Grandi mostre. 5
Goya a Riehen/Basilea

STREGHE E DEMONI,
DONNE E SANTI

Enigmatico, trasgressivo, visionario, profondo conoscitore dell’animo umano, il maestro spagnolo ha dato ampio spazio alla sua vena creativa quando nel suo paese, in un’epoca segnata dagli orrori della guerra, censura e repressione osteggiavano la libertà.

Valeria Caldelli

Impeccabile pittore di corte e insieme visionario creatore di streghe e demoni, attento narratore di santi e storie religiose, ma anche cronista dei difficili anni in cui trascorse la sua lunga vita, dal dispotismo delle monarchie e dell’Inquisizione, all’invasione di Napoleone fino e oltre la restaurazione dei reali spagnoli. Per questo è stato l’ultimo dei vecchi maestri e il primo dei grandi artisti moderni. Un duplice volto, quello “ufficiale” e quello privato che hanno segnato una personalità enigmatica e insieme tracciato il passaggio da un’epoca artistica a quella successiva.

Lui, Francisco José Goya y Lucientes, nacque povero nel 1746 a Fuendetodos, un villaggio dell’Aragona, vicino a Saragozza, figlio di un modesto doratore. Nacque povero, ma morì ricco: pittore ufficiale di corte, confermato da ben quattro monarchi consecutivi, con l’importante “stipendio” di cinquantamila reali all’anno. Da sempre ambizioso e determinato a fare soldi, Goya aveva ottenuto quello che voleva: ricchezza, stato sociale e ammirazione. Cosa lo portò a lasciarci con le serie dei Capricci alcune delle immagini più scandalose e drammatiche che si siano mai viste, e cosa lo abbia indotto a ritrarre nei Disastri della guerra le peggiori crudeltà e la degradazione morale dei suoi contemporanei è un mistero fino a oggi mai risolto. Forse i conflitti di un’epoca turbolenta indirizzarono la sua immaginazione e il suo talento verso una cupa direzione, oppure fu la stessa malattia di cui soffriva (un probabile avvelenamento da piombo), che lo rese completamente sordo a quarantadue anni.

Una grande mostra alla Fondazione Beyeler di Riehen (Basilea) scorre in maniera cronologica l’intera, poliedrica, produzione di Goya, proponendoci insieme ai fasti della corte spagnola, agli sfarzi della nobiltà e dell’alta borghesia, anche gli orrori dell’esistenza umana e gli incubi della psiche. Settanta dipinti, cinquanta disegni e cinquanta incisioni, opere provenienti da collezioni pubbliche e private, molte delle quali raramente esposte, ripropongono gli enigmi del lavoro del maestro spagnolo, lavoro che con la sua ambiguità tra ragione e insensatezza ci appare oggi più attuale che mai. Spiega il curatore della mostra, Martin Schwander: «Autonomia e libertà della creatività individuale, rigorosamente difese contro i vincoli politici, religiosi e sociali, sono state il presupposto essenziale per la sua arte trasgressiva».

«Un’immagine dell’esistenza costantemente in bilico sull’orlo degli abissi», afferma il curatore della mostra


Certo, però, lo stesso Goya, per quanto autorevole, non poteva sfuggire all’occhio inclemente dell’Inquisizione, tanto che dovette frettolosamente ritirare i suoi Capricci dal negozio di profumi e liquori, al numero 1 di calle del Desengaño a Madrid, solo pochi giorni dopo averli consegnati per la vendita. E non si sognò nemmeno di pubblicare le ottanta stampe sui Disastri della guerra, che videro la luce solo dopo la sua morte. Se poi è vero che solo in età matura, superati i cinquant’anni, la sua mente cominciò a produrre le immagini satiriche e dannate dei Capricci, è altrettanto vero che in alcune sue opere giovanili, più colorate e apparentemente allegre, si trovano le premesse di quei caratteri grotteschi e mordaci che appariranno nelle incisioni successive.

L’esposizione mette l’accento sul Fantoccio, disegno realizzato in stile rococò per un arazzo destinato ai palazzi reali, dove una marionetta, lanciata in aria da quattro giovani donne, appare la vittima passiva (visibile in mostra l’olio conservato al museo del Prado). Scrive Martin Schwander nel catalogo: «Il motivo iconografico della caduta echeggia la metafora medievale della ruota della fortuna, un’immagine dell’esistenza costantemente in bilico sull’orlo degli abissi».

La presenza di forze demoniache, a volte nascoste dietro maschere e travestimenti, si incontra comunque a più riprese nell’opera di Goya, anche in quelle destinate al pubblico. Come nel Sabato delle streghe (La congrega), offerto al duca e alla duchessa di Osuna per la loro residenza estiva. Il diavolo ha qui la forma di un caprone, pronto a ricevere in sacrificio i bambini rapiti dalle streghe. Opera pubblica anche La processione dei flagellanti, dipinta nel 1808-1812 per la Real Academia de Bellas Artes de San Fernando di Madrid. Più volte la Chiesa, senza mai riuscirci, aveva cercato di impedire questo corteo pasquale di origini medievali, dove uomini e donne con il volto coperto sfilavano seminudi. Goya non ha bisogno della sua cupa immaginazione per farne una ripresa quasi cinematografica, ma ancora una volta permeata di mistero.

