Oggetto misterioso

MAH… LA FINE
DI UN MONDO

Il volto femminile più antico che si conosca ha oltre ventimila anni. È la Dame de Brassempuoy, scoperta in Francia nel 1894, avorio fascinoso e minuscolo che ispirò nel 1926 un romanzo di fiction preistorica, illustrato da Pierre Bonnard. La protagonista ha un nome poco probabile: Mah.

Gloria Fossi

Qualche cinefilo ricorderà Love in the Afternoon (in Italia, Arianna), diretto da Billy Wilder nel 1957, con Audrey Hepburn e Gary Cooper. Il libro che lo ispirò era uscito a Parigi nel 1920. Autore: Claude Anet. Titolo: Ariane, jeune fille russe. Due anni dopo, il romanzo aveva venduto quarantaquattromila copie(1). Chi conosce, oggi, il suo autore? Forse qualche appassionato di tennis, visto che il vero nome di Anet è Jean Schöpfer, che nel 1892 vinse la seconda edizione degli Open di Francia, e si qualificò in finale l’anno successivo. Strano personaggio, Schöpfer. Lo pseudonimo, che conservò tutta la vita, lo aveva preso a prestito da una figura storica, rivale in amore di Jean-Jacques Rousseau. Questo già la dice lunga sulla sua cultura. Anet, chiamiamolo anche noi così, era nato nel 1868 in Svizzera da genitori francesi, e presto si era trasferito in Francia. All’epoca il mondo del tennis era molto diverso da quello di oggi, ma certo non c’è mai stato tennista, a parte lui, che abbia vinto il Roland-Garros, abbia avuto il tempo di laurearsi in filosofia alla Sorbona, studiare all’École du Louvre, per poi frequentare artisti come Bonnard, o pionieri delle ricerche preistoriche come l’abate Breuil e perfino uomini di scienza come Freud, con cui s’intrattenne a Vienna. Anet pubblicò saggi storici e di costume e romanzi di successo; fu tra i primi a viaggiare in auto in Persia e in Russia, e a scriverne. Non è certo lo scrittore più importante della sua epoca, ma ha un suo garbo, e una sua importanza per quella che oggi è nota come PF, acronimo di Prehistoric Fiction(2). Questo genere letterario ha le sue radici alla fine del XIX secolo, dopo la scoperta e lo studio dei primi manufatti artistici dell’umanità. Dico umanità in senso lato, perché concordo con la teoria che nella preistoria anche le donne possano aver fatto “arte”(3).

Perché il nome di Anet si lega a quella stupenda sculturina del Paleolitico, databile millennio più millennio meno, fra ventinovemila e ventitremila anni fa (forse venticinquemila), étoile indiscussa del museo francese di Saint- Germain-en-Laye?(4).

Sulla scoperta del manufatto in avorio di mammut e le interpretazioni più attendibili ho scritto nel mio ultimo libro, e non mi ripeterò, mentre qui vorrei parlare soprattutto dell’immaginario preistorico di Anet e di Bonnard.

Come sempre procedo dalla strada più lunga, ma arriveremo in fondo, forse con qualche sorpresa. Dunque, nel 1917 Anet pubblica La révolution russe (Parigi 1917). Intanto scrive di dipinti e miniature persiane (Feuilles persanes, Parigi 1924). Nel 1913 apre una galleria in rue Godot-de-Mauroy specializzata in tappeti, tessuti, miniature, ceramiche. Nel 1920 la sua collezione di miniature e manoscritti persiani e indopersiani va all’asta da Sotheby’s a Londra. Nel 1908 pubblica un saggio sull’amore dal punto di vista degli uomini (Notes sur l’amour). Il libriccino deve aver avuto successo, se nel 1922 l’autore lo ripubblica con le incisioni tratte da disegni realizzati appositamente da Pierre Bonnard (1867-1947), artista nabi e simbolista ancor oggi stimatissimo, a differenza del più giovane amico scrittore, morto nel 1931 e caduto nell’oblio. Sono disegni erotici, nello stile veloce e originale di Bonnard. Il legame fra autore e pittore non si esaurisce con quel libro, perché nel 1926 Bonnard schizza un minuscolo disegno a penna che servirà a illustrare un nuovo romanzo di Anet, questa volta a carattere preistorico, La fin d’un monde(5). Non si tratta di un libro distopico, o che tratta di una catastrofe imminente. Ispirato, forse anche con ironia, a un Rousseau all’acqua di rose, Anet illustra un mondo scomparso, e lo rievoca, mi pare, con una sorta di vaga nostalgia. Anche se si è a lungo documentato ed ha frequentato, assieme ad archeologi, le regioni della Francia sudoccidentale, terre di importanti ritrovamenti paleolitici, quella che descrive nel libro è una preistoria improbabile. Protagonista è una fanciulla che si orna con ghirlande di anemoni, quasi fosse in una tela di Botticelli; che si appresta a giochi nuziali, e incede con corpo sinuoso e sguardo incantevole, quasi facesse pubblicità a un profumo di Dior o a un prodotto biologico. La quindicenne Mah possiede «un naso lungo e sottile, sopracciglia dritte sugli occhi dalle iridi color delle foglie morte. Le guance, appena piene, dall’alto si assottigliano sino al mento fine e ben definito. I capelli castani, legati in ciocche regolari da una serie di fibre, coprono le spalle ancora fragili. Sa già come colorare con un po’ di ocra le belle labbra fresche. Il collo è elastico come quello di un cigno e gonfio come quello di un piccione. Ha un languore nel camminare che turba gli uomini»(6). Mah, nome, a dir poco, misterioso, segue il fratello Nô «quando si aggira per i rifugi. Si somigliano, del resto, lei che ha nel fascino ciò che lui ha nella forza»(7).



