RAMMENDARE LE CITTÀ
E LE SUE PERIFERIE‌

Renzo Piano è senz’altro il più internazionale tra gli architetti italiani della sua generazione.

Se il Centre Pompidou di Parigi ne ha rivelato il talento, tra gli anni Ottanta e Novanta la Menil Collection a Houston, l’aeroporto internazionale Kansai a Osaka (1988-1994), la ricostruzione dell’area di Potsdamer Platz a Berlino e il Centro culturale a Nouméa ne hanno confermato la fama, sublimata nel decennio successivo dal grattacielo del “New York Times” a Manhattan (2000-2007), dalla California Academy of Sciences a San Francisco (2000-2008) e dalla Shard di Londra (2000- 2012), tra gli altri.


Tuttavia il legame tra Renzo Piano e l’Italia non si è mai spezzato. A Genova, a pochi chilometri da dove, nel 1966, aprì il suo primo studio, è presente una delle sedi del Renzo Piano Building Workshop, e lavora la Fondazione Renzo Piano incaricata della cura degli archivi, di promuovere esposizioni e pubblicazioni, e di avvicinare giovani e giovanissimi studenti al mestiere dell’architetto.


In diverse città italiane il Renzo Piano Building Workshop ha progettato il recupero di edifici industriali in disuso come la ristrutturazione del Lingotto di Torino (1983-2993) o la trasformazione del vecchio zuccherificio Eridania di Parma in auditorium Paganini (1996-2001) o recuperato a nuova centralità aree sfrangiate, come avvenuto nel quartiere Flaminio a Roma in seguito all’inaugurazione dell’auditorium Parco della musica (1994-2002).

L’Aquila. Auditorium del parco
Tra le esperienze recenti che Piano ha portato avanti nel tentativo di riattivare la carica pubblica di città, o parti di città, figura senz’altro il progetto dell’Auditorium del parco (2009-2012), costruito a L’Aquila in seguito al rovinoso terremoto del 2009. Oltre alle attività produttive e commerciali, il terremoto inferse un colpo mortale anche alle attività culturali del capoluogo abruzzese, e in particolare all’esercizio e all’ascolto della musica, estremamente vivace in città. Il sisma aveva infatti reso inagibili tutte le sale da concerto e gli auditorium. Consapevole di un tale pericolo, Claudio Abbado giunse in città nel giugno 2009 con l’orchestra Mozart da lui diretta, coinvolgendo giovani e talentuosi musicisti al fianco di riconosciuti virtuosi. Il maestro si convinse della necessità di costruire un nuovo auditorium, anche temporaneo, per non interrompere bruscamente la passione degli aquilani verso l’ascolto della musica. In cerca di un architetto, egli si rivolse subito a Renzo Piano, cui lo legava una solida stima reciproca da quando, entrambi studenti, si erano conosciuti a Milano nei primi anni Sessanta.

Schizzo dell’Auditorium del parco a L’Aquila (2009).

Piano accettò con entusiasmo la proposta di Abbado di progettare un auditorium temporaneo per L’Aquila. La costruzione del piccolo edificio fu resa possibile da un generoso contributo della Provincia autonoma di Trento al tempo presieduta da Lorenzo Dellai, che oltre a coprire i costi del cantiere offrì alla città dell’Aquila una cospicua fornitura di prezioso legno della val di Fiemme.


Piuttosto che costruire l’auditorium lontano dalla città, Piano scelse un’area immediatamente a ridosso del centro storico, allora transennato e quasi completamente inagibile. La leva culturale della musica e lo spazio del nuovo auditorium dovevano infatti promuovere la riappropriazione della città da parte degli aquilani, ed era dunque essenziale collocare l’edificio all’interno della città consolidata, e in prossimità delle altre poche attività economiche ancora attive. Si scelse dunque un’area alle pendici del Forte spagnolo, vicina alla piazza della Fontana Luminosa che, nei primi mesi dopo il terremoto, era uno dei pochi luoghi parzialmente agibili della città, animato da uno dei centri della Protezione civile e dall’unico bar ancora in attività.


Il nuovo auditorium si compone di tre volumi cubici connessi da esili passerelle in ferro, vetro e legno. Il poliedro maggiore, di circa diciannove metri di lato, sembra conficcarsi nel terreno con un angolo di trenta gradi e ospita la sala da concerti per quaranta orchestrali e duecentotrentotto spettatori. Le sedute interne si appoggiano alle pareti inclinate, così da catturare una visione ottimale del palcoscenico. I due cubi più piccoli, affiancati a destra e sinistra del maggiore, contengono i servizi al pubblico, gli impianti tecnici e i camerini degli artisti.

