XXI secolo
I Dansaekhwa, dalla Corea

pittura
non dipinta

Tele monocrome e segni essenziali, nella più completa libertà di espressione, sono le principali caratteristiche dell'esperienza creativa dei moderni artisti coreani noti come Dansaekhwa.

Riccarda Mandrini

Lo studio delle molte modernità extra-occidentali è una pratica che da circa un decennio vede impegnati a livello internazionale curatori e storici dell’arte nell’intento di colmare un vuoto e documentare quella parte di storia dell’arte che fino a oggi non è stata completamente scritta. Dal punto di vista della conoscenza e della diffusione di quelle modernità, un importante contributo lo hanno dato esposizioni quali la Biennale di Venezia e Documenta a Kassel, insieme alle gallerie d’arte che hanno supportato i loro artisti in occasione di mostre internazionali e li hanno presentati in eventi di settore. Alle case d’asta, inoltre, va riconosciuto il merito di avere portato avanti, negli anni, in questa direzione, una ricerca meticolosa in termini di Modern Masters internazionali per le loro vendite. 


Quando parliamo di modernità extraoccidentali, non può sfuggire l’impegno della coreana Kukje Gallery, con sede a Seoul e Busan, nel far conoscere e promuovere il lavoro di alcuni artisti del paese, oggi internazionalmente noti come “Dansaekhwa”. Una definizione, questa, data dal curatore coreano Yoon Jin Sup nel 2012 in occasione della mostra Dansaekhwa: Korean Monochrome Paintings (Seul, National Museum of Modern and Contemporary Art, Korea) che faceva riferimento al lavoro concettuale di un gruppo di artisti coreani moderni e alla loro scelta di lavorare nel contesto di una dominante monocroma del colore e minimale nel tratto. Nel 2013, nell’edizione londinese di Frieze Masters, la stessa Kukje Gallery presentava una selezione di opere dei Dansaekhwa, tra cui quelle di Ha Chong-Hyun (1935), Lee Ufan (1936), Chung Sang-Hwa (1932), Chung Chang-Sup (1927 - 2011) e Park Seo-Bo (1931). È stata questa la prima volta, dopo decenni, in cui il lavoro degli artisti moderni coreani come gruppo ha incontrato l’Occidente. Nel 2014 Kukje Gallery è tornata a Frieze Masters. La finezza delle opere presentate durante la fiera ha raccolto immediatamente l’interesse della Alexander Gray Associates di New York e di Blum & Poe di Los Angeles, le prime tra le gallerie occidentali a rappresentare gli artisti moderni coreani. 


Da un punto di vista storico-artistico, i Dansaekhwa – tra i nomi più noti, oltre a quelli già citati, Kim Tschang- Yeul (1929 - 2021), Yun Hyong-keun (1928 - 2007), Kwon Young-Woo (1926 - 2013), Lee Dong-Youb (1946), Kim Whanki (1913 - 1974), Suh Seung-Won (1941), Yun Hyong-keun (1928 - 2007), Chung Kwang Young (1944), Park Chung-hee (1917-1979) – non sono mai stati un gruppo o un movimento inteso in senso storico-artistico, ma hanno operato sempre in modo individuale. Il loro lavoro è di fatto il frutto di un sentire comune, l’espressione di una libertà creativa totale, vissuta attraverso l’arte e un particolare modo di fare arte, ma negata al paese dalle politiche dittatoriali che la Corea del Sud visse dalla fine degli anni Cinquanta (già reduce dalla dominazione giapponese 1910-1945 e dalla guerra di Corea 1950-1953), nel susseguirsi di sei repubbliche dittatoriali fino al 1992, quando Kim Young-sam fu eletto presidente con libere elezioni.

Il supporto delle opere dei Dansaekhwa è stata principalmente la tela. Il “quadro” è stato il loro universo o meglio la conseguenza ultima del processo performativo fisico e mentale che conduceva alla realizzazione dell’opera stessa. Nello spazio del quadro si sono espressi in una infinità di modi. Si sono ispirati alla natura e sovente hanno adottato il bianco come dominante dell’opera. Era il colore degli abiti usati in passato per le celebrazioni, quello delle tradizionali giare in porcellana, il colore del dolce di riso preparato per i festeggiamenti familiari, dei fogli di riso usati per la scrittura dagli studenti in passato.

Le loro tele sono state definite «pittura non dipinta»: di fatto sono state vere e proprie performance artistiche, come nel caso di Chung Chang-Sup che assisteva alla macerazione nell’acqua dei preziosi fogli di carta tak e monitorava la combinazione tra i due elementi naturali, l’acqua e la carta, in modo da determinarne il livello di astrazione e le nuance di colore.

