Gusto dell'arte

Nel Giorno
del Ringraziamento

Ludovica Sebregondi

Alla ricerca di preparazioni alimentari e prodotti che trovano nell'arte puntuali riferimenti, al di là di epoche, luoghi e tradizioni: il tacchino

Una donna sta spennando un’oca adagiata davanti a lei insieme a piccioni e anatre, mentre due maestosi tacchini sono appesi per le zampe. L’ambiente è scuro, ma ravvivato dalla fiamma sotto il pentolone contenente l’acqua bollente necessaria allo spiumaggio. Un’anfora, “stagnara” in Liguria, in argento, il cui manico è costituito da un’elaborata figura femminile, rappresenta un elemento aulico a indicare la cucina di una dimora aristocratica. I toni sono tutti giocati sul bianco e sul bruno e, a parte il fuoco, la collana di corallo al collo della giovane rappresenta l’unico elemento vivacemente colorato. Nonostante il titolo con cui il dipinto è noto dal 1908, La cuoca, la donna non riveste in cucina quel ruolo generalmente riservato agli uomini, e l’opera dovrebbe chiamarsi La fantesca, mansione che a lei si addice. Lo spiumaggio è, infatti, compito delicato, che non poteva essere svolto dagli sguatteri (la categoria più bassa dei lavoranti in cucina), ma era riservato alle fantesche – al pari dei garzoni sottoposti ai sottocuochi e al cuoco – poiché bisognava fare attenzione a non produrre lacerazioni sulla pelle del volatile, che avrebbero reso la cottura non uniforme. E non deve stupire il vezzo di corallo, dato che simili gioielli non erano riservati alle classi più abbienti.

Bernardo Strozzi (detto il Cappuccino, Campo Ligure o Genova 1582 - Venezia 1644) in questa scena di genere del 1625 circa, con la sua tipica pennellata materica, si ricollega alle raffigurazioni cinquecentesche di cucine dei fiamminghi quali Pieter Aertsen e Joachim Beuckelaer, ampiamente presenti nelle collezioni genovesi.

I tacchini erano diventati di gran moda da quando, dopo il 1520, Hernán Cortés li aveva importati dal Messico in Europa. Rabelais già nel 1534 li cita come «poules d’Inde», da cui deriva il francese “dinde” e il regionale - veneto, romagnolo e marchigiano - “dindo”. L’animale ebbe subito grande successo, e venne allevato per la bontà della carne che affiancò sulle tavole nobiliari quella del pavone, anche perché da cotto poteva essere elegantemente ripiumato, come di moda nei banchetti. 


Il tacchino riconduce in America, questa volta del Nord, dove, per il Giorno del Ringraziamento (“Thanksgiving Day”), è tradizione più che mai viva mangiarlo in famiglia cucinato intero. La festa ricorre negli Stati Uniti il quarto giovedì di novembre: fu forse voluta per la prima volta dai padri pellegrini nel 1623 in segno di gratitudine a conclusione dei raccolti dell’anno, e venne resa festività nazionale nel 1789 dal primo presidente George Washington.

Una delle visioni più popolari di questo rituale statunitense è offerto da Doris Emrick Lee (Aledo, Illinois 1905 - Clearwater, Florida 1983), apprezzata pittrice al tempo della Grande depressione. Il suo dipinto Ringraziamento, del 1935, è un modello di vita domestica che si svolge tra la cucina e la sala da pranzo di una casa rurale in cui tutto sprigiona intimità e allegria, con i vetri appannati a suggerire il tepore dell’interno in contrasto con il freddo novembrino. Quattro donne, i cui abiti sono protetti da grembiuli, sono impegnate nell’ambiente dominato da una grande “wood-burning stove” (quella che in Italia veniva chiamata cucina economica, in uso fino agli anni Sessanta del secolo scorso), entrata nelle case da metà Ottocento grazie ai nuovi sistemi di lavorazione della ghisa.

La padrona di casa ha aperto lo sportello principale per controllare la cottura del grande tacchino fumante, e il cane si è accucciato per approfittare del calore. Il gatto prende un boccone porto da una bambina in piedi su uno sgabello, mentre una donna sta stendendo la pasta per l’altro piatto immancabile in occasione del ringraziamento: la “pumpkin pie”, la torta di zucca.