Non furono comunque soltanto i Capricci a suscitare l’attenzione e l’ira dell’Inquisizione. Pochi anni più tardi, tra il 1797 e il 1800, Goya dipinse la famosa Maja desnuda e subito dopo la Maja vestida, due dipinti commissionati da Manuel Godoy, influente e intrigante politico e diplomatico della corte spagnola nonché amante - si dice - della regina Maria Luisa di Parma, consorte di Carlo IV. Pur sapendo che in Spagna era proibito dipingere nudi, Goya accettò il rischio e quando, qualche anno dopo, il tribunale dell’Inquisizione confiscò il dipinto e convocò l’artista, lui riuscì comunque a farla franca. La Maja desnuda non ha lasciato il museo del Prado, mentre la Maja vestida, con il suo abito bianco semitrasparente che ne segna le forme, è in mostra alla Fondation Beyeler.

Con la parola “maja” nella Spagna del Settecento veniva indicata una ragazza del popolo, ma nessuno ha mai saputo chi fosse la donna dipinta nelle due famose tele che sfidarono l’ira dell’Inquisizione. Potrebbe trattarsi di un’amante di Godoy, Pepita Tudó. Oppure di María del Pilar Teresa Cayetana de Silva Álvarez de Toledo, la bellissima, eccentrica, capricciosa duchessa di Alba, di cui lo stesso Goya sembra sia stato amante e che, nelle sue bizzarrie, amava vestirsi da popolana e mescolarsi alla gente per le strade e nei mercati. La splendida nobildonna, con il suo vaporoso vestito bianco, stretto in vita da un’alta cintura rossa - il colore della passione - appare nell’esposizione di Basilea con la sua aria imperiosa. La lunga e riccia chioma nera adornata da un fiocco rosso ne incornicia il volto volitivo e severo, mentre con la mano destra indica la dedica del pittore. L’orgogliosa Cayetana è accompagnata in mostra da una lunga serie di ritratti, da Martin Zapater, grande amico dell’artista, allo stesso Godoy, dal re Carlo IV alla consorte Maria Luisa. I ritratti sono certamente una parte importante dell’opera di Goya che, grazie alla sua acuta capacità di penetrazione psicologica, riusciva a carpire la personalità e il carattere del soggetto. Penetrazione psicologica applicata anche a se stesso, attraverso un dialogo continuo che ha prodotto decine di autoritratti, di cui quaranta sopravvissuti e quattro in mostra.


Il fantoccio (1791-1792), Madrid, Museo Nacional del Prado.


Donna María del Pilar Teresa Cayetana de Silva Álvarez de Toledo, XIII duchessa di Alba (1795), Madrid, Fundación Casa de Alba, Palacio de Liria.

Con la parola “maja” nella Spagna del Settecento veniva indicata una ragazza del popolo


Certo, Goya non cerca mai di nascondersi, sia quando, settantenne, si dipinge stanco e piegato dalle sofferenze, sia quando, più giovane e orgoglioso, si mostra con giacca e cappello davanti al cavalletto. Di sicuro appare compiaciuto anche nella Famiglia dell’infante don Luis, dove si ritrae di profilo in basso a sinistra, con pennello e tavolozza, intento a guardare la scena che sta per ritrarre. Un atteggiamento solo superficialmente umile, sottolinea Andreas Beyer nel catalogo. In realtà, come un direttore d’orchestra, sta organizzando la scena e assegnando i ruoli. Illuminati dall’unica luce di una candela, i dodici componenti del gruppo si disinteressano uno dell’altro, a eccezione del parrucchiere, Santos Garcia, impegnato a pettinare la lunga capigliatura di Maria Teresa di Vallabriga. Solo le carte da gioco sul tavolo, davanti a don Luis, fratello del re e consorte di Maria Teresa, sembrano attirare l’interesse dei familiari. In fondo anche Goya sta giocando. «Non a carte, ma con le immagini», commenta Bodo Vischer nel catalogo. Da una parte con i personaggi, che “organizza” come in un palco di un teatro, dall’altra con chi lo aveva preceduto a corte: Velázquez e il suo Las meninas.


Correva l’anno 1783. L’età della ragione “illuminava” l’Europa. Goya non ne sarà mai conquistato e una parte importante della sua arte si baserà sempre di più sulle passioni e sulle emozioni. Ma se questo ne ha fatto un precursore del romanticismo, tuttavia pagherà con le incertezze il suo contributo al mondo in divenire. E una quindicina di anni dopo, nel suo Capriccio 43, in brutale contrasto con lo scrupoloso rigore di stile e di forma dei suoi ritratti, l’artista addormentato sarà preda di gufi, pipistrelli e altre spaventose creature dell’immaginazione. «Il sonno della ragione», ammonisce, «genera mostri». Ma lui fu il primo a non ascoltarsi. E mentre il mondo si popolava di luci e macchine a vapore, i suoi occhi continuarono fino alla morte a guardare l’uomo e i suoi istinti più bestiali.

Goya

a cura di Martin Schwander
Riehen/Basilea, Fondation Beyeler
fino al 23 gennaio 2022
orario 10-18, mercoledì 10-20
catalogo Hatje Cantz Verlag
www.fondationbeyeler.ch

ART E DOSSIER N. 393
ART E DOSSIER N. 393
DICEMBRE 2021
In questo numero: INIZIATORI (COMPRESI E INCOMPRESI: Savoldo veneziano; Faruffini rivoluzionario dolente; La copertina che inventò il progressive rock. IN MOSTRA: Koons e Saville a Firenze; Parr a Torino e a Roma; Sironi a Milano; Goya a Basilea. NELLE MANI DELLA MAFIA: Capolavori scomparsi.Direttore: Claudio Pescio