldo II, «il simbolo dell’apoteosi del Belgio in quanto potenza europea, come profondamente fuori controllo in preda al Carnevale, Ensor stabiliva che la strada era luogo di resistenza del nuovo ordine urbano»(34). La presenza del clero, dell’esercito e delle classi dominanti fanno del dipinto una critica alla “ruling class” del suo tempo; Leopoldo II aveva rafforzato i legami con l’esercito e il clero. Inoltre, il titolo Entrata è un riferimento, neanche troppo celato, alle “Joyeuses Entrées”, tipiche dei duchi del Brabante, che attraverso questi ingressi trionfali concedevano libertà alle province, che Leopoldo aveva ripreso. Difficile parlare di cattolicesimo in Ensor visto che il vescovo, pur essendo rappresentato in primo piano, ha i connotati di un buffone. L’opera è anche una parodia dei dipinti di successo del Salon, come La parata delle scuole nel 1878 di Jan Verhas (1880), come notato da Patricia Berman, un quadro rassicurante, naturalistico ed esaltante i valori della nuova borghesia: patria, famiglia e modernità. Ma anche dei dipinti di “Entrate” che si erano diffusi in Belgio grazie al sentimento nazionalista.


Analizziamo alcune scritte. Qualcuna fu apposta in un secondo momento, anche anni dopo, mentre altre vennero rimosse. La scritta «XX» sullo striscione verde fa riferimento ovviamente al gruppo dei XX a cui Ensor stesso apparteneva e che, come detto sopra, fu vetrina di una serie di incomprensioni e rifiuti, sebbene non tutti sufficientemente documentati. Il gruppo simpatizzava con teorie anarchico-socialiste e una bandiera rossa era appesa all’ingresso delle mostre annuali. Il fatto che ci siano dei fantocci o delle maschere che vomitano o defecano sulla scritta sulla scorta della conoscenza, da parte di Ensor, dei caricaturisti inglesi James Gillray e Thomas Rowlandson è indubbiamente segno di forti antipatie, rigetto da parte dell’artista nei confronti di un gruppo del quale avrebbe voluto la leadership assicurata mentre le attenzioni di Maus si orientarono prima verso i pointillistes e poi verso il simbolismo.

«Vive la sociale» è, naturalmente, un riferimento al partito operaio belga (fondato nell’aprile del 1885) e alle questioni sociopolitiche di cui si è detto. «Fanfares doctrinaires, toujours réussi»: qui Ensor fa riferimento al rischio dell’indottrinamento, mentre l’espressione “sempre riuscito” che dal punto di vista grammaticale non si accorda con fanfare dottrinarie (dovrebbe essere “réussies”) pone maggiori problemi, ci chiediamo se sia un errore voluto o solo un errore di ortografia: ricordiamo che Ensor era fiammingo e sebbene scrivesse e parlasse correntemente in francese, non era scevro da errori di ortografia, che lui stesso definiva gli errori che gli causavano maggiore indulgenza si veda anche «Vive Jésus, roi de Bruxeles», con una sola “l”, in questo caso certamente parodistica. Inoltre, la bandiera gialla sulla sinistra, da un esame a infrarossi, lascia intravedere una scritta satirica contro l’inno belga che Ensor cancellò dopo la sua nomina a barone. Sull’estrema destra forse un altro autoritratto di Ensor vestito con un abito verde a pois rossi, quasi un moderno Pierrot, l’unico a voltare gli occhi dalla scena e forse l’unico senza maschera. Al centro, un personaggio vestito di bianco, circondato da altre quattro figure, rappresenta l’unica scena a sé stante, un ricordo dei “tableaux vivants”; in basso a destra, tra i pochi personaggi senza maschera, un uomo canuto, forse un ritratto di Voltaire, che assiste in modo distaccato all’evento dissacrante. Le maschere, le caricature si ispirano, come si è detto, a Bosch, Goya ma anche a Daumier e alla stampa satirica belga e francese, anche a una stampa antisemita che incarnava le numerose, ahimè, idee sull’equivalenza tra l’insorgere del capitalismo e una “rapacità finanziaria” tipica del popolo semita, le cui raffigurazioni dell’ebreo col naso “uncinato”, labbra carnose, viso asimmetrico si ritrovano in parte delle tre figure in basso a destra, e sono dunque caricaturali. Non dimentichiamo, tuttavia, le maschere che Ensor vendeva nel proprio negozio, e che venivano utilizzate nei giorni del carnevale di Ostenda, alcune delle quali venivano tuttavia dal Giappone o dall’Africa. L’opera ha naturalmente un significato sociale, insistendo sulla natura di maschere di gran parte dei suoi protagonisti e sull’oppressione della folla.