C’è chi prende i piatti dalla credenza e chi prepara la tavola nella sala da pranzo, mentre quella che sembra la zia nubile - segaligna, occhialuta, bonaria e con l’abito accollato, contrariamente a chi mette in vista il décolleté - torna con le provviste in un cestino e porge una bottiglia di latte. La famiglia è numerosa, e su un seggiolone si agitano due irrequieti gemelli. Sono arrivati anche i parenti di città, con la signora in pelliccia compresa della sua eleganza che si sta togliendo l’elaborato cappellino e il figlioletto incravattato, con l’espressione felice ed eccitata che hanno i bambini in previsione di una festa.


Bernardo Strozzi, detto il Capuccino, La cuoca (1625 circa), Genova, Musei di Strada Nuova, Museo di Palazzo rosso.

Antonio Sant'Elia, Progetto per la nuova stazione di Milano (1914), collezione privata.


Le Corbusier, Le modulor (1950).

Accanto ai libri, brevi film che è possibile vedere attraverso alcuni monitor che, per scelta, hanno la forma primordiale delle prime scatole magiche, attraverso le quali abbiamo imparato che è possibile sognare “altre città”, stando seduti nei nostri piccoli salotti.

Negli anni Sessanta irrompono sulla scena urbana le contestazioni californiane dei “figli dei fiori” e delle utopie marcusiane, ed ecco allora apparire sulle pareti museali, come se fossero muri di una città immaginaria, i documenti dell’epoca, in particolare le rarissime locandine di Victor Moscoso, tra le quali quella dedicata al famoso concerto dei Doors il 3 marzo 1967 a San Francisco.

Durante quasi due anni di preparazione della mostra, i curatori hanno messo in atto, dal punto di vista dell’indagine teorica, alcuni aspetti del modello culturale dell’Istituto di Warburg, alla luce anche di recenti riflessioni di Salvatore Settis a proposito «della storia dell’arte come comparazione antropologica, la mescolanza tra “Alto e Basso” nella storia delle immagini e lo scambio in due sensi fra il lavoro degli artisti e quello degli storici dell’arte». In relazione a tale ipotesi di lavoro, questo progetto forse non è solo una mostra ma una ricerca, ancora in atto, che, utilizzando unicamente materiali originali, vorrebbe essere terreno di esercizio per la professione di una sorta di archeologo contemporaneo che, al di là dell’evidenza e della “prepotenza” dei linguaggi visivi che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, cerca di andare oltre la superficie per ritrovare, comunque, una mappa di orientamento che non ci faccia perdere né la memoria né il desiderio di un futuro diverso.

Come note a margine, una serie di disegni, realizzati appositamente per la mostra da Rota, e alcune testimonianze, riprese in diretta da Eleonora Mastropietro (documentarista, geografa e ricercatrice all’Università degli studi di Milano) e Daniele Ietri (geografo, economista e professore ordinario alla Libera Università di Bolzano), che documentano il metodo di lavoro che ha portato a questa “architettura” che a sua volta raccoglie e riunisce tutte le architetture urbane possibili dell’ultimo secolo e mezzo, con al centro un rarissimo disegno di Antonio Sant’Elia del 1914, Progetto per la nuova stazione di Milano. Per una possibile nuova ermeneutica della città.


Herbert Bayer, Walter Gropius, Ise Gropius, Bauhaus 1919-1928 (1938).


Marco Petrus, Interno (Milano) (1997), Melbourne, collezione Merlatti.

Pianeta città. Arti cinema musica design
nella collezione Rota 1900-2021

a cura di Paolo Bolpagni,
Aldo Colonetti e Italo Rota
Lucca, Fondazione Ragghianti
fino al 24 ottobre
catalogo Fondazione Cassa
di risparmio di Lucca
www.fondazioneragghianti.it

ART E DOSSIER N. 392
ART E DOSSIER N. 392
NOVEMBRE 2021
In questo numero: SCOPERTE: Il Museo Atestino di Este; Palazzo Butera a Palermo. VISIONARI: Arturo Schwarz, intuito e anarchia; Paolo Gioli, alchimie su pellicola; I poster giocosi di Yokoo; l'ordinario fiabesco di Edita Broglio. IN MOSTRA: Miró a Mamiano di Traversetolo; O'Keeffe a Parigi; Dante e Napoleone a Brescia; Grand Tour a Milano; De Lonhy a Torino.Direttore: Claudio Pescio.