Outsiders

LA POP ART 
NASCE DA UN KIMONO

Alfredo Accatino

Un viaggio alternativo nell’arte del Novecento, alla scoperta di grandi artisti, opere e storie spesso dimenticate: Tadanori Yokoo

La storia dell’arte è fatta di connessioni, tanto che Duchamp, Marinetti, Picasso, Caravaggio, Giotto possono essere considerati, a tutti gli effetti, casellanti con funzione di manovratore. Così, se doveste tracciare una linea che unisce idealmente Katsushika Hokusai, «il vecchio pazzo per la pittura», ad Haruki Murakami, il più acclamato artista giapponese contemporaneo, troverete che il nodo di scambio ha sede nella fantasmagorica Pop Art di Tadanori Yokoo, un mito vivente in Giappone, poco conosciuto da noi.

Se Hokusai aveva infatti inventato l’arte riproducibile, centosettanta anni prima di Andy Warhol e, con la serie Manga, rotto il diaframma che divideva arte alta e arte popolare, Yokoo, partendo anche lui dalla grafica, ha fondato le basi di una nuova visione dell’arte nipponica nella sua contaminazione con il consumismo. Un approccio psichedelico dal quale Murakami ha poi derivato il suo stile “Superflat”.

La cosa che non ci si aspetta è il fatto che tutta la produzione di Yokoo affondi nella sua memoria di ragazzo, nel “kitsch” delle creazioni grafiche post-belliche, e, come vedrete, nella tradizione del “kimono”.

Nato nel 1936 a Nishiwaki, nella prefettura di Hyogo, per una complessa situazione famigliare Tadanori viene adottato da parenti, un’adorabile coppia di anziani che gestisce un’azienda per la creazione di tessuti per kimono. Disegnatore appassionato sin da bambino, inizia a replicare i disegni delle stoffe, soprattutto quelle delle etichette, che la ditta produce per conto terzi e che dopo la guerra miscelano motivi occidentali e giapponesi.

Viene attratto dal mondo dei fumetti e delle carte da gioco Menko, quasi sempre tonde, che ogni bambino possiede e scambia al pari delle nostre figurine Panini, e che riflettevano la cultura popolare: ninja, samurai, ma anche stelle del cinema, campioni di baseball e, infine, mostri spaziali.

Diventa grafico quasi senza rendersene conto, e inizia a collaborare giovanissimo con testate giornalistiche, tanto che a ventun anni è già in grado di sposarsi e di trasferirsi a Tokyo, nel 1960, città dove ancora oggi opera.

Sono anni nei quali il modernismo la fa da padrone. Ma invece di seguire il mantra della semplicità e della funzionalità, Yokoo introduce nei suoi manifesti tutti gli elementi grafici di cui si era nutrito nella sua infanzia. Diventa un virtuoso del poster, la nuova tecnica che entra nelle case di tutti, soprattutto i giovanissimi, e alla mostra del gruppo Persona del 1965 nei grandi magazzini Matsuya Ginza a Tokyo presenta un’opera simbolo: un uomo appeso a un cappio con la frase «Avendo raggiunto l’apice all’età di ventinove anni, ero morto». Il poster ribalta il tradizionale vessillo giapponese del sole nascente, dimostrando che la creatività può rompere ogni regola.

Un approccio che gli fa guadagnare l’apprezzamento dei circoli d’avanguardia giapponesi, tra cui quello del regista Nagisa Oshima, e del drammaturgo Shuji Terayama, per il quale realizzerà i manifesti teatrali.

In maniera del tutto naturale crea una arte pop originale e giapponese che sbalordisce, che viene capita da chiunque, e che sarà apprezzata anche all’estero, tanto da ricevere l’invito a tenere una mostra personale al MoMA di New York nel 1972 a soli trentasei anni. Prima volta per un graphic designer vivente.

Quando è ormai al culmine della sua carriera, dieci anni dopo, sorprende ancora una volta i suoi fans, facendo quella che si può definire una “dichiarazione di pittore”, annunciando di volersi dedicare a quel linguaggio espressivo per cambiare l’arte dal di dentro, avvicinandosi all’astrattismo e al surrealismo.

Intriso di cultura commerciale, non rinnega nulla, realizza numerosi progetti per “brand” di moda, collaborando con Swatch, con l’azienda di scarpe UGG® e con lo stilista Issey Miyake.

Ora che ha settantacinque anni e alle spalle una grande istituzione come lo Yokoo Tadanori Museum of Contemporary Art non ha ancora smesso di divertirsi, e di stupirsi, come quando era bambino.


Takarazuka, Grand Revue (1966).


Made in Japan, Tadanori Yokoo, Having Reached a Climax at the Age of 29, I Was Dead (1965).

ART E DOSSIER N. 392
ART E DOSSIER N. 392
NOVEMBRE 2021
In questo numero: SCOPERTE: Il Museo Atestino di Este; Palazzo Butera a Palermo. VISIONARI: Arturo Schwarz, intuito e anarchia; Paolo Gioli, alchimie su pellicola; I poster giocosi di Yokoo; l'ordinario fiabesco di Edita Broglio. IN MOSTRA: Miró a Mamiano di Traversetolo; O'Keeffe a Parigi; Dante e Napoleone a Brescia; Grand Tour a Milano; De Lonhy a Torino.Direttore: Claudio Pescio.