Grandi mostre. 3
Tina Modotti a Milano

rinascimento
messicano

Al Mudec, l’esposizione dedicata a Tina Modotti si concentra soprattutto sul periodo messicano, dando risalto al lavoro che la fotografa, militante comunista, ha svolto in nome della libertà.

Francesca Orsi

Parlando di Tina Modotti (Assunta Adelaide Luigia Modotti Mondini, Udine 1896 - Città del Messico 1942) esiste un “prima di Edward Weston” e un “dopo Edward Weston”, oltre a un “prima del Messico” e un “dopo il Messico”. Queste due coordinate temporali ed esistenziali, che a tratti si confusero e fusero insieme, hanno modificato totalmente la sua vita, privata e artistica. Weston e il Messico definirono ampiamente ciò che la fotografa di Udine diventò, dal punto di vista fotografico e soprattutto identitario. Dal 1921 il fotografo americano iniziò a essere per lei, allora attrice di teatro e cinema, maestro, amante, amico e confidente. Sotto la sua guida, Tina Modotti sarà in Messico nel luglio del 1923, cavalcando l’onda del fermento culturale, artistico e politico postrivoluzionario, il Rinascimento messicano. Lì imparerà a intendere la fotografia come unico “medium” adatto a interpretare la sua sincera tensione verso un equilibrio tra arte e vita, una ricerca che l’avrebbe fatta vivere in un costante conflitto interiore, «la mia tragicommedia» come diceva lei.

Fotografando il paesaggio messicano, la sua luce, la sua natura, le sue architetture e in particolar modo la sua palpitante vita politica e sociale, Modotti avrebbe trovato l’agognata sintesi tra vita e forme, «la vita che cambia continuamente e la forma che la fissa immutabile»(1). In Messico fonde, così, la sua estetica e la sua ricerca fotografica con il suo personale coinvolgimento politico e sociale, fino a diventare in tutto e per tutto un’attivista, anche tramite la sua macchina fotografica. Nel 1926 si iscrive, infatti, al Partito comunista messicano, oltre a partecipare alle attività della Lega antimperialista: per questo motivo i suoi Contadini che leggono “El Machete” (Messico, 1927) diventano manifesto non solo della sua poetica ma anche portatori di ideologie politiche e sociali da diffondere. In questo modo, la sua fotografia si carica di una voce ideologica e simbolica che la rende a tutti gli effetti propagandistica.

Esposta al Mudec - Museo delle culture di Milano, fino al 7 novembre, la mostra Tina Modotti. Donne, Messico e libertà si sofferma particolarmente sugli anni messicani (1923-1930) della fotografa di origini italiane, mettendo in luce la mutevole relazione tra linguaggio fotografico e la sua adesione alla “causa comunista”. Inoltre, l’esposizione riserva uno sguardo speciale anche alla produzione fotografica del suo periodo a Berlino (1930), dopo essere stata cacciata dal Messico come “straniera pericolosa”.

Il Messico, la sua primordialità e carnalità vengono introdotti come elementi persistenti nelle sue immagini


Quando Tina Modotti arriva in Messico, tesa ad apprendere tutto il possibile del linguaggio fotografico da Edward Weston, è evidente il rimando allo stile del suo maestro, che in quegli anni - insieme a fotografi come Ansel Adams, Alfred Stieglitz, Paul Strand e Imogen Cunningham - stava direzionando la sua ricerca verso la “straight photography”, un controllo formale dell’immagine nell’inquadratura, nei chiaroscuri, nella luce, nella messa a fuoco e nella composizione. Prospettiva con fili elettrici (Messico, 1925) di Tina Modottti, per l’appunto, è tutto questo, un chiaro richiamo al costruttivismo e all’astrattismo a cui Weston e compagni guardavano per l’importanza espressa dalla ricerca formale. Ma l’estetica della fotografa non fu mera riproduzione di quella di Weston, nemmeno ai suoi esordi. Il Messico, la sua primordialità e carnalità vengono introdotti come elementi persistenti nelle sue immagini, intrise di quell’erotismo e sensualità che esulavano dalla ricerca oggettiva della forma di Weston, basti pensare alla generosa polposità di Calle (Messico, 1924). Quando nel giugno del 1927, in una lettera, Modotti esprime al suo amante tutta la sua ammirazione per la serie Conchiglie (1927), esaltando la sensualità e l’eroticità dell’immagine, Edward Weston nel suo diario giornaliero(2) riporta una reazione alquanto indispettita, negando perentoriamente il simbolismo erotico del suo soggetto. Il fine fotografico delle Conchiglie di Weston era evidentemente diverso da quello delle Calle della Modotti e così è sempre stato, in generale, per tutta la loro produzione.


