I PALAZZI

Ed eccoci ai palazzi: in omaggio alla“anzianità di indagine” cominciamo con Cnosso, nella parte centrale dell’isola, a 4 chilometri dal mare sul fiume Kaiatos (oggi Katsambàs).

Il sito dove avviò le indagini Arthur Evans deve la sua suggestione anche alle antiche leggende (si diceva di Minosse figlio di Zeus e di Europa, di Dedalo e del Labirinto, di Teseo e del Minotauro) che si localizzavano qui: si favoleggiava addirittura che Minosse salisse ogni nove anni all’Antro Ideo per ricevere i consigli del divino genitore. Ma vediamo come si presenta il palazzo nella sua fase definitiva. Domina la scena un grande cortile centrale intorno al quale, in modo molto complicato (da qui forse, chissà, l’idea del Labirinto), si articolano numerosissimi ambienti disposti su livelli diversi: i restauri di Evans spesso rendono difficile l’interpretazione. Spiccano anzitutto gli ingressi nord e sud: il settentrionale è proprio quello delle colonne rosse. A est sono stati individuati i cosiddetti Bagni della regina e Stanza della regina, dove è un celebre affresco raffigurante delfini e pesci (presente in copia, mentre l’originale è al museo della capitale Iraklion); sotto era un luogo di culto. In un altro ambiente era raffigurato il Toro con acrobata, altra scena di grande freschezza e immediatezza, anche se la copia presente nel palazzo è molto “integrata” rispetto all’originale che è a Iraklion. È la “taurocatapsia”, il salto sopra il toro, forse rituale, piuttosto diffuso anche in Anatolia e nel Levante, ma particolarmente presente qui nell’isola, come rivedremo. A ovest sono invece gli ambienti di rappresentanza: questa costruzione è chiusa all’esterno, a nord, da due gradinate ad angolo retto, che Evans chiamò convenzionalmente “teatro”. Sempre all’esterno la costruzione stessa è animata, sul lato ovest, da una facciata a sporgenze e rientranze; all’interno è la Sala del trono: la presenza di un sedile di alabastro, di banchi addossati alle pareti ha fatto pensare che qui il signore del palazzo, oppure un sacerdote o una sacerdotessa, presenziasse a cerimonie o riti, o addirittura li officiasse. Notevoli anche i magazzini nei quali si conservavano grandi “pythoi” (giare) per derrate alimentari. In un corridoio detto “delle processioni” è un lungo affresco (anche in questo caso l’originale è a Iraklion, e qui è una copia) con numerose figure, fra cui la più famosa forse è quella del cosiddetto Principe dei gigli, anche se frutto di un restauro particolarmente disinvolto (condotto da Evans con la “complicità” del pittore svizzero Émile Gilliéron), che ha assemblato addirittura parti di tre immagini diverse.

Ingresso al palazzo di Cnosso (XVIIXV secolo a.C.), con vestibolo e sala ipostila.


veduta panoramica dei resti di Cnosso nell’isola di Creta.

Prendere contatto con queste pitture ci induce a qualche considerazione e indicazione di carattere generale. Erano realizzate a tempera (forse non a fresco come pure si ipotizzava), ma su uno stucco friabilissimo, quasi calce pura, che le ha rese molto vulnerabili, con danneggiamenti estesi: si sono resi necessari massicci restauri. Massicci in tutti i sensi, con integrazioni spesso arbitrarie che, come già osservato per le architetture, rendono ancor più difficili le interpretazioni, tanto che spesso le definizioni si mantengono sul vago. Queste difficoltà non impediscono di cogliere alcuni dati rilevanti. Innanzitutto la presentazione della figura umana, che, come in Asia Anteriore e in Egitto, è di profilo, talvolta con testa di profilo, torace frontale e gambe di profilo. I personaggi maschili sono raffigurati in rosso, quelli femminili in bianco, gli altri colori usati sono il nero, l’azzurro, talvolta il verde.

