È necessario avere coraggio per entrare nel labirinto di Cnosso e in tutte le sue metafore. Non mi riferisco a Teseo. Immagino che ne serva molto di più per starci dentro a lungo, come il Minotauro, vivendolo dalla nascita. Il labirinto(1) è al contempo una condizione di esistenza, un percorso iniziatico, un mitologema, un progetto di sopravvivenza. È anche una modalità di proiezione simbolica, uno schema di autorappresentazione, un modello astratto della congetturalità, e molto altro ancora, forse una struttura in continua metamorfosi, dove si entra per trovare qualcosa, per risolvere un imprevisto o un problema, prima di cercare una via d’uscita. A prescindere da ciò che evoca e simboleggia ogni percorso tortuoso, viscerale, il dedalo rimanda all’esperienza che coniuga o allinea o rimescola azioni reiterabili: cercarsi, perdersi, ritrovarsi, riperdersi, ricercarsi. Va da sé che queste azioni comprendano tutti i rimandi archetipici, presenti nelle discipline storico-religiose, magico-culturali, storico-letterarie, filosofiche, archeologiche, linguistiche, iconologiche.
Le storie del labirinto e del Minotauro sono note a tutti, familiari forse ancor prima che le sentissimo narrare dall’antichità fino a ora perché sono dentro di noi. Queste poche righe in un breve excursus cercano di riattivare di nuovo, per l’ennesima volta, un racconto, in una struttura che è simile a quella della nostra mente.