Calle (Messico, 1924).


Prospettiva con fili elettrici (Messico, 1925).


Il Messico diventerà per lei la sua fucina di «soggetti simbolo di un universo di sentimenti ed idee»


Il Messico diventerà per lei la sua fucina di «soggetti simbolo di un universo di sentimenti ed idee»(3). È questo il periodo, infatti, di Sombrero, falce e martello (Messico 1927), dove gli oggetti si rendono portatori di una simbologia di adesione politica e dispensatori di un credo ideologico in cui Modotti si stava sempre più calando, o anche Campesinos alla parata del Primo maggio (Messico, 1926) in cui il focus si concentra sui cappelli dei contadini, simbolo della protesta che infuocò la Rivoluzione messicana. Sempre alla ricerca della sintesi tra vita e arte, Tina Modotti si immerse completamente nella storia di questo paese, nei suoi conflitti, nelle sue proteste, in quel credo politico che cercava di dare voce agli oppressi e soverchiare l’imperialismo capitalista. Più diventava parte del territorio messicano, radicalizzando sempre più le sue convinzioni politiche e ideologiche, più il suo linguaggio si ampliava abbracciando una fotografia più sociale e meno simbolica, come in Bambino davanti a un cactus (Messico, 1928 circa). Non è possibile delineare dei confini specifici nel calderone dell’esistenza di Tina Modotti in Messico: in esso la fotografa di Udine immerse il suo credo nella causa comunista, il suo linguaggio fotografico e anche le sue storie d’amore. Tutto andava di pari passo, tutto era collegato e anche se non c’era un vero equilibrio tra le parti, perché spesso un elemento si imponeva sugli altri, tutti i fili rimanevano sempre tesi tra le sue mani come nella sua immagine Le mani del marionettista (Messico, 1929).

Alla morte di Julio Antonio Mella (1929), suo compagno di vita, fuggito in Messico da Cuba e dal regime di Machado dopo aver fondato nel 1925 il Partito comunista di Cuba, Tina Modotti viene coinvolta pubblicamente nelle indagini del suo assassinio, diffamata e con la sua vita privata data in pasto alla stampa. Di questo tumultuoso periodo è la serie delle donne di Tehuantepec, del matriarcato zapoteca, in cui Modotti probabilmente si identificava per la loro forza e fierezza. Ma il Messico stava cambiando sotto i suoi occhi fino a imprigionarla per tredici giorni e infine espellerla definitivamente rimandandola in Europa come terrorista implicata nel tentativo di omicidio del nuovo presidente messicano Pascual Ortiz Rubio.

Giunse infine a Berlino, esule, dove la fotografia, in un qualche modo, risultò la sua àncora, almeno idealmente, ma nella pratica i suoi tentavi furono vani. «Berlino è bella, ma rispetto alla California e al Messico sembra un luogo dove si sia improvvisamente spenta la luce»(4), scriveva a Edward Weston. Sempre fedele alla “causa” come militante comunista, si era spostata in un territorio per lei infausto e sconosciuto dove la sua fotografia iniziò a svuotarsi di significato. «Sento che ci deve essere qualcosa per me, ma non l’ho ancora trovato»(5) e quelle poche fotografie - sottoesposte, mosse e fuori fuoco - del periodo berlinese, ora in mostra al Mudec di Milano, sono la testimonianza della sua ricerca, della sua perenne ricerca di esprimere se stessa tramite il linguaggio fotografico, a qualunque condizione.

Tina Modotti. Donne, Messico e libertà

a cura di Biba Giacchetti
Milano, Mudec - Museo delle culture
fino al 7 novembre
catalogo 24 Ore Cultura
www.mudec.it

ART E DOSSIER N. 389
ART E DOSSIER N. 389
LUGLIO-AGOSTO 2021
In questo numero: L'IBRIDO NEL LABIRINTO: Dalla parte del minotauro. NUOVI MUSEI : La Fondazione Biscozzi/Rimbaud a Lecce. SAVE ITALY: La rinascita di Pianosa. IN MOSTRA: Penone a Firenze. Leonor Fini a Trieste. Tina Modotti a Milano. Altara e Accornero a Nuoro. Il Ponte di Bassano.Direttore: Claudio Pescio