Altra produzione importantissima nell’ambito dell’arte minoica è la ceramica, e anche sotto questo aspetto i rinvenimenti di Cnosso, i più antichi, hanno avviato le ricerche. Ricerche che poi si sono molto dedicate a individuare le caratteristiche dei vari nuclei produttivi, fra cui i principali sono, oltre che a Cnosso stessa, anche a Festo, Mallia, e alcuni siti della Creta orientale, che erano in contatto e in scambio fra loro, ma anche con le Cicladi, con l’Egitto, con l’Asia Minore e con la Grecia continentale. Esaminando qui i centri principali (adesso Cnosso, poi Festo…), non trascuriamo che altre officine erano sparse un po’ ovunque.

Toro (1200-1100 a.C.), statuetta in argilla; Iraklion, Museo archeologico


Gioco del toro (“taurocatapsia”) (1550 a.C. circa); Iraklion, Museo archeologico.

La fabbrica del palazzo di Cnosso era forse la più importante. Le forme preferite erano il “rhyton” (con cui si versavano liquidi per bere o per compiere libagioni) e l’“alabastron” (usato per profumi o altri liquidi per la cosmetica); le decorazioni erano varie, raffinate ed eleganti, inizialmente polpi o stelle marine, particolarmente adatti a estendersi per tutta la superficie del vaso, poi anche raffigurazioni di nodi o nervature, o doppie asce, un tema molto diffuso in vari contesti su cui torneremo. Un’altra officina di Cnosso produce grandi anfore con molte anse, oppure calici con corpo globulare con due anse: fra i motivi decorativi sono da ricordare gigli, papiri, oppure argonauti, cioè molluschi octopodi dai lunghi tentacoli.


Pesci e delfini (1500 a.C. circa); Creta, palazzo di Cnosso, Stanza della regina.

Le sculture di Cnosso sono in piccole dimensioni, in pietra, avorio o bronzo, come in tutta l’area minoico-micenea (con l’eccezione della Porta dei leoni a Micene). L’opera più nota è la Dea dei serpenti, cui si è accennato all’inizio: una figura femminile a braccia aperte, con le mani che stringono appunto rettili; indossa un abito con gonna scampanata, che lascia scoperto il seno. Questo dettaglio, che compare anche in altre opere analoghe, è stato collegato con l’idea di una posizione favorevole della donna nella società: questa però, in particolare, è una figura divina, interpretabile come antica testimonianza di un culto per la Dea Madre. Più utile sarebbe forse sottolineare la frequente presenza di donne come sacerdotesse nelle scene di culto. Di tutt’altro genere, ma anch’essa sorprendente per freschezza, è la piccola scultura in steatite raffigurante un acrobata che probabilmente volteggiava su un toro: un altro esempio di taurocatapsia. Il toro è uno dei soggetti più presenti nei miti e nelle leggende cretesi, e quindi anche nelle arti figurative, in diverse varianti: qui, una protome ricca di dettagli realistici (il pelame, le grandi corna) costituisce un “rhyton” (recipiente, come si è già visto, per bere, in cui un foro nella bocca dell’animale permette al liquido di scorrere) singolare e raffinato. Cominciamo con l’osservare a Cnosso due situazioni che troveremo anche negli altri palazzi: il palazzo “prevarica” la città circostante, che fra l’altro è stata anche meno indagata; è privo di mura, a testimonianza di una lunga stagione di pace instaurata dai re cretesi, anche se in qualche raro caso sono stati individuati resti di fortificazioni. Queste situazioni le ritroviamo, in primo luogo, a Festo, ma ovviamente troviamo anche altro. Il sito è in posizione favorevole sulla via fra Cnosso e il porto di Kommos, da cui partivano le navi per l’Egitto e per l’Asia. Si tratta, per la precisione, di ben quattro palazzi stratificati l’uno sulle rovine dell’altro. Sono meglio riconoscibili le planimetrie del terzo e del quarto. Il terzo presentava un ingresso monumentale, un grande cortile lastricato, un piazzale occidentale con gradinata monumentale a nord, definita, forse non a torto, “teatro”. Il quarto si inquadra nel Medio Minoico III (XVIII-XVII secolo), la fase più brillante dell’architettura palaziale cretese. Presenta anch’esso un grande cortile centrale, probabilmente destinato in parte a cerimonie di culto, e ha un aspetto “movimentato”, in quanto articolato in terrazzamenti di livelli diversi, raccordati da scalinate, alcune delle quali dotate di una certa rilevanza scenografica. Spettacolare doveva essere anche l’aspetto della facciata occidentale, a sporgenze e rientranze. Si identificano anche qui come a Cnosso gli appartamenti del re e della regina, sale di rappresentanza, magazzini in cui talvolta si sono conservati grandi “pythoi” (cioè, ricordiamolo, giare). Gli scavi italiani, dopo i tempi pionieristici, sono stati condotti (in collaborazione con le autorità greche) da altri studiosi: domina la figura di Doro Levi, lungamente direttore della Scuola archeologica italiana di Atene, seguito in tempi più recenti da Vincenzo La Rosa, Filippo Carinci e ora da Fausto Longo.

