Outsiders

il degenerato
amato dai nazisti

Alfredo Accatino

Un viaggio alternativo nell’arte del Novecento, alla scoperta di grandi artisti, di opere e storie spesso dimenticate: Rudolf Belling

Sei minuti a piedi. Questa la distanza che il 19 luglio del 1937 a Monaco di Baviera separa due visioni opposte del mondo. Da un lato, all’Hofgarten, presso l’Istituto di archeologia, va in scena una delle pagine più infami della storia dell’arte: la mostra Entartete Kunst, voluta per irridere quella che ritenevano “arte degenerata”. Seicentocinquanta opere di artisti d’avanguardia che, da quel momento, saranno perseguitati o costretti a emigrare, in un percorso espositivo corredato di foto di malati di mente comparati a ritratti espressionisti e scherniti con battute spiritose. Presenti anche due sculture di Rudolf Belling, una testa di ottone stilizzata e La triade (1919), intreccio irregolare in legno di betulla, a simboleggiare le scuole di pittura, scultura e architettura che l’artista voleva unificare (prima scultura astratta prodotta in un paese di lingua tedesca).

Dall’altro, nella lussuosa Haus der Deutschen Kunst, invece, inaugurata il giorno prima, si celebra la mostra manifesto dell’estetica nazista Große Deutsche Kunstausstellung. Tutto è ordinato, apollineo. Peccato che anche qui sia esposta un’opera di Belling del 1929, il bronzo Il pugile Max Schmeling, primo campione europeo dei pesi massimi, esaltato da Hitler, ma che, paradossalmente, non aderì mai al nazismo. Questa scultura era stata scelta tra altri quindicimila pezzi, con una selezione proseguita sino a pochi giorni prima dell’apertura dell’evento e compiuta direttamente dal dittatore. Quando le autorità si resero conto dell’imbarazzante coincidenza, le opere di Belling furono rimosse alla chetichella. E anche lui fu epurato. Simbolo di quanto fossero ridicole queste teorie e confusi i parametri culturali. Ma vediamo, in dettaglio, la storia di un artista tedesco che mi è sempre apparso inspiegabilmente sottovalutato: ha fatto cose fantastiche, in assoluto. Anche rispetto al suo significato storico-artistico, visto che ha attraversato sempre ad altissimo livello tutte le tendenze del secolo.

Rudolf nasce a Berlino nel 1886, frequenta un corso per modellisti, segue lezioni di scultura, ma anche le sedute anatomiche di una scuola veterinaria. Tutte esperienze diverse ma che rendono in qualche modo concreto il concetto «unire i puntini» espresso nello “speech” di Steve Jobs all’Università di Stanford (12 giugno 2005) secondo il quale, in sintesi, tutto ciò che facciamo contribuisce a costruire il nostro futuro. Nel 1908 apre uno studio di arte applicata, che rifornisce di materiale scenico le produzioni di Max Reinhardt, un visionario del teatro contemporaneo, capace di rappresentare Spettri di Ibsen con le scenografie di Munch. Forte anche di questa esperienza, nel 1911 Belling diventa assistente (“Meisterschüler”) di Peter Breuer alla Kunstakademie nel quartiere di Charlottenburg, status che manterrà sino al 1922 e che gli permetterà di essere preso sul serio e di viaggiare.

Durante la prima guerra mondiale viene arruolato e assegnato a un campo d’aviazione a Berlino, così nel tempo libero può lavorare, tanto che riesce a modellare la figura del Golem, il gigante d’argilla, per l’omonimo film di Paul Wegener (Der Golem, 1915), opera manifesto del cinema espressionista andata dispersa. Sullo stesso tema il regista ha poi girato Der Golem und wie er auf die Welt kam (1920).

Diventa quindi membro dell’Arbeitsrat für Kunst (Consiglio dei lavoratori per l’arte) ed è tra i soci fondatori del Novembergruppe insieme a Ludwig Mies van der Rohe, Max Pechstein e Cesar Klein, associazione di artisti che intendeva sostenere la rivoluzione sociale in Germania e l’unione tra arte e persone. Resterà nel consiglio di amministrazione fino al 1932.

L’architettura e il design sono un altro suo pallino, inizia quindi a progettare con alcuni suoi amici architetti. Lavora, per esempio, alla realizzazione della casa del famoso mercante d’arte Wolfgang Gurlitt, con cui nel 1919 tiene la sua mostra personale. Visita Belgio, Gran Bretagna e, a Parigi, ha la possibilità di conoscere Picasso. Intreccia, infine, una relazione con la ballerina Toni Freeden, che diventerà sua moglie, per la quale creerà una pazzesca testa stilizzata in ottone.