La letteratura legata ai Dansaekhwa racconta che nella realizzazione della serie Ecriture iniziata nel 1967, Park Seo-Bo - che per oltre cinquant’anni ha operato sviluppando il concetto secondo il quale l’artista è lo strumento che produce l’energia che genera l’opera - usava tracciare uno strato di pittura bianca sulla tela e quindi disegnava delle fini serie di linee a matita che andavano, tutte, in un’unica direzione e questo fino a quando l’artista e l’opera diventavano una cosa sola. Nella estrema fisicità che caratterizza parte della loro produzione artistica vi è qualcosa che la avvicina a una forma di magia. Emblematico il caso delle tele di Kim Tschang-Yeul che in sessant’anni di lavoro non si è mai discostato dalla scelta di dipingere le gocce d’acqua come unico elemento dell’opera. Nei quadri di Kwon Young-Woo, l’astrazione ha trovato una propria forma compiuta nell’incontro totalmente libero di due soli elementi, la carta tak e l’inchiostro, ai quali l’artista ha affidato la capacità di fondersi in totale armonia.


Affidare all'arte la capacità di esprimere in modo poetico l'essenza della vita


Kim Tschang-Yeul, Recurrence (2005).

Una gestualità libera da convenzioni o grammatiche artistiche è ciò che ha caratterizzato e caratterizza gran parte delle pratiche dei Dansaekhwa. Questa libertà è uno dei fondamenti del lavoro di Lee Ufan che nel corso degli anni ha ricercato un rapporto dialogante e simbiotico tra il segno e la tela. Diverso il discorso per Yun Hyong-keun, artista che ha scelto la natura come imprescindibile riferimento della sua poetica narrativa. Per anni si è opposto alla dittatura politica e per questo è stato imprigionato quattro volte e ha rischiato la fucilazione. «Non ricordo quando iniziò a piacermi il colore del suolo», scriveva nel suo diario, «lo stesso vale per il colore degli alberi e il colore delle rocce. Amo i colori del paesaggio naturale e anche il colore della natura in inverno. La vera bellezza viene dal cogliere i colori eterni direttamente dalla natura. Ecco cosa mi sforzo di esprimere nei miei dipinti». Nel 2019 il National Museum of Modern and Contemporary Art, Korea di Seul ha scelto palazzo Fortuny a Venezia per presentare l’antologica dedicata all’artista.

Inteso nel contesto storico-artistico del XX secolo, il lavoro dei Dansaekhwa non è mai stato una parentesi nell’ambito della modernità internazionale. Le loro opere non sono rimaste necessariamente chiuse entro i confini della Repubblica della Corea del Sud, al contrario hanno trovato un legame dialettico con diverse forme di arte concettuale, quali il gruppo Gutai in Giappone o la Minimal Art americana e internazionale, ma i Dansaekhwa hanno saputo andare oltre questi modelli affermati di concettualità. Essi hanno affidato all’arte la capacità di esprimere in modo estremamente poetico l’essenza della vita. Il loro lavoro è stato in più occasioni riconosciuto all’estero e, nonostante la grave situazione politica, in diversi hanno avuto ripetutamente l’opportunità di esporre in tutto il mondo. Nel 1958 la World House Gallery di New York organizzò una mostra, Contemporary Korean Paintings, interamente dedicata ai Dansaekhwa. Nel 1961 Kim Tschang-Yeul e Chung Kwang Young furono invitati alla Biennale di Venezia, una vetrina unica, che aprì le porte ad altri artisti. Park Chung-hee, Park Seo-Bo, Ha Chong-Hyun, Lee Ufan in più occasioni hanno partecipato alla Biennale di Parigi e alla Biennale di San Paolo in Brasile. Nel 1995 la Corea del Sud inaugurava il proprio Padiglione nazionale alla Biennale di Venezia e Jheon Soocheon (1947-2018), l’artista che la rappresentava, ricevette la Menzione d’onore della giuria.

ART E DOSSIER N. 389
ART E DOSSIER N. 389
LUGLIO-AGOSTO 2021
In questo numero: L'IBRIDO NEL LABIRINTO: Dalla parte del minotauro. NUOVI MUSEI : La Fondazione Biscozzi/Rimbaud a Lecce. SAVE ITALY: La rinascita di Pianosa. IN MOSTRA: Penone a Firenze. Leonor Fini a Trieste. Tina Modotti a Milano. Altara e Accornero a Nuoro. Il Ponte di Bassano.Direttore: Claudio Pescio