Sala del trono (XV secolo a.C.); Creta, palazzo di Cnosso.


Dea dei serpenti (XVII secolo a.C. circa); Iraklion, Museo archeologico.

Qui si produceva (come a Cnosso) anche ceramica, ed era di qualità straordinaria. Era destinata al palazzo stesso e alla già ricordata grotta sacra di Kamares, dove fu scoperta. La “ceramica di Kamares” era fatta alla ruota, o al tornio, il che consentiva di realizzare recipienti di forme eleganti, con pareti molto sottili (“a guscio d’uovo”). Su un fondo nero o bruno (talvolta anche rosso-bruno), per la decorazione si usano i colori bianco, rosso, arancio e giallo, dipingendo elementi geometrici spesso dall’andamento sinuoso, animali, piante, figure umane. Un autentico capolavoro è un cratere (vaso per miscelare vino e acqua durante i simposi) che presenta sulla parte bassa del corpo un motivo a scacchiera, sulla parte alta del corpo stesso e sul piede splendidi “arabeschi” gialli (definizione tecnicamente scorretta, ma rende l’idea), e soprattutto, in alto e in basso, fiori bianchi (gigli o narcisi?) applicati ad altorilievo.


Acrobata (1500 a.C. circa); Iraklion, Museo archeologico. Il fatto che sia andata perduta la figura del toro su cui l’acrobata volteggiava sembra rendere paradossalmente più elegante il volteggio stesso: l’uomo sembra addirittura librato in volo.

Le testimonianze della scultura, sempre di piccole dimensioni, non sono paragonabili con quelle di Cnosso. In compenso, fra gli infiniti materiali qui rinvenuti e conservati a Iraklion, oltre a opere d’arte come quelle descritte e a numerose tavolette con testi in Lineare A, nonché ai tanti sigilli che sono una manifestazione del potere regale, vi è un pezzo che spicca per la sua assoluta peculiarità ed enigmaticità: il Disco di Festos. È un oggetto di argilla, di sedici centimetri di diametro, le cui due facce sono coperte da circa duecentoquaranta segni diversi in rilievo, disposti a spirale, e suddivisi in gruppi mediante lineette verticali. Sembra certo che si tratti di scrittura e non di decorazioni; i segni sono stati distinti in quarantacinque tipi, probabilmente alcuni sono geroglifici e altri sembrano appartenere alla Lineare A, ma finora non è stata possibile nessuna decifrazione, e non si è neppure capita la funzione. I tentativi non mancano, anzi è stato proposto di tutto: per esempio un sillabario, oppure una componente di un antichissimo dispositivo per la stampa (!), ma il mistero rimane.


Come è inevitabile che accada, e come si è detto, a Creta, in presenza della dimensione e della rilevanza dei palazzi, non sempre è stato approfondito il rapporto fra questi, le città di cui fanno parte (“dominandole” con le loro enormi dimensioni) e gli immediati dintorni e la campagna, con corti, strade, spazi rituali, case. Per quanto riguarda in particolare Festo, un progetto presentato nel 2015 dalle Università di Venezia Ca’ Foscari e di Catania si ripropone di colmare la lacuna.


veduta del palazzo di Festo (XVII-XV secolo a.C.).

Teatro del palazzo di Festo (XVII-XV secolo a.C.).