L’ingresso alla sala avviene attraversando i due cubi minori, e percorrendo le passerelle. Con la sola eccezione della soletta di fondazione in cemento armato della sala da musica che si regge su sedici pilastri in calcestruzzo dotati di isolatori elastomerici, la struttura architettonica si compone esclusivamente del legno donato dalla Provincia di Trento.


Il legno garantisce i più severi standard antisismici, e la possibilità di smontare completamente i tre cubi qualora, una volta risanata la sala da concerti all’interno del Forte spagnolo, si volesse collocare l’Auditorium del parco altrove. L’impiego sapiente delle celebri specie legnose della val di Fiemme configura l’arca della musica come una vera e propria cassa armonica, capace di restituire i suoni con l’eccellenza cristallina di un pregiato Stradivari. Ogni assicella è marcata da un precipuo colore, più tenue nelle porzioni mediane delle facce dei cubi, più vivido agli spigoli. Diverse tonalità di rosso, arancio, verde, viola, rosato, azzurro si sovrappongono l’una all’altra, creando un magico effetto di smaterializzazione che fa sì che i volumi si confondano fra gli alberi del parco. I volumi sembrano dissolversi, confondendosi otticamente nelle sfumature di verde, giallo e rosso degli alberi circostanti.


L’Auditorium del parco è stato inaugurato il 7 ottobre 2012, alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, con un concerto diretto proprio dal maestro Claudio Abbado. Nel corso degli anni la piccola costruzione ha travalicato la sua funzione originaria, ed è oggi vissuta come uno dei pochi luoghi pubblici della città dove si svolgono incontri, dibattiti e persino matrimoni.


Il successo del piccolo auditorium aquilano ha favorito probabilmente la decisione del presidente Napolitano di nominare, il 30 agosto 2013, Abbado e Piano come nuovi senatori a vita della Repubblica. Nell’accettare la nomina, Piano chiarì gli obiettivi e le linee di intervento che avrebbe percorso in questa inedita veste. L’architetto decise di devolvere interamente la remunerazione di senatore per assumere dei giovani architetti che, coadiuvati da tutor, avrebbero lavorato per un anno ciascuno a dei progetti per “rammendare” le periferie delle città italiane. Progetti di dimensione e budget ridotti, ma da perseguire attraverso il coinvolgimento diretto degli attori e delle comunità locali, per lasciare dei segni “leggeri” e discreti, e offrendo nuovi spazi di incontro e di formazione in aree spesso disagiate e sprovviste di spazi pubblici efficienti.

Roma. MA.MA Modulo per l’affettività e la maternità per il carcere di Rebibbia
Il gruppo di lavoro chiamato G124, perché operativo nella stanza 24 al primo piano di palazzo Giustiniani a Roma è attivo dal 2014, e negli anni ha prodotto progetti per aree periferiche di Roma, Catania, Torino, Milano, Porto Marghera, Siracusa, Padova, Modena, Sora e Palermo. Aree periferiche da intendere non solo nell’accezione geografica del termine, ma anche sociale, come mostrato nel recente progetto del Modulo per l’affettività e la maternità (2019) costruito nel carcere di Rebibbia a Roma, per opera dei giovani architetti Tommaso Marenaci, Marina Passeri e Attilio Mazzetto, sotto la supervisione di Renzo Piano e di Pisana Posocco, docente della Sapienza, Università di Roma.

Il piccolo modulo di ventotto metri quadrati, immediatamente individuato dalla iconica forma di casa con copertura a capanna colorata di rosso, comprende un ambiente interno provvisto di soggiorno, angolo cottura e zona pranzo.


Il modulo è poggiato in un’area verde all’interno della casa circondariale femminile del carcere, e serve come luogo di incontro tra le detenute e i loro familiari in visita. Uno spazio accogliente e intimo, che sostituisce le sale anonime e sorvegliate dove avvengono solitamente i colloqui. Un’architettura che ha il proposito di rompere, pur nella semplicità dei mezzi del piccolo edificio, quella cultura della colpa e dell’isolamento che contraddistingue molti penitenziari italiani.

G124 con la supervisione di Renzo Piano e Pisana Posocco, MA.MA Modulo per l’affettività e la maternità (2019); Roma, carcere di Rebibbia.


G124 con la supervisione di Renzo Piano e Pisana Posocco, MA.MA Modulo per l’affettività e la maternità (2019); Roma, carcere di Rebibbia.

Genova. Ponte Genova San Giorgio

L’attenzione che Renzo Piano ha dedicato nel tempo alle periferie è sicuramente motivata anche dal fatto che l’architetto genovese è persona di periferia. Nato nel sobborgo di Pegli, ha infine deciso di collocare la sua residenza e la sede italiana del suo ufficio nel Ponente genovese: la zona industriale e operaia del capoluogo ligure, caratterizzata dalla presenza delle acciaierie e dei cantieri navali.