A livello stilistico l’Entrata è una novità.


Le dimensioni sono gigantesche e sfidano l’arte monumentale cara agli artisti idealisti contro i quali inveiva Ensor. La prospettiva è utilizzata solo per rendere la minuzia dei personaggi, i colori sono molto vivaci: per restituire in modo quasi caleidoscopico i colori del carnevale e dando al tempo stesso uno schiaffo ai pointillistes, mostrando una via diversa per rendere la luce all’interno di un dipinto rispetto alla divisione del colore. Un insieme di densi pigmenti doveva apparire all’artista quotidianamente, poiché l’opera era addossata a una parete della soffitta, non completamente fruibile neanche dal suo artefice. In seguito, sarebbe rimasta nel soggiorno, circondata da suppellettili. Ma ciò non deve far pensare che non ci sia disegno, al contrario, a una visione ravvicinata si vedono moltissime parti accuratamente disegnate. Il punto di fuga non ci porta alla figura di Cristo il quale, anzi, sembra quasi sfuggire alla vista, ma più in alto verso sinistra. E le coloratissime figure in primo piano attirano talmente il nostro sguardo da farci distogliere da colui che dovrebbe essere il vero protagonista del dipinto, al quale non è d’ausilio neanche l’aureola fuori misura né il gesto benedicente per catturare l’attenzione.


Una critica all’ordine costituito, se non all’ipocrisia delle politiche del controllo: nella società come nell’arte, Ensor ha denunciato i pericoli di una società imperialista. Ma ha anche rappresentato se stesso come un nuovo Cristo, un artista che con la propria opera potrebbe “redimere” il mondo ma non viene ascoltato né seguito.


Parole chiarificatrici a proposito del pensiero filosofico di Ensor sono espresse da Herwig Todts: «Tuttavia, Ensor non fu un teosofo, questo è piuttosto chiaro. Non fu neanche un ateo militante o un razionalista incondizionato. Certo la maniera divertita, pietosa e a volte critica con la quale guardò alla cristianità e alla Chiesa è senza dubbio quella di un non credente e outsider»(35).


Ensor delle maschere, del grottesco, della satira, ma anche pittore della luce, un anarchico, un difensore della natura, degli animali, del sublime e della varietà, ma anche uno smascheratore di farse, tanto private quanto pubbliche. Pittore di una Bruxelles quasi inesistente, di un mare che non si vede, di luci, ironico e pungente, ma anche introverso, sensibile e delicato, James Ensor ha lasciato una produzione sterminata di opere di vario genere che non smette di affascinare e di incuriosire gli studiosi.

ENSOR
ENSOR
Laura Fanti
James Ensor (Ostenda 1860-1949), figlio di un ingegnere inglese e di una negoziante fiamminga di Ostenda, comincia a interessarsi all’arte ancora molto giovane. Si iscrive all’Accademia di belle arti di Bruxelles ma non condivide il tradizionalismo dei colleghi. Lascia la capitale e torna nella città natale. Cerca sponde intellettuali nelle avanguardie del tempo, si ispira ai paesaggi della sua terra sul Mare del Nord, al simbolismo; ma soprattutto coltiva una corrisposta, profonda antipatia per i borghesi della sua città, idee anarchiche e un’invincibile tendenza a isolarsi. È attratto dalla vena grottesca di un suo grande conterraneo, Jheronimus Bosch, dal carnevale, dalle maschere e dal rifiuto della folla, vista come una minaccia. L’intera umanità gli fa orrore, e la raffigura spesso seguendo ossessivi schemi espressionisti. Recentemente Ostenda, come una sorta di risarcimento pacificatorio, ha trasformato la sua abitazione in museo.