Non lontano da Festo, sul sito di Hagia Triada (si ignora il nome antico) sorge intorno al 1600 a.C. una serie di strutture che saranno distrutte intorno al 1450: segue una ricostruzione, che ovviamente è la fase che conosciamo meglio. Si costruiscono una villa e un abitato, che in un secondo tempo saranno modificati e ampliati: il fatto che la villa sembri adatta a ospitare un centro di potere politico-religioso, fra l’altro con bellissimi ambienti come la Sala del trono, pone il problema del rapporto con lo stesso palazzo di Festo, e di una qualche interscambiabilità di funzioni. Qui sono stati rinvenuti oggetti particolarmente interessanti: il Vaso dei mietitorigremito di figure; il “rhyton” con scene atletiche, fra le quali, ancora una volta, il motivo dell’acrobata che volteggia su un toro; la coppa detta del giovane principe. Numerose le pitture, fra cui le più interessanti sono quelle che decorano un sarcofago e raffigurano, con vivaci colori, scene di processione e di sacrificio: per la precisione, su un lato una serie di sacerdotesse seguite da una suonatrice di cetra; sull’altro vediamo ancora una sacerdotessa che in questo caso sacrifica un toro.


Tornando ai palazzi veri e propri, ci avviamo alla conclusione (certo non ponendoci l’obiettivo della completezza) con Mallia, sulla costa settentrionale a est di Cnosso. Diciamo pure che è un palazzo “minore”, nel senso che ripete, con qualche semplificazione, soluzioni e planimetrie adottate nei palazzi più grandi. Anche qui troviamo una scala monumentale; e troviamo, inoltre, un tipo di apprestamento che negli altri non abbiamo rilevato, un “impluvium”. Inoltre è, fra i palazzi più noti, quello presso il quale si è riservata più attenzione alla città: si sono rinvenuti resti di case del periodo del II Palazzo e, forse, di un santuario, e soprattutto un muro di protezione verso il mare, raro esempio di struttura fortificata minoica.

Gurnià è sul golfo di Mirabello, su un pendio digradante verso il mare, ed è l’unico centro abitato di una qualche importanza che conosciamo lontano dai grandi palazzi: la massima fioritura è nel Tardo Minoico I. Le abitazioni sono a due piani sul pendio, con ingressi a due livelli diversi, e si adattano con andamenti curvilinei agli scoscendimenti del terreno. Anche qui però un palazzo è presente, di dimensioni non grandissime, ma tali da dominare comunque la scena. Al centro come al solito è un cortile, a sud il palazzo è raccordato all’abitato da uno spazio rettangolare che è stato paragonato a un’agorà (una piazza). Come nei palazzi maggiori, doveva essere però insediata qui una fabbrica di ceramica: i ritrovamenti sono numerosissimi, si tratta di splendidi esemplari policromi con soggetti soprattutto marini, che riempiono le superfici dei vasi con grande freschezza e libertà.


Ma in funzione di quale tipo di autorità erano costruiti i palazzi? Erano la sede dei numerosi re di Creta (il leggendario Minosse è il più noto, ma non dimentichiamo per esempio Rhadamanthys re di Festo, che era fra l’altro suo fratello: entrambi erano figli di Zeus e di Europa) e delle loro fastose corti; come è noto ogni centro, o “regno”, era indipendente dagli altri.


Disco di Festo (1700 a.C. circa); Iraklion, Museo archeologico.

Il re deteneva probabilmente tutti i poteri religiosi e legislativi, affiancato però da numerosi funzionari amministrativi dotati di prerogative e sigilli corrispondenti a ben precise cariche e funzioni. I sigilli costituiscono quindi una classe di materiale interessante, che ritroveremo anche nel mondo miceneo. Realizzati in creta (“cretule”), oppure in osso o steatite o avorio, sono a sezione triangolare o circolare: recano una piccola decorazione figurata molto semplice, poi una scrittura, prima geroglifica, poi in Lineare A, finché le scritture stesse non vengono eliminate a vantaggio di una decorazione figurata molto più varia di quella delle origini. Segnaliamo un sigillo d’oro rinvenuto proprio a Cnosso, ora all’Ashmolean Museum di Oxford, che del diffusissimo motivo della taurocatapsia presenta una delle raffigurazioni più brillanti. La donna doveva godere di una buona condizione, non tanto perché la Dea dei serpenti e altre statuine analoghe (raffigurazione di una Dea Madre?) hanno il seno nudo, e questo è indizio di libertà, ma in considerazione delle pacifiche condizioni di vita. I palazzi non hanno mura; non esistono raffigurazioni del re alla guerra, scene di battaglia o di caccia: non c’era insomma un eccesso di potere maschile. Da sottolineare infine che, in scene di processione e di sacrificio come quelle del sarcofago dipinto di Hagia Triada, protagoniste erano le sacerdotesse; e che le donne, oltre che alla vita religiosa, partecipano ai giochi (come la stessa taurocatapsia), alla caccia, alla vita pubblica in genere.

sarcofago (1400 a.C. circa), intero; Iraklion, Museo archeologico.


sarcofago (1400 a.C. circa), particolare del retro; Iraklion, Museo archeologico.

