Studi e riscoperte
Pietro Piffetti

L’EBANISTA
E IL SUO MAESTRO

Le recenti ricerche sullo straordinario ebanista del settecento hanno permesso di far luce sulla sua formazione giovanile, completata a Roma prima del rientro dell'artista a Torino alla corte sabauda. Una fase fondamentale per comprendere appieno le sue abilità tecniche e per conoscere l'identità del suo maestro.

Claudio Cagliero

Il torinese Pietro Piffetti (1701-1777) è annoverato tra i più grandi ebanisti di tutti i tempi. Nonostante negli ultimi decenni la ricostruzione biografica e professionale del geniale artigiano sabaudo avesse compiuto dei sostanziali avanzamenti, rimaneva ancora avvolto nel mistero un momento fondamentale della sua carriera, ossia la formazione giovanile.

Un documento del 1763 certifica che il suo apprendistato si è svolto a Torino e numerose indicazioni ci orientano con decisione verso la bottega del maestro veneziano Ludovico De Rossi (nato nel 1674 circa e del quale si hanno notizie fino al 1727). Tuttavia, la prima traccia documentale della sua attività di ebanista è costituita da un noto scambio epistolare tra il marchese Ferrero d’Ormea e il conte Armano di Grosso, nel quale si parla di un Piffetti ormai trentenne che viene richiamato in patria da Carlo Emanuele III di Savoia per assumere la carica di “regio ebanista”. È quindi comprensibile che l’attenzione degli studiosi sia da sempre rivolta al soggiorno romano di Piffetti, dal quale il talento piemontese è tornato trasformato in autentico artista: riconoscere la bottega presso la quale aveva perfezionato la sua tecnica rappresentava dunque il vero nodo da sciogliere.

Finalmente è stato possibile individuare il suo maestro nella Città eterna: si tratta di Richard Lebrun, un francese spesso indicato nei documenti con il nome italianizzato di Riccardo Bruni. Chi era costui? Non certo un Carneade, almeno non per i suoi contemporanei: l’indagine sugli esordi professionali di Piffetti ha fornito gli elementi per tracciare una prima biografia di questo artefice e riunire un “corpus” di opere riconducibili alla mano di un intarsiatore che deve ottenere il riconoscimento che merita nel panorama ebanistico internazionale.

PIFFETTI AVEVA PERFEZIONATO LA SUA TECNICA PRESSO LA BOTTEGA DEL FRANCESE RICHARD LEBRUN


Nato a Parigi intorno al 1659, Lebrun era giunto in Toscana tra il 1683 e il 1684, e alla corte dei Medici aveva subito conquistato il favore del gran principe Ferdinando, raffinato ed esigente mecenate. Proprio per l’erede al trono del granducato di Toscana, nel 1686 Lebrun aveva realizzato due tavoli di eccezionale fattura attualmente conservati presso la villa medicea La Petraia a Firenze: secondo Alvar González-Palacios, forse il più noto esperto di arti decorative del mondo, questi tavoli sono resi con una maestria insuperata nel mobile europeo del periodo.

L’ebanista transalpino li ha realizzati quando aveva solamente ventisette anni, ma evidentemente era già in grado di competere con i migliori intarsiatori del Vecchio continente. È un’affermazione che non deve sorprendere: tutto lascia supporre che nella sua città natale Lebrun abbia lavorato presso l’atelier del celebre André-Charles Boulle, ebanista del re di Francia.

Il gran principe Ferdinando nutriva un’enorme stima nei suoi confronti. Lo testimonia la lettera da lui indirizzata nel 1689 al duca di Mantova, nella quale manifestava il suo apprezzamento per «l’abilità singolare et il buon gusto nei lavori di tarsia» dimostrati da Richard Lebrun, qualità che «hanno sempre dato motivo di riguardarlo con distinzione »: con queste parole lusinghiere il figlio primogenito di Cosimo III presentava a Ferdinando Carlo Gonzaga l’ebanista «natio di Parigi», in procinto di partire per la città virgiliana. D’altra parte Lebrun non lavorava in esclusiva per la corte medicea: l’ebanista parigino, documentato anche a Lucca e a Pisa, dal 1725 era attivo a Roma con una bottega presso la quale Pietro Piffetti avrebbe poi completato il suo tirocinio insieme al più giovane collega Pierre Daneau.