Il tramite fisico e simbolico che collegava il centro di Genova al Ponente era il ponte Morandi (1960-1967), simbolo dell’ingegneria italiana, parzialmente crollato con tragiche conseguenze il 14 agosto 2018.


RPBW, ponte Genova San Giorgio (2018-2020); Genova.


schizzo del nuovo ponte Genova San Giorgio a Genova (2018).

RPBW, ponte Genova San Giorgio (2018-2020); Genova.


RPBW, ponte Genova San Giorgio (2018-2020); Genova.

Nel programma abbozzato da Renzo Piano, la costruzione di un nuovo ponte deve promuovere la rigenerazione urbana dell’intera vallata del Polcevera, occupata da un fascio di binari ferroviari da tempo in disuso. Il cosiddetto Parco del Polcevera e il Cerchio rosso, che verrà realizzato da un raggruppamento di progettisti capitanato dallo studio Stefano Boeri Architetti, vincitore del concorso, rappresenta un primo passo verso la riappropriazione dei genovesi di questa parte di periferia.

Il nuovo ponte lungo poco più di un chilometro è improntato a caratteri di essenzialità e solidità. Le diciannove campate che compongono l’impalcato sono sorrette, a quaranta metri di altezza, da diciotto pile in cemento armato a sezione ellittica. Le pile sono posizionate con un passo costante di cinquanta metri, a eccezione delle tre campate centrali che, attraversando il torrente Polcevera e le aree ferroviarie, hanno un passo di cento metri. La sezione strutturale e la forma dell’impalcato riprendono le esperienze che lo studio aveva compiuto per la costruzione del ponte di Ushibuka (1989-1996) che collega tre isole nell’arcipelago di Amakusa, in Giappone.

La sezione curva delle campate, realizzate in una struttura mista acciaio calcestruzzo, alta poco meno di cinque metri, si restringe verso le estremità, attenuando l’impatto visivo del nuovo ponte. Tutti gli altri elementi che collaborano alla struttura sono improntati alla massima trasparenza come le barriere protettive anticaduta e antivento, in vetro ed efficienza energetica, assicurata dai pannelli fotovoltaici che corrono lungo tutto il bordo dell’impalcato, assicurando l’energia necessaria per il funzionamento notturno e diurno dei sistemi di illuminazione e sicurezza.


La trama orizzontale del ponte è controbilanciata dalle antenne che, poste sull’asse centrale dell’impalcato, prolungano idealmente le pile verso il cielo. Lo sforzo congiunto dei circa mille operai e del personale tecnico, che hanno lavorato indefessamente per ventiquattr’ore ore su ventiquattro, ha permesso di ultimare il cantiere in pochi mesi, e inaugurare il nuovo ponte Genova San Giorgio il 3 agosto 2020.


RPBW, ponte Genova San Giorgio (2018-2020); Genova. Durante la cerimonia di inaugurazione del ponte Genova San Giorgio Renzo Piano ha affermato che «qui si è parlato di miracoli, ma lasciamo stare i miracoli. Ciò che è successo è che il paese ha mostrato la parte migliore di sé. Ci sono state grande competenza, grande energia, grande solidarietà. Questo è stato il più bel cantiere che abbia avuto in vita mia».

Conclusione

Dalle prime strutture sperimentali costruite alla periferia di Genova alla metà degli anni Sessanta, Renzo Piano e il Renzo Piano Building Workshop hanno poi lasciato il segno, negli ultimi decenni, nelle più importanti città europee ed americane, con escursioni nel Pacifico e nel continente africano, dove in Uganda si è da poco inaugurato il nuovo Centro di eccellenza in chirurgia pediatrica di Entebbe (2013-2021). In più di cinquant’anni di attività, Renzo Piano ha sperimentato l’architettura di fronte alle attese di luoghi e fruitori molto diversi tra loro, prendendo progressivamente coscienza delle sfide associate alla fragilità della Terra e alla sostenibilità ambientale. Tuttavia, al fondo, studiare la sua opera rivela la profonda permanenza dell’architettura, che resiste al trascorrere del tempo e al mutare delle società. Un mestiere che per Piano continua ad avere un carattere duplice e integrato: da una parte la sfida costruttiva, del maneggiare i materiali e comporli correttamente per assolvere alle funzioni richieste, e trascenderle poeticamente; dall’altra la cura verso lo spazio pubblico, cuore pulsante della città occidentale, luogo di incontro e di scambio, motore di educazione e di civiltà.

RENZO PIANO & RPBW
RENZO PIANO & RPBW
Lorenzo Ciccarelli