Belling unisce una solida tecnica alla capacità di trovare una sintesi estrema. Il paradosso è che forgia sculture astratte riprendendo i pensieri di Benvenuto Cellini (1500-1571), che affermava che una scultura deve essere vista nella sua tridimensionalità, presentando ogni volta scorci diversi, utilizzando lo spazio vuoto come elemento compositivo.

Insomma, Belling se ne sbatte dei dogmi imperanti o del fatto che «la scultura deve essere sempre comprensibile», come predicava in quegli anni Adolf von Hildebrand. Come altri maestri delle avanguardie, trova riferimenti più stimolanti nella meccanica e nell’arte africana e primitiva. In un mondo che esplora il non figurativo dall’inizio del secolo, si rende conto che la scultura è la disciplina che è rimasta più indietro. Il vocabolario stilistico, nell’arco della sua carriera, spazierà dall’espressionismo alla Nuova oggettività, dal futurismo al costruttivismo, dall’astrazione al naturalismo.


Veduta della mostra Rudolf Belling all’Hamburger Bahnhof - Museum für Gegenwart (Berlino 2017). In primo piano, La triade (1919), Otterlo, Kröller-Müller Museum.

Operando contemporaneamente come scenografo, costumista e designer, va oltre un lavoro strettamente legato a specifiche aree di competenza. Crea interni, sculture architettoniche, fontane, per dare vita a un progetto di design folle quanto affascinante come i suoi “manichini da negozio” (1923), il più bell’accessorio legato alla moda mai realizzato nella storia.

L’ultimo scorcio del secondo decennio degli anni Venti è caratterizzato in Germania, come noto, da un grande fermento. Nel 1927 Belling firma un contratto con il gallerista Alfred Flechtheim, l’anno dopo, 1928, nasce suo figlio Thomas, e nel 1930 espone nel padiglione tedesco alla Biennale d’arte di Venezia. Quando però nel 1933, con i nazisti al potere, la sua nomina programmata come professore di scultura presso le Vereinigten Staatsschulen für Freie und Angewandte Kunst (scuole statali per arti libere e applicate) - dove pure Oskar Schlemmer insegnò fino al licenziamento - decade, capisce che non c’è più spazio per lui. 

Nel frattempo il suo matrimonio si è logorato. Nel 1935 divorzia e parte per New York dove insegna alla Annot Art School, finalmente libero, ed espone al Rockefeller Center. 

Nel 1937, quando le leggi razziali compiono un ulteriore giro di vite, e si realizza la farsa della Entartete Kunst, capisce che suo figlio Thomas di nove anni, rimasto in Germania con la madre, è in pericolo. La sua ex moglie era ebrea, e quello che era per loro un fattore senza importanza può diventare ora motivo di persecuzione. Torna in Germania, lo mette in salvo ed emigra in Turchia, dove rimarrà trent’anni. Assume infatti la direzione del dipartimento di scultura dell’Accademia di belle arti di Istanbul che Mustafa Kemal Atatürk, fondatore e primo presidente della repubblica del paese, desidera avvicinare ai canoni occidentali tanto che Belling può permettersi di ospitare nel suo ultimo esilio il grande architetto Bruno Taut. E così, mentre Taut progetta scuole, Belling accetterà, nel tempo, per riconoscenza, di fare qualche statua celebrativa. 

Nel 1942 sposa Yolanda Carolina Manzini, originaria di una famiglia italo-tedesca, che ha meno della metà dei suoi anni. Nel 1943 nasce la figlia Elisabeth. Nel 1966, dopo essere rimasto comunque vicino all’evoluzione dei linguaggi artistici, torna definitivamente in Germania e si stabilisce nei Krailling, nei pressi di Monaco. Muore vicino ai suoi cari il 9 giugno del 1972. 

Oggi, nel museo d’arte contemporanea Hamburger Bahnhof - Museum für Gegenwart nel centro di Berlino, le due sculture - La triade e Il pugile Max Schmeling - sono state posizionate una di fronte all’altra. Chissà quante se ne diranno…

ART E DOSSIER N. 388
ART E DOSSIER N. 388
GIUGNO 2021
In questo numero: LEGAMI Renzo Piano e Gillo Dorfles. Mary Cassatt e Louisine Havemeyr. PRIME TRACCE DI MONDI NUOVI: Due mappe del Rinascimento. IN MOSTRA: Ionda a Firenze; Samorì a Bologna; Arte americana a Firenze; Schmidt a Parigi; Casa Balla a Roma; Odori all'Aja.Direttore: Claudio Pescio