Claude Anet, La fin d’un monde, Parigi 1925, copertina e interno con l’incisione tratta da un disegno originale di Pierre Bonnard raffigurante la Dame de Brassempouy.


The Last World, locandina del film diretto da Harry O. Hoyt (Usa 1925), prima trasposizione cinematografica dall’omonimo romanzo di Conan Doyle, Londra 1912 .

Fino a qualche anno fa ignoravo il terreno scivoloso e impervio, è il caso di dire, della fiction preistorica, a parte l’avvincente romanzo di Conan Doyle (The Lost World, 1912), fra i primi del genere distopico sul “mondo perduto”, ispiratore di romanzi come quello di Michael Chrichton, che reca il medesimo titolo, e film come Jurassic Park di Spielberg.

Ho scoperto Anet e La fin d’un monde due anni fa, quando il disegno di Bonnard del 1926 (passato a un’asta nel 2015), fu esposto al Centre Pompidou, in una mostra epocale(8) che ha ricevuto pochi riscontri in Italia. Fra le centinaia di oggetti paleolitici confrontati con opere delle avanguardie del Novecento, mi colpì quel foglio, applicato su un supporto dorato. Il soggetto si riconosceva a prima vista: era con evidenza tratto dal vero, dalla cosiddetta Dame de di Brassempouy, o Signora col cappuccio, scoperta nel Sud Ovest della Francia nel 1894 e conservata al Musée d’Archéologie Nationale di Saint-Germain- en-Laye. Dalla vetrina dove si trova (da dove mai viene spostata), la fanciulla non ci guarda, né ci guarda nel foglio di Bonnard: non potrebbe, non ha occhi. Nel libro mi soffermo sulle questioni relative all’avorio e al suo anonimo artefice (a proposito, rilancio: e se fosse una donna?), e ai suoi misteriosi significati. Qui vorrei sottolineare il legame che lo lega alla Prehistoric Fiction, felicemente sviluppatasi, per esempio, con la fortunata saga fantasy Earth’s Children di Jean Marie Auel(9). Nata negli Stati Uniti nel 1936, anche Auel, come prima Anet, attribuisce ad Ayla, protagonista dei suoi romanzi, i lineamenti della Signora col cappuccio.

Se nella realtà la nostra sculturina avesse un nome, è difficile dire. Per certo, è tanto “attuale” da sembrare inverosimile, tanto più se vista dal vivo, come sappiamo fecero Anet e Bonnard. Anche per questo, per il suo modernissimo aspetto, è divenuta celebre, con tutti i misteri che si trascina dietro. E il libro di Anet? Forse non è una coincidenza che La fin d’un monde sia uscito un anno dopo il film diretto da Harry O. Hoyt, il primo tratto dal romanzo The Lost World di Conan Doyle. Come dire, benvenuti nel Paleolitico, dove i dinosauri del mondo perduto di Conan Doyle, il Giurassico, all’epoca di Mah, o signora col cappuccio che dir si voglia, erano scomparsi da milioni di anni. Milione più milione meno… E dire che la Storia, la nostra, ha cinquemila anni. Secolo più, secolo meno.