Le attività principali erano le officine, anche artistiche, il commercio, l’agricoltura, la caccia, la pesca: i commerci erano resi possibili dalla già ricordata padronanza dei mari, tanto che si è parlato di “talassocrazia”; si era anche introdotta una sorta di premoneta, i famosi lingotti di rame, che saranno in uso anche in età micenea. Ne mostriamo uno proveniente da Zakros (Creta); ne sono stati rinvenuti moltissimi altri, non solo a Creta ma un po’ ovunque nel Mediterraneo, da Ugarit alla costa anatolica, da Cipro alla Sardegna.

Vedremo che le tavolette in Lineare B mostreranno che almeno alcuni degli dèi micenei sono una prefigurazione di quelli greci. Lo stesso si potrebbe dire forse anche degli dèi cretesi: il fatto che la Lineare A non si possa leggere consiglia prudenza, ma certamente il fatto che la mitologia greca ponga proprio qui la nascita di Zeus potrebbe significare qualcosa.

Le manifestazioni di culto si svolgevano in grotte (come quella già citata di Kamares), in santuari all’aperto, sulle cime dei monti, ma anche in strutture appositamente costruite, come abbiamo visto all’interno dei palazzi. Avevano forse valore religioso taluni simboli che talvolta compaiono in raffigurazioni più o meno schematizzate: scudo bilobato, colonna sormontata da colomba, ascia bipenne. Di questo tipo di ascia, di varie fogge, esistono non solo raffigurazioni, ma anche numerosi esemplari reali: sull’uso e sul significato ci si è a lungo interrogati, e non si è raggiunta una certezza finale, ma sembra (anche a giudicare da alcune raffigurazioni, come quella nel sarcofago dipinto di Hagia Triada) che l’impiego fosse cerimoniale. Molti esemplari sono stati trovati in abitazioni o in tombe, il che fa pensare, in attesa di altre indagini, a riti appunto domestici o funerari.

A proposito di mondo funerario: le ultime fasi del Tardo Minoico sono quelle in cui si conoscono più numerose tombe e necropoli. Oltre alle sepolture a fossa, a pozzo e a camera “semplice”, si afferma la tipologia della tomba a camera con lungo “dromos” (corridoio), del tipo che vedremo esemplificato in maniera particolarmente monumentale nel Tesoro di Atreo a Micene.

lingotto da Zakros (1500-1450 a.C.); Iraklion, Museo archeologico. Malgrado le notevoli dimensioni e la singolare forma “a pelle di bue”, i lingotti di rame minoici e micenei avevano la funzione di “monete” di scambio, anche se le monete vere e proprie, come noi le intendiamo, secondo la tradizione saranno coniate per la prima volta da Creso, il ricchissimo re di Lidia, nel VI secolo a.C.


sigillo d’oro con “taurocatapsia” (XVI secolo a.C.); Oxford, Ashmolean Museum.


ascia bipenne ornamentale d’oro (1550 a.C. circa); Iraklion, Museo archeologico.

CRETA E MICENE
CRETA E MICENE
Sergio Rinaldi Tufi
Occuparsi di Creta e Micene significa affrontare le radici più remote della nostra civiltà. Nel cuore del Mediterraneo, nella seconda metà del terzo millennio a.C., un popolo di provenienza misteriosa fonda nell’isola di Creta un regno che conquista il dominio delle rotte commerciali. La sua cultura si basa su forme di scrittura evolute e dà vita a una forma di urbanizzazione intensiva, con palazzi magnificamente decorati. Circa mille anni più tardi, un popolo di guerrieri – gli Achei di Omero – si insedia nell’isola ed estende il suo raggio di azione alle coste greche continentali e alla Sicilia: è la civiltà micenea. Dopo due secoli di dominio incontrastato anche questa cultura scompare. Ma è da quelle ceneri che nascerà l’arte greca.