XX secolo. 1
Arturo Schwarz

La voce
della libertà

Storico dell’arte, collezionista, saggista, editore, scomparso pochi mesi fa, tra i più grandi esperti di surrealismo e dadaismo

Jean Blanchaert

«Alla domanda cosa resta del surrealismo oggi, risponderei: tutto… non ho in mente l’arte o la poesia, il cinema o il teatro, la fotografia o la scrittura. Penso a una filosofia di vita, a uno stato d’animo, a una morale, a una purezza, a un bisogno di libertà»(1)


Ecco come Arturo Schwarz, quasi inavvertitamente, delinea con istantanea chiarezza e precisione il suo stesso ritratto. Tutto ciò che avviene nella sua vita operosa si può datare dal materializzarsi al suo orizzonte di tre stelle polari: l’anarchia, il surrealismo e l’alchimia che in lui si fondono nel concetto unificante di amore da cui tutto inizia.

Arturo Schwarz nasce ad Alessandria d’Egitto il 3 febbraio 1924, in una famiglia ebraica. La madre, Marilena Vitta è italiana, di Milano. Il padre, ingegnere-inventore di Düsseldorf, taglia i ponti con la Germania nel 1933 con l’ascesa di Hitler al potere e impone al figlio di non usare mai più la lingua tedesca. Arturo scoprì, ancora adolescente, il pensiero del giovane Trotskij, teorico della rivoluzione permanente. Nel 1938, con tre amici, dopo avere letto La rivoluzione tradita fondò la Quarta Internazionale egiziana. Nel gennaio del 1947 venne arrestato per attività sovversive dalla polizia politica di re Farouk, incarcerato, torturato, condannato all’impiccagione. Nel giugno 1949, in seguito agli accordi del cessate il fuoco tra Egitto e Israele, Schwarz venne liberato, in quanto ebreo, ed espulso dall’Egitto, senza mezzi, soltanto coi vestiti addosso. Mentre l’accompagnavano al porto d’imbarco per l’Italia, le guardie, per puro sadismo, gli fecero credere che stesse andando al patibolo ed eseguirono i riti preparatori all’impiccagione. Arturo Schwarz porterà sempre, come un marchio a fuoco, nell’ani- ma, l’eternità di quel brevissimo ultimo minuto che anche Dostoevskij aveva vissuto e descritto.

Venne imbarcato su una nave che lo portò a Genova. Da qui prese subito il treno per Milano. Fra lui e la città lombarda fu colpo di fulmine. Trovò subito lavoro e, appena ebbe due giorni liberi, andò a Parigi per conoscere André Breton di cui rimase amico per tutta la vita.

Nel 1952 avviò un’attività editoriale che avrebbe chiuso per mancanza di fondi nel 1959. Dal 1954, nella libreria che nel 1960 trasformò in galleria, nella più totale solitudine, ebbe l’intuizione di collezionare ed esporre il surrealismo e il dadaismo che in quel momento nessuno voleva. Si recò a Parigi alle aste dell’Hôtel Drouot anche dieci volte l’anno. Ritornava in treno con le valigie piene di incisioni e di disegni degli amici surrealisti e dadaisti. In breve, ridette vita a Picabia riscattandolo dall’oblio, convinse Duchamp a produrre ancora e, d’accordo con lui, fece eseguire copie perfette con doppia datazione dei suoi “ready-made” andati perduti.

Su Marcel Duchamp ha prodotto uno studio monumentale, culminato nel catalogo ragionato dell’opera dell’artista. «Con l’edizione di Arturo Schwarz del 1964», racconta il gallerista Gino Di Maggio, «i “ready-made” assumono la valenza teorica che giustamente li trasforma nelle opere d’arte più emblematiche del XX secolo». «La sua casa», racconta Enrico Regazzoni, «era un impressionante tabernacolo della grande arte contemporanea»(2).

Nel tempo, accumulò un ingente patrimonio di opere che decise di donare al Museo d’Israele a Gerusalemme, al Museo d’arte di Tel Aviv e alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma. «Sono anarchico [...] anarchia non vuole dire disordine ma indica un ordine superiore. Ritengo, come Proudhon, che la proprietà sia un furto»(3).

Nel 1975, dopo ventun anni di attività e centotrentasette mostre (spesso novità in Italia) di artisti come Marcel Duchamp, Max Ernst, Francis Picabia, Magritte, Alberto Martini, Richter, Victor Brauner, Meret Oppenheim, Hans Arp, Man Ray, Gonˇcarova, Larionov, Baj, Dangelo, Del Pezzo, Manzoni, Fontana, Crippa, Gruppo Cobra, Arman, César, Spoerri, Dufrêne, Rotella, Jacques Villeglé, Alik Cavaliere e Spagnulo, a cinquantuno anni Schwarz decide di chiudere la galleria.

Da questo momento e per quasi mezzo secolo, si dedicò allo studio, alla scrittura, ai viaggi, all’insegnamento e all’attività di conferenziere che lo portò in giro per il mondo. Arturo Schwarz era molto selettivo nelle amicizie. A Milano, c’erano Paride Accetti e Guido Rossi, suoi collezionisti e, nel mondo dell’arte, Gabriele e Bianca Mazzotta coi quali organizzò la mostra I surrealisti, a Palazzo reale, a Milano, nel 1989.

E poi, Gino Di Maggio, editore con Mudima dell’incredibile libro Arturo Schwarz. La Galleria 1954-1975 di seicentocinquantatre pagine. Il volume uscì in contemporanea con la mostra a cura di Ariella Giulivi e Raffaella Trani, nel 1995. Sia per Palazzo reale sia per la Fondazione Mudima si è trattato di mostre indimenticabili.

ART E DOSSIER N. 392
ART E DOSSIER N. 392
NOVEMBRE 2021
In questo numero: SCOPERTE: Il Museo Atestino di Este; Palazzo Butera a Palermo. VISIONARI: Arturo Schwarz, intuito e anarchia; Paolo Gioli, alchimie su pellicola; I poster giocosi di Yokoo; l'ordinario fiabesco di Edita Broglio. IN MOSTRA: Miró a Mamiano di Traversetolo; O'Keeffe a Parigi; Dante e Napoleone a Brescia; Grand Tour a Milano; De Lonhy a Torino.Direttore: Claudio Pescio.