Le opere note eseguite dai tre ebanisti in questo periodo attingono a una comune fonte iconografica, l’opera dell’ornatista Jean Bérain dal titolo Ornemens de peinture et de sculpture qui sont dans la Galerie d’Apollon, au Chasteau du Louvre, et dans le grand Appartement du Roy, au Palais des Tuilleries.

Trattando questo argomento, è importante segnalare che Richard Lebrun era lo zio di Giovanni Domenico Campiglia, divenuto famoso a livello europeo operando come disegnatore per incisioni tra Firenze e Roma: la vicinanza al mondo degli incisori e degli stampatori che gravitavano attorno a questo illustre personaggio spiegherebbe la vasta cultura letteraria di Piffetti, formatasi appunto in questa fase della sua vita.

Dietro il soggiorno nell’Urbe dell’astro nascente dell’ebanisteria piemontese si percepisce comunque l’attenta regìa di Filippo Juvarra, che conosceva molto bene l’ambiente romano. Infatti è proprio nella città capitolina che gli artisti nell’orbita di casa Savoia andavano a perfezionarsi sotto la guida di maestri attentamente selezionati: un caso paradigmatico è quello del pittore Claudio Francesco Beaumont, per il quale l’architetto messinese aveva scelto come maestro il veneto Francesco Trevisani.

A ogni modo, si potrebbe ritenere che la nomina ufficiale alla carica di regio ebanista sia l’atto che sancisce la conclusione del percorso formativo di Pietro Piffetti.

L’analisi dell’allestimento del pregadio del re nel Palazzo reale di Torino, realizzato congiuntamente da Luigi Prinotto (1685 circa - 1780) e dall’allievo di Richard Lebrun, sembrerebbe invece testimoniare in maniera inequivocabile che Juvarra avrebbe affiancato il più esperto tra gli ebanisti piemontesi a un artefice straordinariamente dotato, ma che in fin dei conti aveva appena completato il suo iter di perfezionamento. Per Piffetti questo incarico condiviso avrebbe rappresentato un’ottima occasione per accrescere ulteriormente le proprie competenze: non a caso le ricerche più aggiornate ci restituiscono chiaramente l’immagine di un Prinotto la cui preparazione tecnico-culturale andava ben al di là dei limiti entro i quali un tempo si credeva fosse confinata.

Questo è solo un altro tassello che si va ad aggiungere a quanto già sapevamo su Pietro Piffetti, ma le ricerche sono tutt’altro che concluse: l’ebanista di Carlo Emanuele III era un personaggio poliedrico e c’è da scommettere che regalerà ancora molte sorprese.

Le informazioni contenute in questo articolo sono tratte da C. Cagliero, La formazione giovanile di Pietro Piffetti, Regio Ebanista alla corte dei Savoia, Ivrea (Torino) 2020.


Richard Lebrun con Pietro Piffetti, tavolo parietale (1730 circa), Londra, Victoria and Albert Museum.

Richard Lebrun, piano di tavolo (uno di una coppia, 1686), particolare, Firenze, villa medicea La Petraia.

ART E DOSSIER N. 392
ART E DOSSIER N. 392
NOVEMBRE 2021
In questo numero: SCOPERTE: Il Museo Atestino di Este; Palazzo Butera a Palermo. VISIONARI: Arturo Schwarz, intuito e anarchia; Paolo Gioli, alchimie su pellicola; I poster giocosi di Yokoo; l'ordinario fiabesco di Edita Broglio. IN MOSTRA: Miró a Mamiano di Traversetolo; O'Keeffe a Parigi; Dante e Napoleone a Brescia; Grand Tour a Milano; De Lonhy a Torino.Direttore: Claudio Pescio.