Le nostre narici sono tra i più solerti guardiani della nostra salute. Basta un odore poco convincente a farci desistere dall’inghiottire un boccone di cibo. È per questo che il naso è nella posizione in cui si trova: sopra la bocca e abbastanza sporgente da svolgere al meglio il suo compito: fare da strumento di rilevamento contro l’introduzione nel nostro corpo di sostanze potenzialmente pericolose. È una funzione vitale che condividiamo con altri animali e che ci accompagna da millenni. E rivela un collegamento immediato tra naso e cervello. L’olfatto si attiva già alla vista di determinati oggetti. E alcune nature morte sembrano concepite proprio per comunicare visivamente l’odore tipico di un frutto maturo, un mazzo di fiori, di un pasticcio di carne appena aperto, di un limone sbucciato o un pezzo di formaggio. E la presenza di insetti, sulla stessa tela, suggerisce che l’odore attrae anche loro, non è una nostra fantasia.
L’igiene e la salute sono appunto due degli ambiti verso cui ci conduce questa riflessione sugli odori attraverso le arti visive.
Ai cattivi effluvi si attribuiva il diffondersi delle epidemie, e si riteneva che un’efficace difesa fosse munirsi del loro contrario: profumi. Per cui si diffondeva l’uso di portarne con sé nei modi più vari. Per esempio, nel caso di persone di un certo livello sociale, farcendone un “pomander” (dal francese “pomme d’ambre”, pomo d’ambra) - una sfera di metallo più o meno prezioso o altro materiale - che poteva essere riempita di fiori, erbe, spezie e portata con sé appesa in vita o al collo (in mostra esiste una postazione anche per questa esperienza). Manuali ed erbari, nel corso del XVII secolo, iniziano a diffondere in Europa suggerimenti e prescrizioni basati sull’igiene del corpo come prima regola per una vita sana. La disponibilità di acqua pulita diventa un’esigenza primaria. Contrastare gli odori della traspirazione diventa oggetto di dotte dispute e nascono scuole di pensiero sul tema “meglio lavare i corpi o le vesti?”.
Non dobbiamo pensare a un fulmineo trionfo della razionalità. Era credenza diffusa, per esempio (e non solo a livello popolare) che oltre al naso le donne fossero in possesso di un altro organo sensibile agli odori. La medicina si sbizzarriva in ipotesi suggestive. Una, fondata su fonti classiche, riguarda l’anatomia femminile e il suo funzionamento. Areteo, medico in Cappadocia nel I secolo d.C. (peraltro confutato dal contemporaneo Galeno), sosteneva che l’utero «si delizia degli odori fragranti, e avanza verso di loro; e ha un’avversione per gli odori fetidi e fugge da loro; e, nel complesso, l’utero è come un animale dentro un animale».
Come intervenire su un animaletto così sensibile? La cosiddetta sindrome dell’“utero vagante”, o “irrequieto”, attribuiva a questa supposta mobilità dell’organo disturbi che andavano dalla “febbre d’amore” alla melanconia, e ha finito per rimanere a lungo collegata in qualche modo all’isteria (attribuita come specifica al genere femminile: “ysteron”, utero in greco), termine sostanzialmente scomparso dalla psicologia moderna. Disturbi che si curavano con suffumigi di alloro, chiodi di garofano, incenso, praticati con bracieri posizionati sotto le gonne.
Una pratica collegata a questa credenza la vediamo per esempio in un dipinto di Jan Steen, La visita del dottore (1665-1668, Mauritshuis). La presunta ammalata è a letto, sul pavimento vediamo un nastro di pizzo posto in un braciere. L’uso di bruciare un nastro in un braciere, spesso raffigurato da Steen, viene da alcuni collegato a una specie di test di gravidanza, altre volte (ed è la versione più accreditata) a una sorta di aromaterapia per alleviare le nausee gravidiche (e non solo, come vedremo). In questi casi - spesso al centro di scenette farsesche nel teatro popolare, del genere comico-libertino molto in voga - il medico-ciarlatano è così ignorante da non essere in grado di diagnosticare una gravidanza e da attribuire i malesseri della giovane al mal d’amore; disturbo quest’ultimo curabile, come chiarisce qualche metafora grossolana sparsa nella scena, con un liberatorio rapporto sessuale. Nella Visita del dottore del Boijmans, ancora di Steen, l’allusione è affidata al gestaccio di un monello; in un altro quadro di analogo soggetto ancora al Mauritshuis (in mostra) lo stesso gesto è proposto da una donna (forse una domestica) che ammicca sorridendo al sedicente medico. Chi andava a teatro, o guardava quei brani visivi di teatro che sono i quadri di Steen, aveva quindi ben chiaro a cosa alludesse il braciere con il nastro bruciato.
La pratica pseudomedica si spingeva anche oltre. In un libretto anatomico secentesco a fogli mobili - sovrapposti e sfogliabili in modo da rivelare le parti del corpo -, nell’illustrazione dedicata all’Anatomia femminile, i fumi odorosi di erbe che si sprigionano dalla pira su cui arde una fenice posta tra le gambe della donna evidenziano la loro funzione: rendere pronto alla procreazione il grembo femminile grazie all’effetto di quegli effluvi sull’utero. A volte si collocava quindi un braciere sotto ai vestiti, ma una strumentazione apposita consentiva anche di provvedere a fumigazioni interne, come mostra un’incisione dello stesso periodo.
Una mostra, insomma, che innesca innumerevoli possibilità di scoperta e di approfondimento, e ci rivela il profumo della vita quotidiana di quattro secoli fa.