Gusto dell'arte

Rosso,
di origine africana

Ludovica Sebregondi

Alla ricerca di preparazioni alimentari e prodotti che trovano nell'arte puntuali riferimenti, al di là di epoche, luoghi e tradizioni: il cocomero

Estate. Uno dei suoi simboli è il cocomero: la buccia di un verde marezzato, una sottile parte bianca, rosso intenso all’interno, succoso e dissetante, dolce e fresco, i semi neri a punteggiarlo. Di recente ha perso di attrattiva rispetto a quando le serate estive erano caratterizzate dai rivenditori che, al tempo di Bartolomeo Pinelli, nella Roma ottocentesca, esponevano i frutti tagliati a metà su alte scalette decorate da nastri e vessilli. In seguito i cocomerai hanno utilizzato chioschi dove i frutti erano accatastati, per essere poi rinfrescati in mastelli pieni d’acqua. Naturalmente il passaggio successivo sono stati i frigoriferi e da poco i commercianti offrono la polpa tagliata a cubetti in un bicchiere, da prendere con una piccola forchetta, eliminando così la componente sensuale dell’affondare la faccia nella grande fetta per mangiarla a morsi. Quanto di più lontano si possa immaginare dai baracchini, ormai sempre più rari, dove la gente si radunava nelle notti troppo calde per essere passate in casa. Tradizionalmente, inoltre, i cocomeri si acquistavano soprattutto interi, ma per accertarsi della qualità veniva praticato con un coltellino un foro, creando così una sorta di tassello di forma triangolare o quadrangolare. Un’operazione fondamentale che permetteva al compratore di poter assaggiare il frutto per verificarne il giusto grado di maturazione. Il buco veniva quindi richiuso con lo stesso tassello a fare da tappo perché il cocomero, portandolo via, non perdesse il succo.

Non solo in Italia il cocomero è sinonimo di estate. Lo è anche in Russia, con tutto ciò che significa la stagione calda in un paese dominato per lunghi mesi dal gelo. Il pittore Boris Michajlovič Kustodiev (1878-1927) da giovane viveva in una parte della casa di un ricco mercante, di cui poté carpire abitudini che lo colpirono profondamente.

Ne ripropone il ricordo molti anni dopo nella Moglie del mercante, cui dà le floride fattezze e la carnagione chiara della baronessa Galina Aderkas, con l’abito di velluto ampiamente scollato, l’elegante turbante, grandi orecchini e un gatto che si struscia sulla sua spalla sinistra, a completare l’impressione di morbida sensualità. La donna siede davanti a un tavolo apparecchiato per il tè, su un balcone affacciato sulla città di cui si intravedono negozi, palazzi, chiese. Bianca la tovaglia, raffinate le tazzine profilate d’oro, il samovar, un piatto con uva e mele, e, sinonimo di abbondanza, un cestino con tartellette alla marmellata, panini bianchi, un plumcake con uvetta. Ma su tutto primeggia una ciotola in porcellana con un grande cocomero aperto voluttuosamente alla vista.

È l’immagine di una vita opulenta e spensierata, ma il dipinto fu eseguito nel 1918, successivamente alla Rivoluzione d’ottobre, in un anno dominato in Russia dalla fame e dalle difficoltà, quando simili scene facevano parte di un passato bruscamente cancellato, di cui l’opera rappresenta una nostalgica rievocazione.

Cocomero (dal latino “cucumis, cucumeris”) è il nome corretto, ma al Nord viene chiamato anguria dal greco tardo “angóuria”, cetriolo: due tra i tanti termini che indicano questo frutto originario dell’Africa tropicale, già noto agli egizi che lo coltivavano lungo il Nilo, diffusosi poi nel Mediterraneo, e oltre, fino al Nuovo mondo, con il suo aspetto gioioso e prorompente. E, in Messico, Frida Kahlo ne offre la sua interpretazione con Viva la Vida, dipinto nel 1954 e conservato al Frida Kahlo Museum di Coyoacán. Una natura morta fatta solo di cocomeri: interi, tagliati a spicchi, a metà; verdi, bianchi e rossi contro un cielo azzurro solcato da nubi. Otto giorni prima di morire, a quarantasette anni, Frida aggiunge le parole «VIVA LA VIDA - Coyoacán 1954 Mexico».

Nonostante una vita di dolore dopo l’incidente subito a diciotto anni, il corpo martoriato, le sofferenze fisiche ininterrotte culminate nell’amputazione della gamba per una minaccia di cancrena, il tormentato rapporto con Diego Rivera. Nonostante tutto, grida il suo amore incondizionato per la vita, per l’arte. E quale simbolo più perfetto dei rossi, tondeggianti, succosi cocomeri, emblemi di vitalità, sensualità, ma anche di sangue e disperazione?


Boris Kustodiev, La moglie del mercante (1918), San Pietroburgo, Museo di Stato russo.

ART E DOSSIER N. 388
ART E DOSSIER N. 388
GIUGNO 2021
In questo numero: LEGAMI Renzo Piano e Gillo Dorfles. Mary Cassatt e Louisine Havemeyr. PRIME TRACCE DI MONDI NUOVI: Due mappe del Rinascimento. IN MOSTRA: Ionda a Firenze; Samorì a Bologna; Arte americana a Firenze; Schmidt a Parigi; Casa Balla a Roma; Odori all'Aja.Direttore: Claudio Pescio